Indomite formiche della savana

Indomite formiche della savana NELLAFRIGA CHE VIVE LA RIVINCITA DELLA SUA CULTURA Indomite formiche della savana A loro il nigeriano Chinila Achebe, il più grande scrittore africano d'oggi, ha dedicato l'ultimo romanzo - Sono la gente comune che si oppone al neocolonialismo - Dallo Zambia all'Uganda, una creatività ancestrale resiste e si articola da villaggio a villaggio • Mentre nelle case dei privilegiati la tv porta modelli occidentali, la maggioranza ritrova il grande patrimonio rituale e magico LUSAKA — Alle sette di sera a Lusaka, capitale dello Zambia, dopo una giornata gremita di incontri decido di rilassarmi e accendo la televisione. Il programma è in inglese (in Zambia esistono settantatré etnie, e allora che lingua scegliere?); nella fattispecie, una seriosissima tavola rotonda. L'argomento mi lascia di stucco: perché il cricket non viene in genere praticato dagli zambianì originari? Ed è invece comune presso la minoranza di origine indiana? Il dibattito si srotola a vari livelli, da quello strettamente sportivo al sociologico, allo storico, visto che il cricket resta indubbiamente uno degli emblemi imperiali britannici. Sport di élite, appare confinato appunto all'elite indiana, solida economicamente e intellettualmente, anche se di rado politicamente. Dunque, un'indicazione di status per la diaspora indiana, con la sua fascia di commercianti, di professionisti affermati, ambiguamente attestata in tutta l'Africa nera o cosiddetta subsahariana, accettata o tollerata o detestata, sorta di capro espiatorio. Amin espulse gli indiani dall'Uganda, a Nairobi si può scommettere che la dogana all'aeroporto sarà indulgente e permissiva con tutti, ma costringerà i kenyoti di matrice indiana ad aprire i bagagli e li ispezionerà con minuziosità pròvocatmia. Gli zambiani genuini che partecipano alla tavola rotonda si affannano a difendere la causa del cricket, a proporre che lo si introduca nelle scuole per diffonderlo. Il nocciolo del problema, però, è un altro, e provoca una spontanea domanda: per quale inspiegabile ragione la Tv di Stato di un Paese che soffre di una acuta crisi economica, di un'inflazione galoppante, dove i giornali dedicano lunghi articoli al problema drammatico delle ferrovie obsolete per cui i treni'tenllono a deragliare o a insabbiarsi e non è consentito di fotografare un solo edificio per timore che le immagini servano ai terroristi finanziati dal Sud Africa, perché, dico, la televisione dedica un'ora del suo prezioso tempo a una questione in sostanza risibile? Grandi vecchi La risposta esiste, e neppure troppo complicata. Soltanto chi dispone di notevoli risorse economiche può permettersi di acquistare un televisore; una minoranza, la nuova borghesia africana. Qui le teorie di McLuhan girano miseramente a vuoto: la televisione, e in qualche misura la stessa stampa, non indottrinano quasi nessuno, per il semplice fatto che la grande massa della popolazione il televisore non ce l'ha, e che pochissimi leggono i giornali. Le comunicazioni di massa diventano strumento circoscritto, una catena chiusa. I programmi sono studiati su misura per. /'élite e la ricompattano, la rassicurano, sia essa indiana o indigena, ne rispecchiano le abitudini, le aspirazioni, il modo di vita. Ecco un esempio lampante di ciò che politologi e storici chiamano, un poco genericamente, neo-colonialismo, giacché dell'éìitefa parte anche la classe politica. Il modello televisivo, simmetricamente al modello dì comportamento della borghesia e di molta classe dirigente, rimane occidentale non meno della lingua.-La pubblicità tv e della stampa quotidiana ripropone esemplari occidentali, soprattutto inglesi e americani, utilizzando in proprio personaggi africani. Ma elettrodomestici, pannolini e detersivi, sono gli stessi di Milano, Birmingham o Minneapolis, irraggiungibili e comunque inutili per la gente che li conosce a stento o li ignora del tutto, ma in compenso infoltisce le code nei negozi per procurarsi il mealìe-meal, la farina di granoturco bianco con cui prepararsi il piatto nazionale zambiano, una sorta di morbida polenta. Accanto si colloca una misura per cosi dire educativa e pedagogica, che emerge nei telegiornali o negli editoriali giornalistici con caratteri e ampiezza diversa. In Zambia, Tanzania, Malawi, dove dominano le figure carismatiche dei grandi vecchi, Kaun- l : da, Nyerere, Banda, prevale il tono didattico e populista; in Kenya, il dittatore Arap Moi si riserva ogni sera l'apertura del telegiornale parlando in inglese e in ki-swahili per raggiungere una misura più ampia di ascoltatori. Spetterà a chi osserva la televisione o legge i giornali diffondere i grandi temi, le parole d'ordine politiche, i motivi unificanti che superino la limitazione tribale. Spostiamoci a Kampala, la capitale dell'Uganda, in lenta ripresa dopò decènni di guerra civile. Esistono di fatto due soli alberghi, il lussuoso Shératoh, in fase'di messa a punto, e il vecchio, classico Speke, memorabile in età coloniale e adesso appena decente, con alcune stanze ancora chiuse per effetto delle devastazioni e degli incendi provocati dagli scontri armati. Il bar-ristorante dello Speke costituisce un caratteristico punto di incontro della borghesia di Kampala o di chi aspira a entrare nelle sue grazie: frequentano giovani donne vestite all'europea, con gonne attillate e tacchi a spillo, o uomini in giacca e cravatta. Di fronte parcheggiano Mercedes, Bmw, Fiat «Mirafiori». E' l'ora del caffè pomeridiano, e accanto a me prendono posto due giovani coppie eleganti. Uno degli uomini si rivolge con calcolato distacco al cameriere madido di sudore nella sua giacchetta abbottonata, e gli ordina caffè e panini. «Mi raccomando», dice con arroganza studiatamente controllata, articolando un inglese il più autenticamente corretto, «che il pane non sia stantio» Il cameriere porta le tazze e il bricco del caffè, ma il giovanotto punta silenziosamente il dito: la sua tazza ha il bordo lievemente scheggiato. Il cameriere ritorna con una nuova tazza e con i panini. Come mi aspettavo, i panini vengono rimandati indietro perché non giudicati freschi, e sostituiti alla fine con alcuni involtini locali. Il rituale è compiuto, il privilegio di classe rivendicato, e mi rammenta un direttore di banca incontrato lo scorso anno in Nigeria, vestito esattamente come un funzionario della City e in possesso di un inglese così soavemente sussurrato da sembrare finto. Quel vescovo Naturalmente questa è la punta di un iceberg, investe una cerchia ristretta ma influente: basta infilarsi nella business lounge di un aeroporto africano per rendersene conto. O leggere i romanzi del nigeriano Chinua Achebe, il maggiore scrittore africano vivente. Achebe non è nuovo a questo genere di impietose conferme. Proprio nel suo ultimo romanzo, apparso nel 1987, Anthills of the Savannah, Formicai della savana, Achebe rappresenta la risolutezza spietata della classe dirigente neocolonialista ma anche la capacità indomita di resistenza, la creatività ancestrale della gente comune, simile alla tenacia delle formiche e pronte a ricostruire la casa distrutta, in una specie di grande scommessa sul futuro. E allora, non accontentiamoci di percorrere le strade proverbiali delle metropoli africane, Cairo Road a Lusaka, Kenyatta Avenue a Nairobi, ma frequentiamo i vivaci mercati popolari, entriamo nelle periferie o raggiungiamo i villaggi dell'interno, a ben vedere più sicuri e amichevoli di Manhattan dopo il tramonto. Paradossalmente, il vecchio principio britannico della indirect rule, affidato alla nozione di controllo amministrativo ma non di assimilazione culturale — a differenza della colonizzazione francese, cosi vorace e imperiosa da classificare tutti gli africani quali discendenti di Vercingetorige — non ha sradicato i modi di vita e i costumi tradizionali e imposto necessariamente i propri modelli. Ha inventato confini assurdi, ha incoraggiato il tribalismo per scoraggiare la rivolta, ha sfruttato, ha drenato le risorse, ma ha consentito ai «primitivi» di restare tali. E ora i «primitivi» si prendono la loro rivincita, che è anche una rivincita di riappropriazione culturale. Esiste un caso singolare e fortemente significativo, in questa prospettiva, e riguarda l'arcivescovo cattolico di Lusaka, monsignor Milingo. A Lusaka qualcuno vi dirà che «è prigioniero in Vaticano», e in Italia Giuliano Ferrara provvede a tirarlo fuori dal suo cilindro esibendo un ecclesiastico stregone. Ma la storia è ben più complessa. Come molti membri africani del clero cattolico, monsignor Milingo esercitava ciò che va sotto il nome di African medicine, vale a dire una pratica curativa fondata su basi magiche. In sostanza, rifletteva quel concreto sincretismo che percorre tutta la religiosità africana e che noi tendiamo a liquidare con sbrigativo semplicismo, nel senso che la magia affonda profondamente le sue radici nello spessore dì una realtà quotidiana. Fu richiamato prudentemente a Roma, e ne parlo con un francescano irlandese dal nome sorprendentemente joyciano, padre Edwin Flynn, professore di storia delle religioni all'Università di Lusaka. «Vede, mi spiega padre Flynn, la pratica magica è comune, e del resto il sincretismo non intacca alcun valore assoluto: significa un incontro di esperienze, una visione della realtà. Ma all'arcivescovo VAfrican medicine conferiva un potere speciale. Chi poteva limitarlo, chi dargli ordini nella sua giurisdizione? Cosi lo hanno rimosso». E hanno fatto bene? «No, s'intende. Mi creda, è terribilmente difficile capire queste cose dall'esterno. Le racconto una vicenda. Conoscevo una ragazza zambiana che veniva da me per consigliarsi, e sapeva malissimo l'inglese, per cui comunicavamo con qualche difficoltà. Un giorno la ragazza si innamora di un italiano venuto qui per lavoro, e decide di sposarlo, n padre di lei si oppone, e allora la ragazza fugge di casa e sposa l'italia¬ nttv no. Nasce un figlio. Molto tempo dopo, la ragazza va a trovare il padre e gli porta a vedere il bambino. "Com'è andata?" le chiedo. E lei: "Male. Gli ha dato una banana con il veleno". Io ci casco, e rimango sconvolto, e voglio sapere che veleno, e se il bambino è morto. Ma lei mi guarda stupita, e finalmente capisco. Veleno non è altro che un termine metaforico per l'odio. La ragazza voleva spiegarmi che il padre aveva manifestato il suo odio per il bambino, che non l'aveva perdonata. Già, abbiamo molte cose da imparare, in Africa». Il feticcio Lo stesso olimpo africano si ricompone attraverso questi rapporti interpersonali. Affermare -Dio esiste» non significa nulla, in quanto gli dei incarnano forze endogene, il bene e il male, il tempo e le messi, scambiandosi tra popolo e popolo, in un esodo perenne. «Freud, insiste sorridendo padre Flynn, qui non ha molto corso. In Europa si riconosce che uno soffre di una nevrosi, e quando l'interessato se ne rende conto va dall'analista. Qui invece dichiara: "Ho un dolore al fian¬ co". Ecco la sua nevrosi resa concreta. E pronta a essere curata da quello che noi chiameremmo superficialmente o ottusamente lo stregone». Penso a un talismano acquistato in un mercato in Nigeria, un corno d'antilope riempito di una sostanza saponosa con una piuma rossa infilata, e destinato a tener lontano i ladri. Noi ci rivolgiamo al talismano elettronico dell'antifurto. Nessuno stupore se il più accreditato quotidiano del Malawi, il Malawi News, parte in inglese e parte in lingua locale, racconta la storia di Ndionebwino, un agricoltore tanto fortunato da potersi avvalere di un bulldozer con cui tenta dì aprire un ampio varco in una foresta mai penetrata. Nuovo Sisifo, l'agricoltore torna la mattina per scoprire che il varco da lui aperto si è misteriosamente rinchiuso senza lasciare traccia. Dopo vari e testardi sforzi, ricominciando sempre daccapo, un giorno il poveraccio muore per la fatica e la ràbbia, e né il suo corpo né il bulldozer vengono ritrovati. Allora la madre si rivolge al proprio genitore, Mkulung'anga, celebrato praticante di magìa, capace di curare la lebbra e di uccidere leoni feroci. Una piccola folla di agricoltori assiste agli sforzi di Mkulung'anga, aiutato da una fanciulla, nelle sue incantagioni. D'improvviso appare uno sciame di api, che nelle intenzioni magiche dovrebbero attaccare la foresta. Al contrario, le api si dirigono sulla folla che fugge, lasciando soli il mago e la fanciulla. Più tardi i due verranno trovati morti, e la foresta conserverà i suoi inviolabili segreti, dopo aver inghiottito il feticcio tecnologico e neutralizzata la magia. Bene, un contributo giornalistico di questo genere, sìa pure nelle pagine interne, pa-'• ragondbili alla terza pagina di un giornale italiano, mentre in prima pagina lo stesso' -' numero del Malawi News riporta un discorso del presidente Banda in lode dei successi ottenuti dagli agricoltori ottenendo maggiori raccolti per il bene del Paese, la dice lunga a proposito del nocciolo duro della grande e intatta cultura popolare africana, della sua forza per così dire quotidiana. Essa resiste e sì articola da villaggio a villaggio, ove gradualmente gli elettrodotti portano la corrente nelle capanne; si difende come la foresta magica del Malawi ai cui bordi si può arrivare, come, ho fatto io stesso, in automobile. Claudio Gorlìer Kampala. In due baracche la scuola guida e l'infermeria: è il pieno centro della capitale d'Uganda, che esce dalla guerra civile