ll viaggiatore incantato di Paolo Mieli

Il viaggiatore incantato I «PELLEGRINI POLITICI » INGANNATI DALLE RIVOLUZIONI Il viaggiatore incantato Wallace, vicepresidente americano, nel '44 tornò dall'Urss convinto che Kolyma, spietato gulag staliniano, fosse un paradiso - A G. B. Shaw su un treno per Mosca fu fatto credere che tutte le cameriere sovietiche conoscessero i suoi libri • Norman Mailer vide Castro come «grande eroe del secolo» • Decine di intellettuali d'Occidente caddero nelle trappole propagandistiche di Stalin, Mao, Fidel • Uno studioso cerca di spiegare perché Nel 1944, il vicepresidente degli Stati Uniti Henry Wallace, durante una visita in Unione Sovietica, fu portato a visitare Kolyma, un campo di lavoro tra i più spietati dell'età staliniana. Sfa non si rese conto d'esser finito in un gulag. Ne riportò anzi un'ottima impressione: quello che «vide* fu, un piccolo paradiso dove robusti minatori e alacri contadini vivevano a fianco di donne che dedicavano il loro tempo al cucito e al ricamo. Non si insospettì neppure quando alla fattoria dei suini rivolse qualche generica domanda ad alcune belle ragazze che gli erano state presentate come le custodi dei maiali e queste non seppero cosa rispondere. Qualche anno dopo Elinor Upper che era stata prigioniera in quel campo raccontò come per la visita di Wallace nel giro di pochi giorni fosse stata allestita una gigantesca messa in scena: tutte le persone, che il vice di Roosevelt aveva incontrato, a cominciare dalle ragazze dei maiali, erano comparse. Ma lui non se n'era accorto e al ritorno in America si lasciò andare a un elogio senza riserve per le meraviglie di Kolyma. Nella stessa epoca, a George Bernard Shaw, sul treno che lo portava a Mosca, la guida volle presentare due cameriere del vagone ristorante. Le ragazze parlavano correntemente l'inglese e «per una straordinaria coincidenza» conoscevano a menadito i suoi libri. Shaw non dubitò, neanche un attimo che quelle due inservienti non fossero tali e che l'incontro non fosse casuale. Anzi, lusingato, quando tornò in patria disse che, in virtù di ciò che era accaduto su quel treno, aveva potuto toccare con mano i ritardi dell'Occidente rispetto aU'Urss. Gli bastava fare un confronto: «Le cameriere in Inghilterra non erano tanto colte quanto le loro colleghe sovietiche» òhe,ateìja' cpftóscìute. Com'è stato possibile che personalità del rango di Wallace e Shaw, insieme con altre centinaia, siano cadute in simili trappole? Fu davvero eccezionale la capacità degli uomini di Stalin (e poi di Mao, di Castro e di molti leader socialisti del Terzo Mondo) di allestire piccole o grandi rappresentazioni per confondere le idee ai viaggiatori, comunisti e non, che venivano da Occidente? O non fu piuttosto una loro disposizione a lasciarsi ingannare che rese possibile il raggiro? Paul Hollander che ha dedicato al problema un accu- ratissimo studio, Pellegrini politici (che tra breve II Mulino pubblicherà anche qui da noi), propende per la seconda ipotesi. Questi turisti intellettuali, che da sessant'anni continuano a lasciarsi incantare dalle rivoluzioni di tutto il mondo e che coi loro resoconti dì viaggio alimentano visioni mitiche e menzognere delle realtà che hanno visitato, non sono vittime di turlupinature. Sono loro che, avendo abdicato all'esercizio del dubbio per affinità ideologica col Paese visitato, per odio nei confronti dell'Occidente, perché accecati dalla volontà di ritrovare un mondo puro, incontaminato e primordiale/ si consegnano senza difese a' chi U vuole ■raggirare}-Anzii come ha riconosciuto Jonathan Mirsky in un'autocritica per delle castronerie scritte sulla Cina di Mao, collaborano attivamente a farsi mettere «l'anello al naso». E' impressionante leggere che cosa decine di intellettuali europei e americani scrissero dell'Urss, dopo averla visitata negli anni del più buio stalinismo. «Sebbene le persone vestano in maniera grigia c'è poca o niente miseria Non sono riuscito a trovare niente che assomigliasse ad uno slum o ad un quartiere sporco», (Edmund Wilson); proprio nessun mendicante? Theodore Dreiser riesce a in¬ dividuarne qualcuno pur in una generale «sensazione di benessere», ma subito si affretta a definirli «pittoreschi coi loro stracci colorati e voluminosi». Hewlett Johnson descrive la Russia come «la terra più morale che conosco»,«Durante i molti mesi passati in Russia, specifica, in città grandi e piccole, in posti di campagna e in località di vacanze, su strade secondarie e strade principali, a tutte le. ore del giorno e della notte, in librerie e stazioni ferroviarie, al teatro o al cinema, non ho mai visto nulla che avrei voluto nascondere agli occhi di lina giovane ragazza». E Lion ! Féuchtwanger scrive che il futuro si presenta ai giovani •sovietici «come un viottolo ben definito e ben curato in mezzo a un piacevole paesaggio». La devozione di questi pellegrini è tale che l'Urss degli Anni Trenta si trasforma ai loro occhi in un gigantesco presepe. Neanche processi e prigioni, i grandi protagonisti di quel decennio, sfuggono mai a questo genere di descrizioni. J.L Gillin, americano, uno dei più eminenti studiosi di diritto dell'epoca, non ha dubbi: «Nel sistema sovietico non ci sono crimini, ma errori Non c'è castigo ma soltanto misure di difesa sociale. Tutto è concepito per correggere il delinquente e restituirlo alla società». D.N. Pritt, avvocato inglese nonché consigliere del re, è dello stesso avviso: «I tempi di detenzione sono in media più corti che in Inghilterra e il trattamento riservato ai prigionieri è teso alla correzione, non alla punizione». E ancora. Harold Laskv «n principio secondo il quale, poiché la società è considerata come responsabile, almeno in parte, del crimine, la forma di punizione dev'essere riformata, ha in Russia delle conseguenze che sono totalmente sconosciute in Gran Bretagna». Anna Louise Strong: «La giustizia sovietica cerca di assicurare al criminale un ambiente nuòvo in cui egli comincerà a muoversi in un modo'.normale, come cittadino sovietico responsabile. Meno prigionia è, meglio è; meno si sente in prigione, meglio sta». Negli anni terribili dei processi farsa, del gulag, delle eliminazioni in massa, i coniugi Sidney e Beatrice Webb 'vedono» carceri «libere da ogni forma di atrocità fisica come non lo è nessun'altra prigione del mondo». Il giornalista Maurice Hindus racconta che «nel periodo in cui sono al confino, i criminali non fanno alcun'altra esperienza che quella di una forzata lontananza da casa. A meno che essi non violino la leggera disciplina che bisogna osservare, non sentono la schiavitù della vita di prigione. Non ci sono squadre di forzati incatenati. Non c'è nessuna forma severa di costrizione. Non c'è nessuna limitazione alla possi bili t à di ricevere pubblicazioni o intrattenere la corrispondenza In realtà la prigione non è una forma di castigo ma di aiuto». Mary Callcott dopo una visita ad un campo di lavoro racconta: «Non ho mai visto che tenevano rinchiuse le persone, a meno che non volessero starci di loro spontanea volontà. Né ho mai conosciuto dei carcerati che avrebbero avuto difficoltà ad andarsene se avessero voluto farlo». Anche George Bernard Shaw giura che, una volta redenti, gli ex malfattori devono essere «convinti» ad uscir di prigione. Per loro restar dentro è «un privilegio». La Strong conferma: molti ex delinquenti si trovano talmente bene che fanno domanda alle autorità per continuare a vivere dietro le sbarre. Chi come Féuchtwanger è ammesso a seguire uno dei grandi processi di Mosca ne esce arciconvinto dell'opportunità delle condanne: «I miei dubbi si son sciolti come sale nell'acqua». Ne, dopo la morte di Stalin, le denunce di Krusciov al XX Congresso sui crimini commessi dal dittatore georgiano attenueranno la febbre visionaria di questi viaggiatori incantati. Anzi, anche a prova di ripetute delusioni, il contagio si estenderà. Cuba? Norman Mailer paria di Castro in questi tonù «E' come se il fantasma di Cortez fosse apparso nel nostro secolo cavale; rido il cavallo bianco di Zapata. E' il primo e più grande eroe apparso nel mondo a partire dalla seconda guerra mondiale». Sartre testimonia che Fidei può star sveglio e digiunare più a lungo di tutti. Saul Landau lo descrive come «un p uomo profondamente imbevuto di democrazia». Paul Sweezy e Leo Huberman come «un convinto filantropo». Ad Abbie Hoffman, Castro appare su un carro armato «come un grosso pene in erezione e quando è alto e dritto la folla immediatamente si sente trasformata». Stuart Sontag mette la mano sul fuoco sul fatto che nessuno scrittore cubano è stato o è in prigione o è emarginato». Il Vietnam del Nord? E' la stessa Sontag, che in seguito farà ammenda per queste prese di posizione, a testimoniare, assieme a Mary McCarfhy, che gli abitanti di, quel Paese sono tutti, buòni è, «autenticamente si preoccupano della salute, dei piloti americani catturati». Tom Hayden e Straughton Lynd intravedono «nelle disinvolte strette di mano tra gli uomini, nel fatto che la poesia e le canzoni sono al centro delle relazioni uomo-donna, nella libertà di piangere che tutti hanno quando parlano del loro Paese» che li sta nascendo un «socialismo del cuore». Jan Myrdal s'entusiasma invece per la lugubre Albania: «Tirana, che un tempo era una lontana città dei Balcani, sta diventando un luogo d'incontro, dove sì discute e ci si scambia esperienze». In Mozambico Tom Wicker scopre (e lo scriverà sul New York Times; che i sistemi di abita zione sono di molto superiori a quelli degli Stati Uniti. Richard Folk trova di che scaldarsi al fuoco del khomeinismo: «Avendo creato un nuovo modello di rivoluzione popolare basato, in gran parte, su tattiche non violente, l'Iran può rappresentare per noi un modello, di cui avevamo disperatamente bisogno, di governo umanitario in un Paese del Terzo Mondo». Ma è la Cina in mano alla banda dei quattro che provoca la seconda grande febbre dei pellegrini politici di questo secolo. Di nuovo tutti i visitatori si mettono a descrivere un modello superiore di civiltà dove «la legge e l'ordine sono mantenuti più da un diffuso, alto, codice morale che dalla minaccia di un'azione di polizia» (Arthur Galston), per i lavoratori «non c'è più bisogno di scioperare» (Basii Davidson), non ci sono pressioni politiche sugli intellettuali (Simone de Beauvoir),i quali anzi riferiscono «tutti» che -il contatto con la gente e il lavoro con la gente li rende diversi e migliori. Li, rende, in altre . paróle, uomini tra gli uomini e { tutti (il corsivo è nostro, ndr.) aspirano alla costruzione di j una nuova società socialista». Anche qui i visitatori occidentali riferiscono di condizioni di detenzione idilliache e torna, ad esempio con James Cameron, il racconto di prigionieri che, scontata la condanna, non vogliono lasciare il carcere. E quando viene alla luce cos'è stata davvero la Rivoluzione culturale? Niente paura, si può approdare ad altri lidi. Per esempio il Nicaragua. Qui, parola di padre Richard Preston, s'è realizzato in terra il Regno di Dio. Gunler Grass conferma che in Nicaragua «le parole di Cristo vengono prese alla lettera-. La scrittrice Adrienne Rich scopre in quel Paese del Centro America -una società che prende sul serio i poeti» Ross Kinsler si convince che «il Nicaragua ha raggiunto più libertà, più giustizia e più effettiva democrazia in cinque anni di quanto qualsiasi altro Paese ne ha raggiunto in cinquecento anni». Non c'è sosta: i turisti delle rivoluzioni continuano a viaggiare in cerca delle loro utopie. Paolo Mieli Parigi, marzo '68. Sartre col poeta nordvietnamita Che Ian Vieu e, alla sua sinistra, Min Giam, ministro della Cultura di Hanoi, e la scrittrice Elsa Trioiet