Un «Pardo d'oro» diviso a metà di Stefano Reggiani
Un «Pardo d'oro» diviso a metà Premiati a Locamo Davies e Becker; gli italiani a mani vuote Un «Pardo d'oro» diviso a metà promessi, gli altri premi sono: argento all'indiano «Balodhia Choraye Baodan Khai» di Janhu Barun, bronzo all'iraniano «Nakhoda Khorshid» di NasserTaghval (presentato in coda, versione allegorica e pungente di «Avere e non avere» di Hemingway) e al tedesco «Schlafose Nachte» di Marcel Gliser. Menzioni al canadese «Family Viewing» di Atom Egoyan e al giapponese «Kyoshu» di Takehiro Nakajima. L'unica sorpresa è che in quest'orgia di premi non ci sia un italiano, né «Domani accadrà» che pure sembrava ben piazzato, né «Stesso sangue» di Eronico e Cecca, almeno figurativamente significativo. C'è stato verso la selezione italiana, si dice, un pregiudizio ne¬ DAL NOSTRO INVIATO LOCARNO — Si sa che le giurie sono dedite all'arte del compromesso, che eccellono nella mediazione (a costo di pasticci, come la politica italiana ci insegna): ci si aspettava al festival la consacrazione del talento di Terence Davies («Distanl Voices, Stili Lives») e difatti il primo premio, il Pardo d'oro, è puntualmente arrivato, ma, bizzarria del regolamento, insondabilità delle giurie, spartito ex aequo con «Schmetterlinge». Farfalle, del tedesco Wolfgang Becker, un pregevole mediometraggio a passo ridotto e in bianco e nero su un maniaco sessuale, cui poteva, tuttavia, senza intoppo, andare un altro premio. E, nel distillato dei com¬ gativo, come di chi, aspettandosi molto, ottiene poco. Non avrebbe giovato, in quest'ottica, l'anteprima in piazza di «Una donna spezzata», troppo fragile e televisivo per reggere uno spettacolo all'aperto con migliaia di persone. Qualcuno accusa la Rai, nella fattispecie Raidue, di avere imposto prodotti non sempre all'altezza... Ma le scelte sono, non è vero?, del festival e gli eventuali errori della giurìa. A parte le polemiche, sarà l'anno di Davies. E' quasi il riconoscimento di un debito, quattro anni fa a Locamo il primo film di Davies («7Yitogia», molto bello) passò senza un premio, come non se ne fossero accorti, adesso rimediano con l'oro a «Distant Voices», preceduto anche dalle lodi meritate, fuori del concorso, a Cannes. Come si poteva ignorarlo? Davies compone film scavando nel proprio passato familiare, li abbiamo definiti film per fatto personale; sono raccolte di appunti della memoria che egli poi distende in tralicci rigorosissimi. Nato nel '45, ha avuto un'infanzia a Liverpool, è stato contabile e attore dilettante, ha poi frequentato scuole di cinema ed ottenuto finanziamenti per i suoi film, che compone a capitoli, un poco per volta. «Distant Voices» e «Stili Lives» sono appunto due capitoli, affondati negli stessi ricordi, girati a distanza dì tempo con le stesse facce, le stesse parti: la madre, il padre manesco, le sorelle sposate, le porte, gli androni, i pub di Liverpool Anni Cinquanta. Per contenere le spese e per scelta stilistica, ha rievocato il passato come una collana di vecchie fotografie sonore. I personaggi cominciano in posa, come per una solenne istantanea, e il trascorrere del tempo, il tumulto dei sentimenti sono affidati alle canzoni, interpretate soprattutto dalle donne. Come quando, in platea, tutti singhiozzavano per «L'amore è una cosa meravigliosa». Vi ricordate il motivo? Voci distanti, vite immobili, nature morte... Di una pietà tanto più vera, quanto più controllata. Stefano Reggiani a - y? ■ - • .-.eoi?si* Una scena del film di Davies «Distant Voices, Stili Lives» premiato col Pardo d'Oro
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