La rivolta delle indossatrici di Furio Colombo

La rivolta delle indossatrici UNA PROTESTA CHE HA COLTO DI SORPRESA NEW YORK La rivolta delle indossatrici B»enda Jordan rifiuta dì far pubblicità alle sigarette e ai diamanti del Sud Africa - Diane Erickson non vuole partecipare al lancio di un whisky - E' con loro Jeffrey Calenberg, il campione dei modelli: «Se fumo, i ragazzi fumano; se bevo i ragazzi bevono» - Perdono offerte da un milione di dollari, rischiano rappresaglie: ma il fronte si allarga NEW YORK — Quanto guadagna una modella che rappresenta, per esempio, una marca di sigarette? Se la modella è importante, qualcuna che si sia già imposta sulle copertine di Vogue, come Brenda Jordan, il contratto non è indifferente. Basta un milione di dollari l'anno per dieci anni? Non sempre, e in ogni caso soltanto se la modella ha personalità, qualità di comunicazione, e può assumere il ruolo di spokeperson, di portavoce del prodotto, cioè qualcuna che non solo offre il viso alla pubblicità, in televisione e nei cartelloni sulle autostrade, ma fa anche conferenze stampa, appare in pubblico, e in ogni circostanza rappresenta un nome e una marca. E' una posizione talmente ambita, che c'è chi entra nella moda — ma anche nel teatro, nel cinema, nella televisione — per approdare a questa funzione che le donne, per un miracolo di grazia e bellezza, possono raggiungere giovanissime, mentre per gli uomini arriva quasi sempre in età matura. Cari Maulden, per esempio, rappresenta l'American Express dopo una vita dedicata al cinema poliziesco e alle serie d'avventure televisive (Le strade di San Francisco;. Brenda Jordan, modella nera chiamata «Velluto», ci arriva adesso, a ventidue anni. O meglio, ci sarebbe arrivata, se avesse detto di si. Brenda Jordan ha detto no, e questo, mormorano nel giro delle agenzie, le creerà qualche problema anche negli altri aspetti della sua carriera. E' desiderata ed è brava. Ma è «una che fa storie», come dicono i tecnici della p-rofessione, e c'è sempre il rischio che se la leghino al dito. Nonostante le intercessioni del suo agente, Brenda Jordan è dolcemente irremovibile. Ci sano due cose, che, — lei. dice — non farà mai, per un milione o per due o per dieci. Una è la pubblicità delle sigarette, perché ha visto una sua amica morire di cancro al polmone. L'altra è qualunque prodotto che abbia che fare con il Sud Africa. E questo per lei significa non solo cose che vengono dal Sud Africa (Brenda Jordan esclude la pubblicità dei diamanti, per i quali è ricercatissima a causa del collo lungo, delle mani molto belle) ma anche dei prodotti di aziende che continuano a investire in Sud Africa. Puntigliosa, la signorina Jordan ha visitato i gruppi americani che sostengono il boicottaggio di quel Paese, gli uffici delle Nazioni Unite, e ha un suo libricino nella splendida borsa Fendi. Quando le fanno una proposta, lei consulta il libricino, e dice sì o no, a seconda che il nome sia nella lista. Deborah Taylor, la sua agente all'agenzia di modelle Ford, dimostra tolleranza, dice che «le ragazze sono libere di fare quello che vogliono». Ma non può negare il problema. Un'agenzia guadagna il venti per cento di ogni contratto delle modelle e le modelle come Brenda Jordan non hanno un minuto libero, almeno fino a venticinque anni. Forse la facilità con cui questa testarda modella newyorkese riesce agilmente nel suo slalom fra ciò che vuole e non vuole fare senza incappare a sua volta nel boicottaggio, deriva dall'età (ventun anni) e dallo splendore. Ma il suo comportamento è un fatto nuovo, e non è un fatto isolato. Agenzie, giornali, registi di spot televisivi si trovano con una certa frequenza davanti a un problema che prima, nel mondo delle prestazioni commerciali di questo genere, non esisteva. E non per tutti avere coraggio è facile come per la Jordan. Diane Erickson, celebre bionda delle agenzie di moda, tra un contratto fotografico e l'altro, ha fatto due film e ha avuto successo (uno era Jagged Edge e l'altro Runaway Train). Ma quando è ritornata a fare la modella, si è unita al gruppo che non dice sempre sì. Oltre al Sud Africa, lei è contraria alla pubblicità degli alcolici pesanti (whiskey, brandy «perché, dice, troppi ragazzi si uccidono dopo avere bevuto e io quel tipo di responsabilità non la voglio»;. Afa Diane Erickson ha passato i trent'anni e nonostante la bellezza, la sua capacità di offesa e difesa—come lei dice — è minore. Incalzano sedi¬ ctp cenni che sono bellissime. Naturalmente il problema esiste per i pubblicitari dei tre prodotti che ormai sono oggetti di «embargo' nel mondo della moda americana: alcol, sigarette e Sud Africa. Le sedicenni di rincalzo non possono bere, non dovrebbero fumare e non vanno bene per i prodotti che richiedono una bellezza più matura, come i diamanti Nonostante ciò Diane Erickson comincia a sentire l'effetto inverso, del boicottaggio verso di lei. Le grandi agenzie la evitano, deve servirsi di una piccola agenzia indipendente, il lavoro non manca, ma pur guadagnando bene «siamo scesi, dice ridendo, siamo al dieci per cento di prima. Diciamo che metà si deve all'età e metà al boicottaggio di ritorno». La Erickson fa, part-time, la giornalista, avrà forse altre scritture per il cinema, è una donna intelligente e non è preoccupata. Ma il problema esiste e — dicono nelle agenzie — quelli come lei sono il problema. In testa a tutti c'è Jeffrey Calenberg, faccia da banchiere giovane, tra sportivo e pensoso, non giovanissimo, ma in forma perfetta, come devono essere gli uomini modelli. E'il campione della moda americana, da Ralph Lauren a Brooks Brothers. Ma ha gli stessi divieti autoimposti delle sue colleghe bellissime. «Benson and Hedges», la famosa marca di sigarette, non è riuscita a fargli cambiare idea, né per un milione di dollari né per cifre più grandi: «Se io fumo, i ragazzi fumano, se io bevo i ragazzi bevono. Ho un'immagine e non posso dare questo tipo di esempi». Difficile crederlo, ma Jeffrey Calenberg, modello, che nonostante la sua aria gradevole di professionista di successo non ha mai svolto alcun altro mestiere, è un uomo religioso, convinto che uno deve avere principi e che non c'è nessuna ragione di violare quei principi: «Altrimenti che senso ha vivere, guadagnare, avere successo?». // vento di protesta nel mondo della moda ha colto di sorpresa New York. Questa è gente bella e gradevole a cui nessuno si era mai sognato di attribuire una personalità, figuriamoci una personalità ostinata che non cede neppure al milione di dollari. Eppure il fronte si sta allargando. Raccontano che in alcune agenzie alcune modelle rifiutano di portare pellicce nelle sfilate, in solidarietà con i movimenti di liberazione degli animali. Si calcola che siano più dal dieci per cento a New York le modelle, bianche e nere, contro il Sud Africa. E sulle questioni ecologiche, le giovanissime, che potrebbero provvedere alla sostituzione, sono le più inflessibili. Poi c'è la questione delle fàbbriche. Un gruppo di modelle ha cominciato a sollevare obiezioni sulle etichette Made in Taiwan delle cose che indossano. Perché non in America, dove c'è disoccupazione nel settore della moda? Altre obiettano se il Paese in cui risulta confezionato il vestito o l'oggetto che mostrano è un Paese noto per lo sfruttamento del lavoro. C'è un gruppo di ragazze e di modelli che fa i suoi giri periodici nel sottomondo di New York, dove portoricani e messicani tagliano e cuciono di nascosto, per pochi dollari l'ora. La posizione delle modelle è questa: «Non vogliamo vendere il lavoro forzato». Presentano liste, indirizzi, vogliono garanzie che questo o quell'indumento non venga dai luoghi dove la gente è sottopagata. Oppure esigono che il compenso delle sarte venga adeguato. Di solito i gruppi di questo genere sono guidati da donne di tale successo nella professione che impongono attenzione nonostante che le loro richieste siano in genere considerate •da pazzi-. Ma il problema, per le con troparti, è questo. Le modelle sono visi celebri. E' vero che si possono far scomparire in pochi mesi, tagliandole progressivamente dagli impegni più in i>ista (la Erickson dice che con lei ci provano conti nuamente). E'anche vero che una volta che le indossatrici hanno acquistato l'uso della parola, è un po' difficile toglierglielo. Hanno fascino, hanno presa popolare, e per ora sia le aziende pubblicita¬ rie che i fabbricanti dei prodotti in questione preferiscono la linea soffice. I centri di questa protesta sono Chicago, Los Angeles e New York. «Ma, dicono nelle agenzie, sono le modelle e alcuni indossatori di Manhattan a guidare questa rivolta che assomiglia alle fiabe dei soldatini di piombo che diventano soldati veri». Non è chiaro se il movimento sia esteso e sei partecipanti siano molti. «Diciamo il dieci per cento», suggeriscono nette due grandi agenzie di New York. Ma il dieci per cento è moltissimo, se si pensa che comprende alcune «dive» e «divi» del mestiere, e che c'è il tempo per far dilagare il fenomeno, vista l'incertezza dei pubblicitari, la preferenza per il silenzio, il rischio che le ragazze parlino con la stampa ad alta voce. Sono in molti a considerare una fortuna che finora nessuna ragazza abbia concesso interviste o scritto dichiarazioni, che i giornali americani non ne abbiano quasi parlato, che la televisione non sia intervenuta sull'argomento. Coloro che percorrono dall'interno il mondo della moda dicono che ci sono per ora tre gruppi, i •cristiani» che si oppongono quasi solo al tabacco e all'alcol, i 'verdi» che non fanno pubblicità a nulla che abbia che fare con gli animali e i «politici» che antagonizzano i prodotti sudafricani e le cose fatte al mercato nero del lavoro. II fatto è che i tre gruppi si intendono, si parlano e stanno assimilando le più giovani almeno attraverso uno dei tre percorsi, quello della lotta alle pellicce, che è un pericolo non da poco nella moda. Brenda Jordan sorride dolcissima e assicura che lei non molla. E pazienza per il milione di dollari. Jeffrey Calenberg, con la sua bella faccia che dà fiducia, dice che non ha alcuna intenzione di venire a patti e dì diventare simbolo di cose che fanno male alla gente e specialmente ai giovani. Diane Erickson si rende conto che la sua stagione volge alla fine. «Ma dopo i trenta vai in discesa comunque nel nostro lavoro. E' Dello pensare che la colpa non è degli anni che passano ma di una cosa buona di cui sei convinta». Tutti sperano nel silenzio. E il lieve attrito di idee e di opinioni dentro la moda continua, con i traiti eleganti, le giravolte e ì sorrisi di sempre. Perora, da fuori, quasi nessuno sa niente. Furio Colombo New York. Jeffrey Calenberg e, sopra, cinque immagini di Brenda Jordan: i.due leader degli indossatori in rivolta