Harrison Ford: «lo eroe per forza»

Harrison Ford: «lo, eroe per forza» Londra, parla «Indiana Jones» sul set della sua terza avventura diretta da Spielberg Harrison Ford: «lo, eroe per forza» «La mia vita è tutta una sfida» - Gli inizi duri quando gli dissero «Meglio che torni all'università», il lavoro da falegname, il successo 20 anni dopo LONDRA — L'Intervista Si svolge a Londra a metà delle riprese dell'ultimo Indiana Jones, e cosi Harrison Ford è abbigliato con tutti i suol accessori leggendari, la cacciatora lisa, il cappellacio di feltro sudato, la frusta a tracolla, i pantaloni larghi; Indiana Jones, insomma, in tutta la sua gloria ed essenza. Siamo in una modesta roulotte installata vicino agli studi, approfittando di una breve sosta nelle riprese. Ford si siede, incrocia le grandi mani, e ti fissa con i suol occhi mansueti, non molto grandi, di un perfetto color verde intenso. Per cominciare dall'inizio bisogna spiegare che quest'uomo oggi tanto di successo ha avuto un esordio durissimo. Harrison Ford aveva 20 anni e un contratto appena firmato con la Columbia quando, dopo una particina di fattorino nel suo primo film, fu convocato nell'ufficio di un alto funzionario della casa cinematografica. 'Senti, giovanotto, voglio raccontarti un aneddoto, gli disse quello. La prima volta che Tony Curtis lavorò in un film, fece la parte di un bambino che portava una lettera. Niente altro ma ci bastò per dire: "Questa è una star". Tu, giovanotto, non hai proprio questo talento. E' per questo che ti suggerisco di tornartene all'università e di scordarti il cinema'. Ricordo l'aneddoto a Indiana Ford e i suoi occhi si oscurano un poco: 'Sì; è la verità, è andata esattamente COSÌ'. Senza talento Ha ancora incontrato quell'uomo? •Sì, cinque anni dopo nella direzione degli studi Twentieth Century Fox; vado poco in quei posti, ma quel giorno stavo li seduto tra cento uomini in camicia e cravatta. E allora si avvicinò un cameriere con un biglietto su un vassoio. Era la prima volta che io vedevo una cosa simile, il biglietto e il vassoio, eccetto che nei film. Lessi il biglietto; c'era scritto il nome del dirigente e sull'altro lato: "Ho perso la scommessa". E quando lo lessi, guardai nella sala per veder dove stava e con mia gioia non ho potuto riconoscerlo: tutti i dirigenti sembravano uguali-. Adesso è facile guardarsi indietro, ma suppongo che un giudizio simile potesse contribuire a rovinarle la vita... "No, non mi rovinò la vita, in realtà era esattamente ciò che era necessario mi sentissi dire, lo funziono bene quando lotto contro qualcosa. Dopo quell'episodio ho saputo che avevo un nemico dichiarato e eterno, e che, pertanto, dovevo costruire la mia fortezza mentale nella direzione opposta. E' così in realtà che mi metto in azione». Nelle interviste, nelle dichiarazioni che ho letto, sempre ritoma la parola sfida, l'attitudine combattiva e tenace di chi si sente sempre in lotta con la vita. E viene da pensare che senza un avvio così negativo non si sarebbe ostinato a diventare un attore: "No, a essere sincero in quel momento quella vicenda mi scoraggiò. Allora io avevo un contratto con la Columbia, e sapevo che mi attendevano comunque quasi sei anni con loro. Tutto questo accadde infatti nei primi sei mesi del contratto. Quella del dirìgente poteva essere l'opinione dell'intera compagnia anche se dentro di me in realtà sapevo che era soltanto il suo parere personale. Ma in ogni caso era l'unico contatto che io avevo con la produzione e, a quanto pareva, era ciò che pensavano del mio lavoro. Così mi dissi, oh merda, sono ben sistemato, posso stare a macerarmi per sei anni. Ma erano così ansiosi di liberarsi di me che annullarono il mio contratto dopo un anno e mezzo». Deve essere stato un anno e mezzo terrificante. Perché non ci fu solo la storia del dirigente. Ho sentito che, per esempio, la obbligarono a tagliarsi i capelli come Elvis Presley. •Sì, mi portarono dal parrucchiere, mostrarono una foto di Elvis e dissero che era cosi che volevano diventassi. Lasciai che me li tagliassero perché allora erano gli Anni Sessanta, io portavo i capelli sulle spalle e sapevo che non mi avrebbero permesso di restare così. Ma era molto chiaro che in questo modo le cose non sarebbero andate bene». Come Elvis In nessuna intervista ha parlato delle umiliazioni e dei soprusi che deve subire chi inizia una carriera. E soprattutto gli attori. "Si. Fino a quando non raggiungi il controllo della tua mente attraverso un processo umiliante. Perché fai errori in pubblico, prendi decisioni che vengono pubblicamente equivocate, e non si tratta di steccare davanti alle 250 persone con cui stai lavorando, ma che questi errori sono fissati sulla pellicola, e ora i film durano per sempre, non è come una volta, ora li trasmettono in televisione, e se sei un imbecille, lo resti per l'eternità. E' così che impari a vivere con i tuoi errori». Non mi riferivo proprio a questo, ma alle umilianti pressioni dell'industria cinematografica. 'Bene, in questo mi fu di grande aiuto avere un altro lavoro, trasformarmi in falegname». Perché Harrison Ford che passò molti anni senza quasi aver contratti come attore, imparo il mestiere di ebanista con manuali presi alla biblioteca pubblica e lavorò come falegname delle stelle di Hollywood; quelle stesse stelle che incontrava di tanto in tanto sul set, lui con piccole particine. E così, facendo tavoli, scaffali e sedie, mantenne la sua famiglia, e soprattutto, conservò la propria dignità: 'Essere falegname mi diede una base nella vita. Ero una persona che stava facendo altro, qualcosaltro che sapevo valeva la pena. E il solo avere questo in testa, fare qualcosaltro e avere un posto in cui tornare, una funzione da svolgere, fu un fatto decisivo. Perché se sei un attore senza lavoro e devi andare a un colloquio in una casa cinematografica, prima di muoverti, stai seduto in casa, sudando e cambiando vestito 35 volte, e quando vai a parlare con quelli sei nervosissimo, e non hai nessun posto dove andare dopo il colloquio, semplicemente potresti sederti davanti alla porta dei teatri di posa a sperare che si decida¬ no a darti la parte o no. Ma se sei un uomo che viene da qualche posto e hai la Usta occupata dal lavoro che stai facendo, e non hai avuto il tempo di cambiare abito, risulta subito chiaro che sei persona autentica, una persona completa, non soltanto un vaso vuoto, che è quello che diventi quando sei un attore disoccupato senza nulla dafare». Solo orgoglio -Così essere falegname cambiò il mio modo di giudicarmi, i sentimenti che provavo verso me stesso, e pertanto quelli che gli altri avevano verso di me. Non è che tutto questo cambiasse di molto le cose, ma abbastanza per rafforzarmi di fronte ai rifiuti, a rafforzar¬ mi molto rispetto alla mia immagine». Si direbbe che dà molto valore alla dignità personale. Che l'orgoglio è molto importante nella sua vita. •Si, lo è. Però vorrei far una precisazione sul termine. Perché c'è un orgoglio giusto, indispensabile, e un orgoglio viziato che sfiora la vanità, che non è assolutamente positivo. Come attori dobbiamo sempre essere in grado di liberarci dalla vanità». •Io scelgo le pellicole in modo che mi offrano qualche tipo di sfida. I progetti in cui credo sono quelli in cui mi pare si possa dare al pubblico qualcosa di più che semplice passatempo. Anche se non ho nulla contro il divertimento puro, in quanto nanfa appello ai nostri bassi istinti. Ma alla fine io voglio dare alla gente qualcosa di più che pura violenza. Voglio dar loro emozioni e una certa visione interiore della umanità. Questo può sembrar pretenzioso, ma in questo consiste questo lavoro, si deve creare una contatto emotivo tra gli spettatori e ciò che succede sullo schermo facendo provar loro qualcosa. E per di più qualcosa di positivo. Io voglio far loro sentire un po'di speranza, un po 'di allegria». Mi sembra strano quello che dice. Ho notato che in tutti i suoi film come protagonista solo una volta ha interpretato una parte di sconfitto, in Mosquito coast. Sebbene i protagonisti dei romanzi di oggi siano di solito dei perdenti., il mondo ne è pieno. •Sì... certo, io non cerco eroi, come dire, non scelgo le parti perché sono eroi. Il problema con ifilm in cui tu sei uno sconfitto è che...Una persona dedica delle ore del suo tempo a vedere un film, e sembra di deluderli, dopo questo impegno di tempo e di attenzione, se alla fine il protagonista non trionfa sopra le circostanze. Questo non vuol dire che il protagonista debba vincere sulle circostanze avverse anche se solo per un capello. Perché il cinema è passatempo, è molto diverso da un romanzo, che è un esercizio intellettuale, in cui puoi entrare nella mente dei personaggi e descrivere in modo approfondito queste circostanze. Nel cinema tutto questo non funziona molto bene. Io non considero, quando leggo un copione, se un personaggio è vincente o perdente. Io recito tutti i tipi di copione e sono molto fortunato ad avere offerte così varie. Ma non ho molti copioni in cui il personaggio non finisca per trionfare sulle circostanze» •Ha parlato di Mosquito Coast; ebbene, in quel film lavorammo duro, eppure non è slato un grande successo commerciale. Io credo che in fondo sia successo perché la gente non vuole vedere sconfitti. Ma con tutto questo io tornerò a recitare altri copioni come questo se mi offrissero qualcosa che mi sembri interessante». Si è sentito qualche volta uno sconfitto? •No, ma io non ho una visione complessiva della mia vita. Non ho ambizioni di lungo periodo, affronto la vita luogo per luogo, attimo per attimo, giorno per giorno. E giudico i risultati anche giorno per giorno. Hai avuto una buona giornata? Hai lavorato bene? E' così che mi programmo». Obiettore La stampa americana dice di lei che è •il mitico eroe americano». Ma so che in Vietnam fu obiettore di coscienza. •Sì, ero contro la guerra e sono stato un obiettore. Ero disposto a lavorare nella sanità o a fare altre cose di questo tipo, ma non ero disposto a uccidere. Mi ordinarono di scrivere una let¬ tera spiegando le mie ragioni al'ufflcio di reclutamento, e credo di aver scritto un mucchio di stupidaggini. Era una lettera molto lunga e suppongo che fosse ancor più confusa. Tardarono molto a valutarla e nel frattempo mia moglie restò incinta e mi consenti di non andare in Vietnam perché diventavo padre». Mi pare di capire che nella lettera non puntava su ragioni religiose. E' credente? •In senso stretto no. Non credo in nessuna religione ufficiale. Nella mia lettera all'ufficio di reclutamento citai, ed è ciò in cui credo, le parole di Paul Tillich. E' un teologo protestante molto famoso. Se hai problemi con la parola Dio, diceva Tillich, pensa a ciò che per te è più importante e pieno di significato e chiamalo Dio». Aiutare gli altri E cosa è questo per lei? •Lo spirito di servizio. Aiutare altre persone». Naturalmente quando parla di esprimere con i suoi film idee positive sembra dare un significato di responsabilità sociale. 'Si. è esattamente questo. E' qusto è il significato della letteratura, dell'arte: spiegare a noi stessi qual è la condizione umana, tentare di trovar qualche ragione alla vita, cercare di sollevarci dal semplice stato animale. E forse è una speranza vana, perché siamo semplici animali. Ma abbiamo questa capacità di apprezzare la bellezza e le idee e credo che sia la parte più elevata del nostro essere. Ed è quello che ci unisce, ciò che unisce un essere umano ad un altro essere umano. Lottiamo per il cibo, lottiamo per il nazionalismo e tutte le mezze sciocchezze, ma possiamo unirci attraverso le idee, attraverso la riflessione su ciò che abbiamo in comune». Lei dice che negli Anni Sessanta aveva i capelli lunghi, e era contro la guerra del Vietnam. Ha partecipato agli altri movimenti di protesta di quell'epoca, alla battaglia per i diritti civili, al movimento hippy? •Non sono mai stato attivo politicamente. Non sono certo di avere molta fiducia nella politica. E' un processo tanto imperfetto che mi riesce molto difficile compromettermi. E poi tendo ad essere piuttosto un...» Lottatore solitario?. • Appunto». Rosa Monterò Copyright «E! Pais» e per l'Italia «La Stampa»