Gheddafi in doppiopetto di Igor Man

Gheddafi in doppiopetto A marce forzate verso la rispettabilità internazionale Gheddafi in doppiopetto (La svolta «liberal» nel segno della lotta ai Comitati rivoluzionari) Continua, a tappe forzate, la marcia di Gheddafi verso la rispettabilità (internazionale). Nel marzo scorso, con uno dei suoi tipici gesti spettacolari, il Colonnello, guidando con grinta ovviamente rivoluzionaria un bulldozer (made in Usa) abbatteva il muro di cinta della prigione di Tripoli: dalla breccia esplodevano ben 400 detenuti, in attesa da ore con tutta la roba, accolti dalle famiglie tra pianti, grida e marce dell'Aida, «lo sono un liberatore, non un carceriere», proclamò allora Gheddafi annunciando la fine dello Stato di polizia. Successivamente, in giugno, Al Qaid commentava con «soddisfazione ed orgoglio», la Carta dei diritti umani approvata dal Congresso generale del Popolo, preludio alla nuova Costituzione ancora in fieri ma, per quel che se ne sa, addirittura «inglese» in quanto a garantismo: niente manette facili, habeas corpus, processi regolari, libertà d'espressione. Tutta l'estate libica ha visto, coerentemente con il nuovo corso di Gheddafi, susseguirsi colpi di scena nel segno della liberalizzazione. La totale riapertura del suk (già soppiantato dai «magazzini del popolo»); il rifiorire dei caffé con il ritorno festeggiatissimo dei gelati; non più impedimenti doganali o di polizia alla frontiera con la Tunisia; l'accoglienza davvero trionfale tributata al presi dente tunisino Ben Ali; un convegno sui diritti umani al quale ha partecipato Amnesty International e, "infine. Tinopinato, ancorché auspicato, licenziamento dei Comitati rivoluzionari. Lunedì 29 agosto, alla vigilia delle celebrazioni non più condite da parate militari, del XIX anniversario della sua rivoluzione, Gheddafi ha pronunciato un discorso di. due ore, trasmesso in diretta dalla tv, nella sede del Congresso generale del Popolo, davanti a una platea «in parte osannante, in parte silenziosa». Un attacco implacabile contro il potente Movimento dei Comitati rivoluzionari, una sorta di Stato nello Stato. Gheddafi aveva voluto i Comitati rivoluzionari nel 1977 «come arma per la difesa della rivoluzione» e, insieme, per postulare una sorta di maoismo maghrebino all'insegna dello spontaneismo «puro e duro» delle masse. Ma, nel tempo, i Comitati rivoluzionari si sarebbero, via via, rivelati protagonisti sprovveduti di squallide operazioni pseudorivoluzionarie le cui improvvide ricadute han coperto, spesso, di discredito, e a volte persino di ridicolo, Al Qaid. Costui sarà un personaggio erratico, un autentico autodidatta e, per tanto, «mente mobile», tuttavia ha il gran merito di parlare fuor dai denti. Freddamente ha accusato i Comitati rivoluzionari di aver commesso sinanco crimini «eliminando esponenti significativi della volontà popolare». Per carità di patria, Gheddafi non ha fatto cenno ai cupi intrallazzi dei presun tuosi, ignoranti membri dei Comitati rivoluzionari, opperò ha concluso la sua requisitoria contro di loro dichiarando che, nel bene e nel male, il loro compito s'era «storicamente esaurito». C'è di più: martedì 30 agosto, il Colonnello interveniva a un dibattito di donne per esaltarne «il diritto alla partecipazione totale», contro ogni maschilista pretesa di emarginarle. Con l'occasione, acclamatissimo, dichiarava di «annullare» unilateralmente la «innaturale» frontiera con l'Algeria. Il giorno successivo, il Colonnello si presentava alla cerimonia del giuramento dei cadetti militari, mano nella mano con Arafat. Subito dopo la sfilata, l'annuncio clamoroso che da quel momento esercito e polizia erano «aboliti». E finalmente, il primo di settembre, nella Piazza Verde, Gheddafi oltre a ratificare per così dire le decisioni estive, ha annunciato la nascita (o la rinascita?) nella Jamahirya del libero mercato. Con una piccola sfumatura: ha rispolverato una vecchia «proposta islamico-rivoluzionaria», quella di abolire il dollaro come moneta di scambio, sostituendolo con l'arcaico baratto. (In verità egli vorrebbe pagare tutto col suo petrolio fissandone, ovviamente, lui il prezzo). Chi non conosce bene Gheddafi sostiene ch'egli non accetti consigli da chicchessia. In verità Gheddafi, ha simiglianza d'un famoso personaggio di Eduardo De Filippo, ascolta le «voci di dentro». Religioso in manie ra profonda e speculativa, con l'aggiunta di qualche rapimento mistico, il Colonnello riflette a lungo nel deserto, di notte, e s'affida a quel che. poi, il suo istinto sembra sug¬ gerirgli «per volere di Dio». Ma è anche vero che ascolta chi sa ben consigliarlo; solo che ci mette un po' troppo a digerire i buoni consigli. Possiamo qui dire — per esperienza^ diretta — che i consigli elargitigli nel tempo da Mitterrand, da Kreisky, da Andreotti, da Craxi, oggi sembrano trovare uno sbocco positivo in Libia grazie all'esempio, più che al consiglio, di un personaggio che sta rivelando notevole temperamento: il presidente tunisino Ben Ali. Senza scosse né fanfare, Ben Ali ha democratizzato il partito ufficiale, ha liberato i prigionieri della politica umorale di Burghiba, ha rivitalizzato il settore privato. Ha capito, soprattutto, che bisogna aiutare Arafat ad uscire dalla trappola del dogmatismo, della sterile intransigenza anti-israelianà. Non a caso, nei giorni scorsi, Gheddafi ha riunito a Tripoli tutti i leader di quella organizzazione-ombrello ch'è l'Olp. Palestinesi d'ogni tendenza lo han visto, per la prima volta, darsi da fare nella insolita veste del mediatore. A ben vedere questo è forse il primo «successo» del nuovo corso libico: emarginato ferocemente sino a ieri, Gheddafi sembra esser riuscito a dar di se stesso una immagine positiva, a presentarsi come un possibile e valido interlocutore-ponte in quel mare morto ch'è la annosa, tragica querelle fra palestinesi ed israeliani. Rimane, tuttavia, il problema di spiegare Gheddafi agli americani e l'America a Gheddafi. Igor Man

Luoghi citati: Algeria, America, Libia, Tripoli, Tunisia, Usa