La via socialista all'autodistruzione di Fernando Mezzetti

La via socialista all'autodistruzione La via socialista all'autodistruzione Portato il Paese alla rovina, la via birmana al socialismo sta crollando sotto la spinta d'un popolo che d'un tratto ha fatto proprio senza conoscerlo l'unico insegnamento marxista valido per la condizione in cui si trova: cioè la certezza di perdere solo le proprie catene ribellandosi contro un potere ottuso, inetto, brutalg. Dalle strade di Rangoon insanguinate prima dalla feroce repressione c adesso a festa con imponenti manifestazioni, sorge un quesito di portata storica: se cioè i birmani possano essere il primo popolo a far crollare dall'interno un regime socialista. Pur con caratteristiche nazionali il regime porta infatti tutte le stimmate del socialismo reale. Le prime sono nella sopravvivenza dell'elemento religioso, troppo radicato per essere estirpato e in primo luogo fattore di identità nazionale. Le seconde sono quelle che la storia c il mondo hanno conosciuto ovunque sia stato realizzato il socialismo reale: apparato politico c poliziesco autorita¬ rio e onnipcrvasivo, repressione, inefficienza economica, penuria generalizzata, mercato nero. Qui si è aggiunta anche la specificità del socialismo in divisa, essendo la classe dirigente tutta costituita da militari venuti al potere col colpo organizzato da Ne Win nel 1962. Stretta tra un comunismo da caserma come quello di Mao, un capitalismo in sviluppo come quello thailandese e gli abissi di miseria del Bangladesh, la Birmania proclamava la propria terza via, suscitando, con ciò, bucolica commozione utopistica soprattutto europea, al fondo reazionaria, di chi la vedeva come felice isola di dorate pagode, estatici Buddha c meditativi monaci in bianchi monasteri. L'unica terza via seria i satrapi del socialismo birmano l'hanno saputa trovare per se stessi, accumulando capitali all'estero. Si sa che ogni anno Ne VVin passa le vacanze in Svizzera, dove tutti dicono abbia ingenti capitali come Marcos; il Paese che ha guidato per 26 anni non ha una decente flotta aerea civile e per il volo egli noleggia abitualmente un De 1(1 della Swissair. Cacciato il 12 agosto dalla rivolta popolare Sein Lwin, l'uomo di paglia che Ne Win aveva installato al potere il 26 luglio fingendo di uscire di scena, i birmani hanno avuto ora dal nuovo capo del partito^ e dello Stato, Maung" Màung. la promessa della possibilità di un referendum per decidere se passare al pluralismo. Apparentemente conciliante, l'iniziativa è un palese espediente per prendere tempo e cercare di perpetuare in qualche modo il regime. Quello che accade per le strade di Rangoon dimostra che non c'è bisogno di alcun referendum. Pur di estrazione civile e di formazione occidentale, formatosi a Lonora, a Utrecht c a Yale, Maung Maung. 63 anni, appartiene alla cricca di Ne Win. L'ipotesi del referendum l'aveva prospettata quest'ultimo il 23 luglio al congresso del partito birmano del programma socialista, lasciando ogni carica dopo che era stata rifiutata: miserabile sceneggiata che viene ora ripresentata, in modo che Ne Win passi alla fine per salvatore della patria. Per un quarto di secolo ha comandato, e ora nessuno sa dove egli sia. Certo sta muovendo le fila. Vibraiio,ii Rangoon fremiti di libertà che fanno pensare alla.Jvlanjla in piazza contro Marcos. Ma là si trattava di cacciare un dittatore, qui di smantellare un sistema. Come sta avvenendo dall'agosto 1980 in Polonia, il regime farà ricorso alle sue infinite risorse, a tutte le sue capacità di manovra. Non c'è l'incubo dell'Unione Sovietica, e anzi le grandi potenze sono rimaste ora fuori dal gioco. Ma ce tutta la capacità di logoramento di un sistema stabilito che farà di tutto per impedire che a Rangoon possa avvenire ciò che non è accaduto a Varsavia, a Budapest, a Shanghai. Ouale che sarà l'esito, il Paese arriva alla libertà stremato, in un sottosviluppo da cui difficilmente potrà uscire. Fernando Mezzetti

Persone citate: Mao, Maung, Maung Maung, Sein Lwin