Sfila la griffe Gorbaciov

Sfila la griffe Gorbaciov Stilisti ambiziosi ma con pochi mezzi, volonterose copie di modelli occidentali: la perestrojka sogna anche un bell'abito Sfila la griffe Gorbaciov Ma nelle strade dominano ancora vecchi tagli e cappotti anonimi - Per la burocrazia l'eleganza è sempre «controrivoluzionaria» NOSTRO SERVIZIO Slava Zaltsev fissa malinconicamente i muri imbiancati del suo ufficio alla Dom Modi, una delle case di moda più prestigiose di Mosca. 'Questa è la mia atmosfera' dice con un gesto di sconforto rivolto alle sedie male assortite e al tavolo da lavoro. L'austerità della stanza è alleggerita qua e là da tocchi di stile: un vaso di calle su un davanzale, la fotografia di due modelle, una vestita sommariamente, l'altra inguauiata in uno dei suoi rilucenti abiti da sera. Raccogliendo le proprie forze, il direttore artistico della Dom Modi si abbandona ad una tirata contro un sistema che, si lamenta, non lo apprezza ancora a sufficienza. Se la prende con funzionari letargici e indifferenti per le numerose negligenze, notando che il ministero dei Servizi, da cui dipende la sua casa di moda, deve anche sovrintendere alle lavanderie della nazione, ai negozi che rimettono a nuovo abiti e scarpe, e ai bagni pubblici. Il ministero, lamenta Zaitsev, battendo sul tavolo per enfatizzare il discorso, non ha ritenuto di dovergli fornire i materiali di base del successo. Aveva messo gli occhi su uno studio d'alabastro, con mobili bianco su bianco. «Afa, come potete vedere...', la sua voce si spegne dolorosamente. Ancor peggio, non gli sono arrivati i materiali grezzi per esercitare il suo mestiere: non i tessuti, non le fodere, neppure i bottoni e le spalline imbottite che sostengono ogni vera collezione. Fino a poco tempo fa, il -Saint Laurent delle steppe-, come è stato definito sia da ammiratori che da oppositori, doveva provare i suoi modelli su un manichino per sarto che risale ai tempi della seconda guerra mondiale. Per quanto egli possa trovare a ridire, le proteste di Zaitsev mettono soltanto in evidenza il fatto che si sta muovendo con agio in un clima permissivo, persino indulgente. Come parte dei suo programma di riforme, il leader sovietico Michail Gorbaciov sta incoraggiando la produzione di beni di consumo, compreso l'abbigliamenti* Le forniture sono scarse e l'ufficio di Zaitsev potrebbe essere più lussuoso. Ma viaggia in Occidente; infatti, ha visitato New York lo scorso ottobre, presentando la sua collezione al Waldorf-Astoria. Non scoraggiato dai critici che hanno definito le sue creazioni eccessivamente elaborate e fuori moda — ricordano la moda occidentale di alcune stagioni addietro — lo stilista intende ritornarvi quest'anno con una collezione più lineare e sexy. Viyacheslav Zaitsev, cinquant'anni, è stato il primo stilista cui il governo ha permesso di firmare i suoi capi. Il suo nome, in grandi caratteri romani e abbreviato in slavo, sovrasta l'ingresso del «teatro della moda" a Mosca, dove le sue collezioni vengono presentate, una volta ai giorno tre giorni alla settimana, alle mogli degli ufficiali d'alto rango, agli artisti, agli attutì, alle casalinghe — a chiunque paghi i tre rubli d'ingresso (circa seimila lire al cambio ufficiale). In una tipica sfilata di Zaitsev le modelle camminano impettite sulla passerella, disposte a squadriglia, indossando abiti lunghi al polpac ciò. Zaitsev afferma che le sue clienti trovano liberatori i suoi tagli ampi e fluttuanti. • Nel passato, le 'ionne some tiche erano costrette dentro i loro abitU. Lì accanto, alla Dom Model!— l'ammiraglia dell'industria sovietica della moda e principale concorrente di Zaitsev — clienti privati danarosi, giornalisti, rappresentanti di industrie tessili e cittadini qualunque affollano un auditorium vivamente illuminato, si sistemano sulle sedie dai cuscini di velluto allineate lungo la passerella e mormorano la loro approvazione ai nuovi stili della stagione. Qui, la patente di star è riservata a pochi designatoli, tra cui Alexander Igman, i cui abiti da uomo abbondanti e poco appariscenti si rifanno allo stile militare, e che ha vestito la squadra sovietica alle Olimpiadi di quest'anno; e Irina Krutikova, che monta pellicce variamente lavorate, alcune delle quali tinte con improbabili colori da caramella, usando pelli di coniglio, visone, volpe, procione e scoiattolo. Che cosa ispira i suoi fantasiosi modelli? «Vengono dall'anima', sostiene la Krutikova. Attualmente, la moda russa è voluminosa e impregnata di romantica nostalgia. Cappotti e vestiti hanno linea a trapezio; gli orli svolazzano e dappertutto il tessuto fluttua, ondeggia e si allarga. L'intenzione è forse quella di ammantare chi l'indossa in un'aura di mistero, come suggeriscono alcuni disegnatori, oppure è semplicemente una concessione alla modestia? Difficile dirlo, ma molti stilisti sovietici evitano gli orli corti e gli abiti aderenti indossati in Occidente. Ciò che manca alla couture In esplicito sex-appeal, tuttavia, viene pienamente compensato dallo scintillio. Gli abiti da sera sono appesantiti da ricami metallici. Anche gli stilisti di abbigliamento sportivo abbondano in ferramenta. -Troppe tasche, troppe cerniere, troppe pieghe e troppe cuciture-, è stata la reazione esasperata di un osservatore americano ad una recente sfilata. Il folklore russo ispira ad alcuni creatori l'uso di motivi campagnoli e ricami su ogni capo, dal cappotto all'abito da sera. Una babushka che si fosse trovata a sbirciare nelle grandi vetrine della Dom Modeli nella scorsa primavera si sarebbe trovata faccia a faccia con i ricordi della sua giovinezza al villaggio. Drappeggiate incongruamente su manichini scarni c'erano aeree camicette di lino con maniche di pelle di montone, corsetti con ricami fiorati e gonne a molti strati in ogni colore dell'arcobaleno. A giudicare dall'abbigliamento del russo medio, la maggior parte di ciò che si vede sulle passerelle di Mo sca vi rimane. L'uomo della strada indossa ancora un prevedibile abito abbondan te ed una cravatta pre-anno data. La sua consorte non abbandona la sua uniforme, i cui requisiti sono un rappot to informe, un paio di stivali consumati e una enorme borsa di plastica, nel caso saltasse fuori qualcosa che vai la pena di comprare. Ma nei quartieri più vecchi di Mosca, nel parco di Gorky o sull'Arbat, ci sono indizi sorprendenti di originalità. Con il desiderio di emergere dal branco, una giovane donna notata in un pomeriggio di primavera indossava una giacca affusolata, con il colletto vistosamente sollevato contro il vento freddo. Una ragazzina con la coda di cavallo portava un giaccone su una minigonna e un paio di calze nere con motivi di pizzo. La sua amica, una lolita dai capelli stopposi, aveva improvvisato una borsa ricavandola da un sacchetto di plastica contrassegnato da Lancòme, il marchio della casa francese di cosmetici. I giovani russi consapevoli della moda sono eguagliati solo dagli americani nella passione per il vestiario leggibile; tutto ciò che ha uno slogan o il marchio del produttore sparisce velocemente dagli scaffali, e gli esperti del settore sono pronti a scommettere che i capi etichettati con la firma dei designer andranno a ruba altrettanto rapidamente. Etichette di stilisti sovietici, sconosciuti fino a un anno fa, abbondano ora ovunque, dai copricapi alla biancheria. Le contraddizioni abbondano. All'interno dell'estesa burocrazia sovietica che governa l'industria, la moda è contemporaneamente incoraggiata come commercio e denigrata come concetto. I russi affascinati dalle firme, per esempio, devono ancora affrontare la vecchia antipa¬ tia ufficiale nei confronti degli appagamenti materiali, un atteggiamento che è stato comicamente descritto sin dal 1939 nel classico Usa «Ninotchka», con Greta Garbo. -Tutto ciò che devi fare è indossare un paio dì calze di seta- dice un amico moscovita della Garbo, «e penseranno che sei un controrivoluzionario'. Nell'era della glasnost, Raissa Gorbaciova ha reso accettabile avere un vivo interesse nei confronti della moda. Il suo guardaroba, che comprende sia indumenti fatti con tessuti europei che disegnati dagli stilisti russi, ha stabilito un nuovo modello che è avidamente studiato dalle donne russe, e si è recentemente incontrata con i rappresentanti della moda per discutere il futuro della loro industria. Per alcuni, tuttavia, l'entusiasmo per la moda sa di corruzione occidentale. Gli autori di «Urss: cento domande e risposte», un opuscolo del 1986 pubblicato dall'agenzia Novosty e distribuito presso gli hotel dell'Intourist, spiegano che per i russi, un'imitazione della moda occidentale, innocua a prima vista, può condurre ad un vero fallimento spirituale e al degrado morale. Ci sono circa trenta case di moda in Unione Sovietica, e ognuna crea prototipi che sono prodotti su vasta scala nelle fabbriche. A causa della loro vicinanza alla Finlandia e alla Scandinavia, gli atelier delle Repubbliche baltiche tradizionalmente offrono una produzione più raffinata rispetto a quelli di Leningrado, Tbilisi o Kiev. Ma Mosca, sebbene sia moderatamente all'avanguardia, rimane il centro di gravità della moda. E' qui che, nei negozi e nelle case di moda, le mogli dei rappresentanti del Politburo vengono a conoscenza delle tendenze più nuove. Talvolta i disegnatori creano modelli moderni, di gran qualità, ma senza nessuna garanzia che vengano prodotti. Irene Andreeva, cinquantacinque anni, primo critico artistico della Dom Modeli, accanita fumatrice dalla parlantina sciolta, se la prende con le industrie che, sostiene, hanno fatto del loro meglio per soffocare la creatività. Se un modello non è usuale, è complicato o rivolto a un mercato giovane, si rifiutano semplicemente di produrlo, lamenta. Un rimedio parziale è fornito dalle cooperative finanziate privatamente che, con l'autorizzazione del governo, stanno producendo capi all'occidentale e ben confezionati, in piccole quantità e a prezzi accessibili al consumatore medio. Queste società sono libere di disegnare e produrre le merci, di stabilire i prezzi, di cercare il mercato nazionale ed estero e di incanalare i profitti, sui quali pagano una tassa nominale, nuovamente nell'azienda. L'incoraggiamento dell'iniziativa privata nella moda è «assolutamente coerente con la politica di Gorbaciov di usare ì beni dei consumatori per stimolare la sua riforma' sostiene Thomas Taylor, docente di Economia e Amministrazione aziendale presso la Duke University e autore di «La strategia di Gorbaciov: l'apertura della società chiusa». Come dice Taylor, «i modelli di qualità so7io un forte stimolo per i russi. Sono completamente affascinati dagli abiti di foggia occidentale'. La domanda di abiti di stile occidentale supera di gran lunga l'offerta, al punto che Yuri Soloviev, presidente della Società degli stilisti sovietici e portavoce ufficiale dell'industria della moda, si occupa dell'argomento con circospezione, come se maneggiasse materiale esplosivo, cosa che forse sta facendo. 'Noi non vogliamo essere dominanti nel campo della moda' dice Soloviev. "Non ancora'. Per il moscovita medio, come Soloviev ben sa, un guardaroba alla moda rimane seducentemente fuori portata. I consumatori avventurosi decisi ad acquisire un aspetto occidentale implorano, barattano e lo acquistano prelevandolo direttamente dalle schiene di stranieri ac¬ comodanti. La chitarra solista dei Mister Twister, un grippo rock sovietico in ascesa, ha comprato la sua giacca di pelle nera da motociclista da un turista americano per 400 rubli (circa 640 dollari). Il prezzo è impressionante per gli standard sovietici, è d'accordo, -ma avevo risparmialo un sacco di tempo per una giacca del genere-. Duecento rubli, il salario mensile di un lavoratore medio sovietico, non arrivano tanto lontano quando il prezzo di un decente abito da uomo può superare i 190 rubli, e un vestito di fibra sintetica, moderatamente alla moda, può andare oltre i 90 rubli. Gli alti stivali di cuoio, un requisito necessario nel gelido inverno di Mosca, si trovano ovunque dai 70 ai 140 rubli. Sorprendentemente, molti russi non sono demoralizzati. Sebbene una notevole fetta dei loro guadagni sia utilizzata per l'affitto, il cibo e altri bisogni, sono ugualmente capaci di mettere da parte un po' di contanti. «I risparmi sono così alti nonostante le basse entrate perché c'è poco che valga la pena di comprare- sostiene Richard Ericson, professore di economia presso l'Istituto Averell Harriman della Columbia University. "Ciò che si desidera è difficile da reperire. Una volta che lo si avvisti, possono passare mesi o anni prìiw: che lo si veda di nuovo. Così è meglio andare a far la spesa con molto denaro, per sé e per i propri amici». "Evidentemente, è assai più veloce disegnare ed organizzare una nuova linea di abbigliamento sulla carta piuttosto che produrla realmente» lamentava un recente articolo apparso sul giornale di Mosca Sovietskaya Rossiya. Infatti, può trascorrere un anno e forse più prima che si passi dal disegno e dal campione al prodotto finito. Gli sforzi per galvanizzare l'industria sono ostacolati dalla nota carenza di materiale tessile e macchinari. Al Luxe, il primo ed unico emporio di beni di lusso a Mosca, non c'è quasi traccia di legenda sul piani di vendita. Gli acquirenti vagano con l'espressione stordita mentre giungono i nuovi arrivi, che vengono disposti su manichini danesi così attraenti e realistici che si dice che i primi visitatori abbiano tentato di stringere loro le mani. I soffitti a strisce di alluminio e i pavimenti di marmo, entrambi disegnati dall'Olivetti, sono talmente lucidi da risplendere. Collocato in un ex ristorante del villaggio olimpico di Mosca, il Luxe vende alcune marche straniere, prima fra tutte Pierre Cardin, ma la maggior parte delle merci sono confezionate in Russia. Murat Gadginsky, il quarantunenne direttore, un uomo ben piantato, con i modi espansivi da impresario teatrale, considera il negozio un laboratorio commerciale. I commessi — che ricevono una commissione sulle vendite praticamente senza precedenti — invitano i clienti ad indicare la loro taglia e il colore preferito su uno dei computer italiani presenti nel magazzino. (La vendita con i computer è di per se stessa una novità in un Paese in cui molti acquisti sono ancora registrati sull'abaco). I prezzi oscillano da 110 rubli (220 mila lire al cambio ufficiale) per un abito da donna di lana, alla cifra vertiginosa di 10.850 rubli (una ventina di milioni) per un cappotto di visone. E' più probabile che i cacciatori di affari visitino il Maladojny — Il Negozio dei Giovani — così chiamato certo non a proposito, dal momento che la maggior parte delle merci contenute in questo cavernoso supermercato di stile russo sono per taglia e stile adatti agli adulti. Eppure questo è il posto giusto per trovare minigonne di vinile nero, felpe di produzione sovietica con scritte americane, sporte con stampe contraffatte di Fiorucci e jeans stinti con l'acido. Recentemente, in un mattino infrasettimanale, gli ampi corridoi del Maladojny non erano esattamente brulicanti di gente, ma l'esposizione di merci estere attirava la folla. Una coda si formò immediatamente appena si sparse la voce di una spedizione di scarpe italiane, e ciò che era cominciato come una pacifica scena minacciò di trasformarsi in una rissa quando fu chiaro che, come al solito, c'erano molte meno scarpe che clienti. Piuttosto che lasciarsi coinvolgere in questo genere di combattimenti, molti russi si appoggiano alle sarte o ricorrono alla propria macchina per cucire; stime non ufficiali indicano che circa un terzo dei russi, tanto gli uomini che le donne, confezionano da sé i propri abiti. Alcuni si presentano alle sfilate, dove si danno da fare per schizzare i modelli che intendono copiare più tardi a casa. Altri lavorano su disegni reperibili presso le case di moda o le riviste. Ma le riviste sovietiche di moda sono rare quanto le scarpe firmate. La penuria di pubblicazioni di moda non turba Elena Khudikova. Quando un visitatore americano le si è presentato con un numero recente di Vogue, lo ha sfogliato distrattamente. Due anni fa, la Khudikova si è collocata all'ala estrema della moda sovietica con una collezione di abiti neo-costruttivisti, ispirati ai disegni di tessuti geometrici degli Anni 20 di Lyubov Popova e Varvara Stepanova. Al momento, le fonti della stilista trentenne sono più semplici e più accessibili. Svuota negozi di tessuti e di uniformi alla ricerca di materiale. L'uniforme di un ufficiale si trasforma in un cappotto femminile dall'ampia ruota; la camicia di una donna di servizio diventa un miniabito di cotone nero senza spalline. Gli accessori della Khudikova comprendono una collana di stile egiziano, che ad un esame più attento si rivela un filo di mostrine sovietiche; un paio di orecchini che sono valvole idrauliche riconvertite e un bracciale a spirale che in una vita precedente era la molla di un materasso. I pochi stilisti moscoviti non ufficiali voltano le spalle con ostentazione all'Occidente, saccheggiando la storia sovietica e i moderni mercati dell'usato a caccia di ispirazione. Giacché rifuggono dalle passerelle, questi stilisti più facilmente mostrano i loro lavori nei cabaret o li esibiscono nelle strade come performance artistica. Il loro guru è Garik, trentaquattro anni (il suo vero nome è Oleg Kolomeichuk), un uomo magro, spettrale e con il pizzetto, che si aggira nel suo appartamento ingombro indossando pantaloni da coolie e pantofole cinesi. Divertente e loquace, vi può persuadere in un attimo che il punk è un'invenzione sovietica. Ma al contrario dei punk occidentali degli Anni 70, con le loro spille di sicurezza e T-shirt a brandelli, i punk sovietici, sostiene Garik, amano mettersi in ghingheri. Gli armadi di Garik sono colmi di acquisti ai mercati delle pulci: uno sgargiante assortimento di cravatte d'epoca, baby doli da film, giacche da motociclista. I seguaci di Garik hanno adottato il suo stile irriverente. Per Irene Buourmistrova, ventisette anni, la moda è teatro. Sottolinea questa opinione indossando uno dei suoi costumi, foggiato a razzo e ricavato dall'argenteo materiale isolante di un aeroplano, sulla Piazza Rossa. Quando, dopo pochi minuti, è affiancata da poliziotti in borghese e bruscamente scortata al commissariato, la Buourmistrova non è per nulla turbata e neppure molto sorpresa. «Di solito mi trattenevano per ore o giorni-, dice ad un compagno, "ina ora i miei fermi sono più brevi-. Ruth La Feria Copyright «The New York Times Mattatine» e per l'Italia «La Stampa»