Si dimette il premier, caos in Iran

Si dimette il premier, caos in Iran Hussein Musavi vuole ritirarsi, Khomeini lo richiama: «Non borbottare, torna al lavoro» Si dimette il premier, caos in Iran Dqpo la tregua con l'Iraq, più acuti i contrasti tra l'ala riformista del primo ministro e il clero conservatore - Il Parlamento rinvia il voto di fiducia - L'opposizione: il regime si sta disintegrando NOSTRO SERVIZIO TEHERAN — I brontolìi della tempesta In arrivo s'erano avvertiti al momento dell'accettazione della risoluzione 598 delle Nazioni Unite e della conseguente tregua d'armi con l'Iraq, dopo otto anni di carneficina. Ieri mattina, senza apparenti segnali premonitori, la crisi è però esplosa. Il primo ministro iraniano Hussein Musavi ha rassegnato le dimissioni nelle mani del presidente della Repubblica, Ali Khamenei, rimanendo a disposizione del Paese «soltanto per gli affari correnti». Il capo dello Stato, un vecchio nemico di Musavi, esponente di spicco dell'ala dura del clero, non ha accettato le dimissioni (un semplice gesto di cortesia, su questo nessuno ha avuto dubbi), il cui significato agli osservatori non è ancora ben chiaro, né al momento si può intuire quali riflessi potranno avere nel quadro politico già instabile della Repubblica islamica. Un Paese profondamente segnato dai guasti della guerra e soprat¬ tutto in preda a nervosismi e sospetti'alimentati dalla fragile salute del vecchio Khomeini. Nella lettera a Khamenei, il cui testo è stato pubblicato integralmente dal quotidiano di Teheran Johmuri Eslami e ripreso più tardi dall'agenzia Ima, il primo ministro spiega i motivi della sua decisione: egli era convinto che otto dei suoi ventuno ministri non avrebbero ottenuto la fiducia del Majlis (il Parlamento) ma non ha precisato le ragioni della sua convinzione. E' cominciata così una giornata frenetica, a Teheran come a Ginevra, dove langue la trattativa con l'Iraq, ed anche a Nicosia: nella capitale cipriota, alla vigìlia dell'apertura della conferenza dei Paesi non allineati, la crisi iraniana ha colto di sorpresa capi di Stato e di governo, ministri degli Esteri e ambasciatori. Ma siamo in Iran, e il colpo di scena non poteva farsi attendere troppo. In serata, il leader spirituale del Paese, l'ayatollah Khomeini, ha rimproverato il primo ministro, suo pupillo e suo protetto per anni, chiedendogli di smettere di «fare storie» e di tornare al suo lavoro. In una lettera a Musavi, Khomeini afferma: «Quando il popolo sacrifica i propri figli per amore dell'Islam, non è il momento di borbottare e di dare le dimissioni». La bacchettata del vecchio ayatollah probabilmente servirà a mascherare la crisi, a ricompattare il Parlamento e arrivare a quel voto di fiducia che Musavi temeva di non ottenere nella seduta di ieri, subito rinviata. Dopotutto, il primo ministro si era tenuto abbastanza sul vago: non ha menzionato gli otto ministri contestati, limitandosi a precisare che gli sarebbe stato impossibile governare se qualcuno dei suoi ministri fosse stato bocciato dal Majlis. Hussein Musavi, 46 anni, architetto, ex giornalista (ha lavorato per qualche tempo proprio al Johmuri Eslami) divenne primo ministro nel 1981, dopo tre mesi al ministero degli Esteri. In anni precedenti aveva militato nello scomparso Partito della Repubblica islamica. Dopo le elezioni della scorsa primavera la sua posizione si era alquanto rafforzata: l'ala fondamentalista del regime, che spinge per riforme economiche radicali, in contrapposizione con l'elite tradizionalista del clero islamico e con i signori del Bazaar di Teheran, aveva ottenuto successi più che significativi. Lo stesso Khomeini negli ultimi mesi aveva abbandonato la linea mediana tra i due blocchi, manifestando apertamente il suo appoggio alla corrente del primo ministro. Il ministro degli Esteri Ali Akbar Velayati, che ieri sera avrebbe dovuto raggiungere Nicosia per la conferenza ministeriale dei «Non allineati», ha annullato il viaggio preferendo rimanere a Ginevra, a disposizione del rappresentante di Perez de Cuéllar, il diplomatico svedese Ian Eliasson. Questi ha avuto contatti telefonici sia con i negoziatori iracheni sia con gli iraniani, ma il fatto che i ministri degli Esteri dei due Paesi da sabato notte non abbiano messo piede nel Palazzo delle Nazioni sembra indicare che tutti i tentativi di elaborare una formula di compromesso suscettibile di superare l'impasse sono rimasti finora infruttuosi. L'opposizione anti-kho meinista ha subito reagito con durezza alle dimissioni di Musavi. Un comunicato dell'ufficio dei mujaheddin del popolo diffuso a Bagh dad afferma che la crisi in dica «rinfiammarsi dell'insanabile conflitto all'interno di un regime illegittimo che sta decisamente precipitando verso la Sua disintegrazione». Secondo il presi dente del Consiglio nazionale della resistenza Rajavi la mossa di Musavi dimostra che «t contrasti all'interno del regime non potevano essere più a lungo celati. In altre parole, è apparso il primo sintomo del mortale vele no della pace che Khomeini ha ammesso di aver inghiot¬ tito» e. st.