Guido Reni, il colore del sublime

Guido Reni, il colore del sublime OPERE DA TUTTO IL MONDO A BOLOGNA PER LA MOSTRA, CHE POI ANDRA' IN AMERICA Guido Reni, il colore del sublime Oltre ottanta opere ripropongono, nella sua città, la mitica immagine del pittore-filosofo - La «Strage degli Innocenti» e la «Pala dei Mendicanti» sono i due volti del maestro, fra ideale classico e austerità cattolica - Gli esordi carracceschi esposti al Museo Archeologico -1 trionfi romani e la gloria in patria - L'eredità veneziana riveste d'argento i miti greci - Gli ultimi capolavori aperti verso il '700 BOLOGNA — Nel 1614, il quarantenne Guido Reni è in procinto di rientrare definitivamente a Bologna dopo quattordici anni di glorie romane, come primo erede di Annibale Carracci, glorie culminanti e concluse con il Casino dell'Aurora: riceve il primo pagamento per la colossale Pietà dei mendicanti, 7 metri per 3,5, che, inamovibile dal suo ultimo approdo su una parete della Pinacoteca Nazionale, costituisce il fulcro centrale della mostra di oltre ottanta opere, curata da Andrea Emiliani con catalogo della Nuova Alfa (fino al 10 novembre; successive tappe ai musei statunitensi di Los Angeles, dal 10 dicembre, c di Fort Worth nel Texas dall'll marzo'89). In quel 1614 un piccolo poeta locale, il Minozzi, celebrava il Reni come «il Platone dei poeti muti, il Virgilio dei disegnatori, l'Aristotile dei pittori». Bologna la dotta aveva trovato ed estratto, dalla radice «naturale» dell'Accademia carracccsca, il suo pittore-filosofo, quale era stato un secolo prima Raffaello per l'umanesimo urbinate-romano e quale sarà di lì a poco, per Roma c Parigi, il Poussin, sublime debitore e di Raffaello e di Guido: basti guardare in mostra, per entrambi i termini, Raffaello e Poussin, la Strage degli innocenti; Sansone vittorioso, le due versioni di Napoli e di Madrid di Atalanta e Ippomenc, per la prima volta a confronto; lo smalto ideale di un piccolo capolavoro come Bacco e Arianna del Museo di Los Angeles. Sono tutte opere, fra Antico e Nuovo Testamento e le «favole» del mito greco (l'Algarottiijjjgi ,'700, l'Arcangeli in queste - nostra generazione hanno evocato la misura «greca» di Guido), che ruotano intorno al secondo decennio che vede anche nascere la Pietà dei mendicanti, commissionata dal Senato bolognese nel momento in cui era «Cardinal Legato» Maffeo Barberini, il futuro Urbano Vili: in parallelo con questi voli fra le alte sfere dell'idea classica, platonica delle forme pure, con un'architettu¬ ra anche cromatica, tanto perfetta da attingere all'astrazione, la «filosofia» di Guido Reni è pure in grado di rispondere alle richieste più specifiche della Controriforma cattolica. Fulcri strutturali della grande scenografìa sono in alto il rigore orizzontale-verticale del Cristo morto e. de Ila Madonna, e in basso, al centro, l'immagine «storica» di san Carlo Borromeo, nel cui giorno onomastico del 1616 essa fu posta sull'altare. Una risposta «filosofica», dunque, alle istanze di ostensione «naturale» ai fedeli di una sacra visione, ma la cui densa concretezza cromatica — con i suoi rossi, i suoi aranci cangianti in oro, le sue carni brunite, paralleli al Guercino — nasce dalla raggiunta signoria del pittore sul panorama storico dell'arte cristiana, dai simboli delle origini al '500 di Raffaello, di Sebastiano del Piombo, del Barocci con l'altrettanto colossale visione del Perdono di Assisi. E' questo il senso più profondo del legame con Raffaello, scelto dal Reni con chiara coscienza altrettanto formale quanto culturale. Le testimonianze del Malvasia primo minuzioso biografo seicentesco, e del Lanzi nel '700, sono esplicite in proposito. Il Malvasia parla dei suoi scatti d'umore di fronte alle esaltazioni del genio innato da parte di ammiratori: «Che carattere proprio? Che virtù infusa? Con incessante studio e con ostinata fatica si acquistano questi doni»; e, già anziano: 'In ogni tempo havea faticato in estremo... per soddisfare se stesso e gli altri insieme». E il Lanzi ricorda che secondo l'artista le sue opere nascevano come «un prodotto del suo studio e sul bel naturale è-su Raffaello e su' le statue, e le medaglie e i cammei antichi». Ma lo stesso Lanzi, il più al to e nobile storico-critico dopo Giorgio Vasari, aggiunge, cer to pensando sia a Raffaello sia ai miti culturali che stanno risorgendo con Winckelmann e Mengs e David, Goethe . Schelling (tutti ammiratori di | Guido), che somma era la ca- pacità del pittore di variare -«or in una ora in altra maniera con tale destrezza che non vi appare segno di furto... E veramente questo artefice non tanto attese a copiar bèi volti, ma quanto a formarsi in mente una certa idea generale e astratta della bellezza, come sappiamo aver fatto i Greci; e questa modulava poi, e atteggiava a suo senno». L'idea dunque, ma anche la -scienza, la fatica, la professionalità: dal concetto alla materia, ricca e viva, di un pittore altrettanto grande quanto i suoi modelli, a sua volta grande modello per due secoli a venire, fino a David ed Ingres. Le prime tappe del lungo, «faticato» cammino dell'allievo del tardo manierista riformato Denys Calvaert, poi dei Carracci, sono anticipate al vi¬ sitatore nell'ampio preludio storico presso il Museo Civico Archeologico, che illustra la «crisi del manierismo» nel secondo '500 bolognese (Prospero Fontana e la figlia Lavinia, bellissima e singolare pittrice, Sammacchini, Aretusi, Passerotti, lo stesso Calvaert) e il momento germinale degli Incamminati, con capolavori di Annibale, fra cui la Crocifis¬ sione tizianesca-baroccesca ma anche, nel 1583, straordinariamente anticipatrice, e di Lodovico Carracci. A1YAnnunciazione di Lodovico, uno dei suoi vertici giovanili, Guido rende ancora esplicito omaggio nella tela del 1627-29 per Maria de* Medici, passata dai carmelitani di Rue Saint-Jacques a Parigi al Louvre, a seguito della quale, se avesse accettato l'invito della Regina madre di Francia, avrebbe potuto rivaleggiare con Rubens al Luxembourg. Fra le tele esposte al Museo Archeologico, il visitatore potrà soffermarsi utilmente sui Misteri del Rosario da San Domenico, vera e propria antologia fra due generazioni cui sovrintese Lodovico Carracci: con lui, Calvaert, Lavinia Fontana, il Cesi, i giovani Tiarini, Cavedone, Massari, Albani; e di Guido la Resurrezione, già soffusa di quegli argentei lilla e violetti che saranno suoi lungo tutta la vita. Ma soprattutto potrà ammirare tre grandi tele di quell'austero contraltare alla «naturalità» dei Carracci rappresentato da Bartolomeo Cesi, le cui nobilissime, ideali astrazioni pittoriche in chiave di Controriforma furono fonte essenziale per il Reni prima di ribattezzarsi alla fonte della classicità. Ben Io vediamo, al Museo Archeologico, nelle prime grandi pale, l'Apparizione della Vergine a San Domenico con i Misteri del Rosario, dal santuario di San Luca, e l'Assunzione da Pieve di Cento. Esse sono esposte accanto alle delicatezze baroccesche dell'affresco staccato con, la Sacra famiglia e alla Madonna col Bambino e Santi (entrambi di collezione privata), dipinta all'Accademia degli Incamminati su modelli di Annibale e Ludovico, ma già vibrante di grazie fra Raffaello e Correggio e soprattutto di argenti, di verdi spenti, di violetti, di rosa rivalcggianti con il Veronese. Il Malvasia ricordava, fra gli stimatissimi dal pittore, accanto a Raffaello e Correggio, proprio il Veronese, «il suo Paolino». E, sempre più col tempo, la forma e la sostanza gemmea di luce-colore lo testimoniano. Ciò che colpisce e affascina alla Pinacoteca, nel Reni trionfante a partire dagli anni romani, e pur, via via negli anni, solitario, «umoroso», forse misogino in mezzo a una turbolenta e infida corte di allievi e garzoni dai cui volti giovanili traeva modelli anche per le Madonne, certo giocatore forsennato, è il dominio eccezionale di una tastiera vastissima di linguaggi, dal '500 alla contemporaneità del Barocco «classicista», dominata da un'idea sublime della sostanza pittorica. A Roma, i rossi compatti, guercineschi, e la tangibilità carnale dei Santi Pietro e Paolo di Brera, del Davide del Louvre, del Davide e Golia di collezione privata, del Loth e le figlie della National Gallery di Londra, e ancora, nel terzo decennio, nello straordinario, opulento, Giuseppe e la moglie di Putifarre del Visconte Coke a Holkham Hall. Tornato a Bologna, la densa, illusoria fisicità d'impasto, degna di Rubens e di Ribera, delle Storie di Ercole per Ferdinando Gonzaga duca di Mantova, dal Louvre, e dei Busti di Evangelisti già del Duca di Bedford, dalla Bob Jones University di Greenville, U.S.A., così come del Cardinal Legato Roberto Ubaldini del Museo di Los Angeles, tutto un riflesso di rossi e di viola. Una saletta, già avanzata nel percorso di mostra e dedicata ad opere del terzo decennio del secolo, testimonia al meglio questa vastità e dominio e «intelligenza» di linguaggi. La Madonna della sedia dal Prado, con la violenza di blu e di rosso esercitata sulla classicità del modello raffaellesco, da un lato esaurisce e sublima in sé la dcvozionalità di lusso infinite volte divulgata a Firenze dal Dolci, dall'altro ebbe certamente un forte impatto su Ingres quando la vide al Louvre fra le rapine napoleoniche. Per Venere e Cupido del Mu- seum of Art di Toledo, U.S.A.. detto «Il diamante» perché questo fu il pagamento dato a Reni dal gioielliere committente (Malvasia), ma forse anche per i gemmei fulgori di oro, rosa e viola, il Reni scelse l'omaggio cromatico alle preziosità del Veronese, ma nel contempo anche, dopo un secolo, il ricordo formale del più raffinato manierismo emiliano. Infine, nel Suicidio di Cleopatra di collezione privata fiorentina, sulla forma astratta di marmo pario dello stupendo corpo fra tendaggi sanguigni il pittore effuse lievi ombre verdastre, in accordo con il verde smeraldo del panno che copre scarsamente, con assoluto erotismo, il sesso e i gomiti. Con queste due opere è già aperta la(strada, nel quarto de-, cennio, alla «sublime» evanescenza brunoargentea, alla modellazione puramente più torica donde la favola dell'artista folle giocatore, che non le finiva per urgenza di danaro delle ultime opere. In esse il timone, ancora ben saldo in mano, trascende l'ideale classico per approdare addirittura al '700 di Fragonard, di Grcuzc. di Gainsborough. Marco Rosei Guido Reni: «Venere e Cupido» (Particolare dell'opera giunta dal Museo di Toledo, Ohio, Usa) Guido Reni: «Sibilla» (Londra, Collezione Mahon, pari. 1