«L'Urss rinunci al suo Impero» di Emanuele Novazio

«L'Urss rinunci al suo Impero» Parla Afanasiev, lo storico vicino a Gorbaciov «L'Urss rinunci al suo Impero» «Repubbliche sovietiche e Paesi dell'Est devono essere sovrani» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE MOSCA—Chiede «soctalismi diversi» nell'Est europeo e nelle Repubbliche dell'Urss. Auspica una "sovranità vera» per i Paesi del Patto di Varsavia, che garantisca perfino la possibilità di abbandonare il socialismo. Critica con severità i giudizi ufficiali di Mosca sulla Primavera di Praga, denuncia i loro "trucchi stalinisti». Dal suo ufficio austero aUMstituto storico e degli archivi dell'Urss», che dirige da quando Gorbaciov è al potere, Yuri Afanasiev lancia un'altra sfida, intellettuale e politica, ai consolidati patrimoni della storia e dell'ideologia sovietica. Dimostrando, ancora una volta, di essere tra gli intellettuali più controversi del Paese; uno dei più coraggiosi, dei più esposti. Professor Afanasiev, quali sono secondo lei le prospettive del blocco sovietico? Stabilità o instabilità? «La vita diventa complicata dappertutto, e l'Est non fa eccezione. Ma questa complessità non è per forza un fenomeno negativo. Può essere, al contrario, una necessita vitale. La prospettiva dei rapporti tra Paesi socialisti, secondo me, è chiara: passeremo da una salda unità dichiarata a parole a un'unità basata sulle diversità, un'unità che nasce dalle diversità. In altre parole la norma deve essere: molte vie verso diversi socialismi. E non credo che questa varietà di modelli di socialismo significhi instabilità: la diversità è la strada verso la vera unità e stabilità. Anche se questo è molto più complicato della via seguita finora. Anche nelle Repubbliche sovietiche il socialismo non può essere uguale dappertutto: non deve essere uguale nelle Repubbliche baltiche é nel Caucaso, per esempio. Non io può essere: sono culture diverse, a partire dalle tradizioni fino alla lavorazione dei campi. Ottenere la totale unificazione, l'omogeneità, significa far violenza alla natura». Ma come realizzare un simile progetto senza scatenare forze centrifughe? «Le forze centrifughe ci sono sempre state e ci sono anche adesso. L'unificazione "fatta col ferro da stiro" ha sempre suscitato emozioni negative. Per provocare il movimento verso il centro non bisogna forzare; il movimento deve essere naturale e il centro non deve essere necessariamente a Mosca. Potrebbe accadere, per esempio, che ad "attirarsi" fossero l'Estonia e l'Armenia. Questo centro deve essere l'idea di socialismo scientifico, umano, democratico». Questo significa mettere in crisi un modello di potere consolidato da settantanni. «Quel modello, precedente alla perestrojka, deve essere distrutto, non solo messo in crisi». Sia in Urss sia nei Paesi deU'Est? «Certo. Il nostro sogno dev'essere l'unione di Paesi socialisti uguali, con gli stessi diritti, come pensava Lenin. E l'Urss deve essere una federazione di Repubbliche uguali nei diritti, come pensava Lenin. Ma Lenin perse lo scontro con Stalin e di fatto si è realizzato uno Stato fortemente centralizzato con autonomie molto deboli. Non abbiamo Repubbliche autonome, ma piuttosto province suddite del centro. L'unione dei Paesi socialisti e, all'interno dell'Urss, delle varie Repubbliche, deve essere basata invece sul principio dell'attrazione: come avviene che un'amante attirar ara ante". Ma cambiare questi rapporti vuol dire capovolgere il potere in Urss. «Certo, se parliamo seriamente di democratizzazione bisogna capovolgere». Ma capovolgere fin dove? E che significa davvero capovolgere? «E' un problema complicato. La Pravda ha pubblicato di recente un commento a un .mio intervento sulle sue pagine, in cui ha ri- conosciuto che "da noi c'è alienazione nel popolo sia dalla proprietà sia dal potere". Ma Marx scrisse che il compito principale del socialismo è l'eliminazione di questa alienazione. Che socialismo allora è il nostro, se non si è liberato del difetto principale di tutte le società antagonistiche? Superare questa alienazione sarà una svolta davvero rivoluzionaria. In altre parole, la società deve cambiare non nei dettagli, ma nella sua essenza. Così, se davvero cambieranno le nostre Repubbliche e i Paesi socialisti, i rapporti tra di loro dovranno subire cambiamenti davvero rivoluzionari. In primo luogo, dovranno diventare rapporti basati sulla vera indipendenza e sovranità. Dovranno essere i vari popoli, cioè, a decidere il consumo delle ricchezze nazionali, a decidere che fare dei risultati del loro lavoro. Un altro aspetto della sovranità è che sono i popoli a decidere che tipo di rapporti avere e con chi». Il limite, nell'autonomia dei Paesi dell'Est europeo, resta l'appartenenza al socialismo, o secondo lei c'è la possibilità di abbandonare il socialismo e tentare la via del capitalismo? «Se si tratta di vera sovra¬ nità, come si può prevedere in anticipo in che modo si realizzerà? Non si può negare una tale possibilità. Ogni Paese è sovrano di scegliere la propria via di sviluppo. La scelta deve essere scelta, e non può venir limitata». Nel ventennale dell'invasione della Cecoslovacchia, i commenti ufficiali in Urss sono stati inattesi e duri: in quel Paese, si è scritto, agivano «forze antisocialiste» ed «elementi ostili», e l'intervento ni giustificato. Che ne pensa? «Questi giudizi continuano a riflettere valutazioni tradizionali. Mi pare che la nuova visione del mondo, il nuovo approccio ai problemi sviluppatosi nel frattempo non vi siano riflessi. E' poco fruttuoso spiegare sempre le situazioni complicate parlando delT'interferenza delle forze capitaliste" e di "fattori esterni". Sfuggire alle difficoltà, cercare dei "nemici" del socialismo per combatterli è un trucco stalinista. Non si può continuare a dire che nella Cecoslovacchia del 1968 diventarono attivi elementi antisovietici; bisogna esaminare con occhio più attento i fenomeni di crisi che avvennero allora nel Paese. Credo che troveremmo molto in comune con quanto portò da noi al ventesimo Congresso. Quel che accadde in Cecoslovacchia, d'altro canto, lo si può paragonare a quel che accade in Urss a partire dall'aprile del 1985, il plenum d'avvio della perestrojka. Il '68 rese attive le forze sane che volevano far uscire la Cecoslovacchia dalla crisi. Non erano processi semplici, e non ho intenzione di semplificarli; ma secondo me si trattò anche di uno scarto tra lo sviluppo dei nostri due Paesi, la Cecoslovacchia e l'Urss». Secondo lei come reagirebbe Mosca, se un Paese del blocco socialista decidesse oggi di uscire dall'Impero? «E' chiaro che la reazione sarebbe negativa, non si farebbero fuochi artificiali e parate a festa sulla Piazza Rossa. Credo che le emozioni sarebbero negative anche tra la gente comune». Esistono ancora, nell'Urss di oggi, forze favorevoli alla dottrina Breznev? «Non voglio parlare per i dirigenti. Ma c'è perfino chi vuole restaurare lo stalinismo. Ci sono persone formatesi ai tempi di Stalin che rimangono fedeli ai principi di allora. Sono ancora vivi molti stereotipi, molti miti. Credo che a questa gente piaccia molto quella che in Occidente si chiama "dottrina Breznev"». Questo scontro di forze che esito avrà, secondo lei? «Continuare a vivere come prima è la stessa cosa che cadere in un abisso, tirando con sé tutti quelli che vivono sulla Terra. Il nostro male non può essere soltan to il nostro: così è fatto questo mondo». Emanuele Novazio «Ognuno deve poter scegliere la propria via di sviluppo, anche capitalista». «L'unificazione "con il ferro da stiro" è sempre stata negativa». «Non si può continuare a dire che a Praga nel '68 operavano elementi antisovietici».