Arafat, troppi consigli

Arafat, troppi consigli Arafat, troppi consigli IGOR MAN Da quando, e son trascorsi nove mesi, è scoppiata Vlntifodah, Abu Ammar (è il nome di battaglia del presidente dell'Olp, Arafat) non ha fatto che subire consigli. Naturalmente buoni, disinteressati come quelli elargitigli, or è due settimane, da Bettino Craxi, il primo uomo politico occidentale di spicco ad aver incontrato Arafat dopo il «gran'rifiuto» di re Hussein. I suggerimenti di Craxi hanno addirittura ispirato un benevolo commento a un giornale abitualmente poco tenero con l'ex presidente del Consiglio. E polir cause: quale consiglio più saggio di .'quello di federare uno Stato ^palestinese sovrano con la Giordania resuscitando, nei fatti, l'«opzione giordana» 'tanto cara a Israele e agli Stati Uniti? Quale consiglio migliore di quello di non più ostinarsi su di una conferenza internazionale di pace con negoziato plurimo preferendogli, al contrario, una conferenza-etichetta che I "consentirebbe ad Israele di "trattare con l'Olp salvando 'la faccia? Pressappoco gli stessi consigli vengono ad Arafat .dall''Economia e dallo scritto• re ebreo Marek Halter, per •citare i casi più recenti. Arafat ne raccoglie la validità epperò esita a riconoscere " esplicitamente Israele. Perché mai? Perché reggere le fila dell'Olp è persino più complicato che presiedere un governo pentapartiti™ e dunque c'è il rischio di lacerare quell'unità faticosamente ricucita ad Algeri nel 1987 con l'ago algerino e col filo sovietico. Perché, soprattutto, Abu Ammar teme la «vendetta dì Assad». ,■ Il leone siriano ambisce da sempre a giuocare lui la carta palestinese. Ne viene che se venisse presto proclamato lo Stato palestinese, Assad potrebbe considerarsi «scippato» decidendo di assestare un'altra mazzata ad Arafat. Come? Portando a termine, in Libano, servendosi beninteso di Amai, quella liquidazione fisica dei palestinesi sinora andata avanti a tappe. Oramai da tre anni i siriani sospingono con le armi i palestinesi verso Sidone e Tiro. Oggi la più grande concentrazione di profughi palestinesi nel mondo è giustappunto nel Libano meridionale. Migliaia e migliaia di possibili vittime dell'ira damascena (o della furia di Tsahal). Ai quattro, giovani, impazienti leader dell'I ri tifadab giunti clandestinamente a Tunisi dalla West Bank, il vecchio al Walid (padre) ha detto che se il prezzo da pa¬ gare fosse la sua vita, non esiterebbe un attimo di più a proclamare Stati e riconoscimenti mentre, invece, il prevedibile massacro di tanti innocenti gli sembra un prezzo troppo alto. Senza contare, ha aggiunto, che un fin de non recevoir da parte di Gerusalemme e di Washington, tutt'altro da scartare pendendo le elezioni, lascerebbe l'Olp con un osso spolpato in mano. Il destino dei palestinesi appare costretto, come in un amaro sandwich, tra il sogno di liberare la Palestina tutta e la realtà di Israele, settima potenza del mondo, prima del Medio Oriente. Che fare, allora? Hemingway diceva che è meglio cambiar parere che cambiare bar. Per tanto il sottoscritto, smentendo sé stesso, vorrebbe consigliare Arafat (che conosce dal remoto 1956) di non perdere l'autobus del destino. Transita una volta soltanto e il biglietto è di sola andata; passando per la cruna del coraggio ha come destinazione la Storia. Trent'anni fa la rivoluzione algerina osò prendere quell'autobus rischiando lo sfascio del FLN e subendo non solamente buoni consigli ma altresì tremendi massacri di innocenti. E vinse sul più diffìcile dei terreni: quello politico.