Sotto il Gran Sasso una super-trappola per i neutrini solari di Piero Bianucci

Sotto il Gran Sasso una super-trappola per i neutrini solari Rubbia scruterà il evere del Se/e Tra qualche anno la soluzione di un enigma astrofisico Sotto il Gran Sasso una super-trappola per i neutrini solari CARLO Rubbia estrae dalla valigetta un fascicolo di 150 pagine fitto di formule e diagrammi. Sfogliarlo in un certo senso è come assistere in anteprima a un esperimento che si svolgerà nel Laboratorio internazionale del Gran Sasso nei prossimi anni. Obiettivo: risolvere l'enigma dei neutrini prodotti dal Sole nelle reazioni termonucleari che sono all'origine dell'energia della nostra stella (e di tutti gli altri miliardi di stelle). In un secondo tempo, lo fstess© esperimento verrà. Sedificato per chiarire un tìrfi ': interrogativo fondamentale per la fisica delle particelle: se i protoni, e dunque tutta la materia, siano stabili oppure siano destinati, in un tempo che si misura a migliaia di miliardi di miliardi di miliardi di anni, a dissolversi in un lampo di energia. Premio Nobel nel 1984 per la scoperta delle particelle W e Z che dimostrano la sostanziale unità delle «interazioni deboli» (quelle coinvolte nei processi radioattivi) e delle interazioni elettromagnetiche, Rubbia è abituato a lavorare con il grande acceleratore del Cem di Ginevra, dove, aiutato dal collega di Nobel Van Der Meer, ha fatto scontrare ad altissima energia (450 più 450 Oev, cioè gigaelettronvolt, miliardi di elettronvolt) un fascio di protoni e di antiprotoni, materia e antimateria. E' da quelle collisioni che sono sprizzate fuori W e Z. Una fisica «attiva», quella degli acceleratori, una fisica nella quale lo scienziato produce con tecnologie potenti e sofisticate gli eventi fisici che vuole osservare. Ora invece Rubbia, senza affatto abbandonare la fisica «attiva» (anzi: è appena stato eletto direttore scientifico del Cem, la carica al vertice del Laboratorio europeo), si rivolge anche alla fisica «passiva»: una fisica nella quale, ben nascosti sotto terra per schermarsi dal «rumore» di fondo prodotto dai raggi cosmici, gli scienziati si limitano ad at• tendere fenomeni previsti dalla teoria, ma non provocati da loro: appunto, per esempio, l'arrivo dei neutrini solari o il decadimento del protone. «Icarus» è la sigla sotto cui è noto l'esperimento che Rubbia organizzerà in quel Laboratorio del Gran Sasso tenacemente voluto da Antonino Zichichi, un altro fisico di fama, con il quale Rubbia talvolta si è trovato in competizione forse più politica che scientifica «Ecco qui — spiega Rubbia, che incontriamo all'aeroporto di Fiumicino tra un aereo e l'altro —, ecco qui ciò che dovremmo osservare con Icarus: le simulazioni che abbiamo fatto con il metodo Monte Carlo dimostrano che in un anno registreremo cento interazioni tra' neutrini solari ed elettroni. A questo punto, con un numero così alto di eventi, osservati per di più in tempo reale, via via che le interazioni avvengono, il mistero dei neutrini mancanti dovrebbe chiarirsi una volta per sempre». Già, i neutrini mancanti. Perché tutti gli esperimenti per contare i neutrini prodotti dal Sole finora, hanno dato un flusso che è soltanto un terzo, o tutt'al più la metà, di quello previsto. Incominciò il fisico americano Davis nel 1968, con un delicatissimo rivelatore sprofondato in una miniera degli Stati Uniti: e trovò appena un neutrino su tre. Gli ultimi dati vengono invece dai giapponesi del Laboratorio di Kamiokande: e siamo a un neutrino su due. Insomma, i neutrini continuano a mancare all'appello. Eppure Hans Bethe già alla fine degli Anni Trenta ha individuato le reazioni termonucleari attraverso cui il Sole produce energia, lavoro per il quale molto più tardi ha ricevuto il Nobel. E il 98 per cento di questa energia deriva da una reazione chiamata «protone-protone» in seguito alla quale, dal decadimento del berillio, deve essere prodotto un ben determinato numero di neutrini dotati di una ben determinata energia: sulla Terra dovrebbero arrivarne sei milioni per centimetro quadrato ogni secondo. Le reazioni individuate da Bethe non ammettono scappatoie, il Sole, oltre a ir■ radiare una enorme quan-, tita di radiazione elettromagnetica staiffpiù diverse lunghezze d'onda, dalle fonde radio ai raggi X, deve splendere debolmente anche sotto forma di neutrini: si calcola che il 3 per cento della sua energia si esprima appunto attraverso queste particelle. Osservarle è importante almeno per tre motivi strettamente connessi tra di loro: 1 ) per controllare l'esattezza delle reazioni termonucleari previste da Bethe; 2) per avere informazioni di prima mano su ciò che avviene nella parte più intema e inaccessibile del Sole e delle altre stelle; 3) per verificare se sono corrette le nostre idee sui neutrini stessi. il primo punto è di importanza ovvia: praticamente quasi tutta l'energia dell'universo dovrebbe derivare dalle reazioni di fusione termonucleare descritte da Bethe, e accertarlo sperimentalmente è un punto essenziale. n secondo punto si capirà meglio ricordando che la luce del Sole che noi vediamo non è la diretta e immediata espressione energetica delle reazioni termonucleari che avvengono nel cuore della stella. Le reazioni termonucleari producono raggi gamma, cioè radiazione elettromagnetica ad altissima energia e piccolissima hin- ghezza d'onda. Questi raggi gamma devono essere assorbiti e riemessi a lunghezze d'onda maggiori e a energia inferiore-per-moltissime volte prima diventare luce visibile ed emergere alla superficie del Sole (chiamata fotosfera). Il degradarsi dei raggi gamma in luce e la risalita di questa radiazione dalla fornace nucleare contenuta nella parte centrale del Sole fino alla fotosfera richiede almeno un milione di anni: in certo senso, quindi, noi vediamo ciò che succede nel cuore del Sole con un milione di anni di ritardo. Invece per i neutrini la materia è del tutto traspa- rente: appena vengono emessi, attraversano indisturbati tutto il Sole e in otto minuti, alla velocità della luce, arrivano sulla Terra. Mario G. Fracastoro, astronomo che ha dedicato una buona parte del suo tempo allo studio del Sole, ha trovato una volta una bella analogia per rendere l'idea: con 1 neutrini il Sole ci informa sul suo stato di salute tramite dei telegrammi, con la luce invece ci spedisce delle lettere (attraverso le Poste Italiane, aggiungerci, notoriamente non brillanti per prontezza di riflessi). Ancora più interessante è il terzo punto: si potrebbe infatti scoprire, come suggerisce Bruno Pontecorvo, che 1 tre tipi noti di neutrini possono trasformarsi l'uno nell'altro. In questo caso avremmo la prova che essi non sono del tutto privi di massa. E se i neutrini hanno una massa, per quanto piccola, poiché sono numerosissimi e permeano il cosmo intero, ecco che l'universo potrebbe contenere massa sufficiente per invertire un giorno il suo moto di espansione e richiudersi su se stesso. Saremmo cioè in un universo non infinito né nel tempo né nello spazio. Come funziona «Icarus»? Nella sua prima versione, quella per osservare i neutrini solari, l'esperimento consiste essenzialmente in una massa di 200 tonnellate di Argon liquido perfettamente schermata dal fondo di radioattività naturale. In questa massa sono contenuti 5,2 per 10 elevato alla trentunesima elettroni-bersaglio. E' con essi che, ogni tanto, uno dei moltissimi neutrini derivati dal decadimento del berillio nel cuore del Sole dovrebbe interagire. Il rivelatore sarà in grado, grazie alla sua altissima sensibilità, di registrare interazioni a bassa energia (appena tre Mev4 milioni elettronvolt) e di individuare il punto in cui avvengono con l'errore massimo di un millimetro. In una fase successiva l'esperimento sarà invece adattato alla verifica della stabilità del protone. Finora le ricerche su questo tema hanno dato risultati controversi. La teoria che unifica l'interazione elettrodebole (quella dimostrata da Rubbia) e l'interazione forte (quella che tiene insieme i nuclei atomici) prevede che i protoni abbiano una vita media di 10 elevato alla trentunesima (o trentaduesima) anni. Ciò potrebbe essere stabilito con certezza aumentando la massa dell'Argon liquido a parecchie migliaia di tonnellate e ottimizzando tutto il rivelatore per il fenomeno che si desidera studiare. Se poi il decadimento del protone non si vedrà, allora bisognerà rifare tutta la teoria e concludere che la materia è ancora molto più stabile e duratura di quanto si era pensato. Nell'esperimento «Icarus» sono coinvolti cinque istituti di ricerca: il Cem, l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infh). gli istituti di fisica delle Università dell'Aquila e di Padova, e l'Ucla di Los Angeles (Stati Uniti). Non resta, ora, che aspettare l'allestimento del rivelatore. Qualche mese fa ci sono state alcune contestazioni dei «verdi», preoccupati per i «materiali pericolosi» utilizzati nel laboratorio. «Ma ora le cose dovrebbero essersi chiarite — dice Rubbia —. I problemi ambientali non derivano certo dai nostri esperimenti, ma semmai dalle sorgenti di acqua che sono state depressurizzate e deviate per scavare la galleria autostradale». Piero Bianucci SOLE Neutrino deviato Neutrino/ in arrivo^/ / Elettrone con dispersione multipla A / *? , / \ °" Iniziale dell'elettrone Piano del rivelatore di neutrini Il meccanismo attraverso il quale si rivela il neutrino solare nell'esperimento del Gran Sasso

Luoghi citati: Aquila, Ginevra, Los Angeles, Padova, Stati Uniti