L'elettro-mente di Luciano Gallino

L'elettro-mente LIBRO E POLEMICA SU UN SOGNO L'elettro-mente Sin dagli esordi, negli Anni 40, i calcolatori hanno dato origine a serrate discussioni filosofiche. 11 solo fatto di chiamarli «macchine pensanti» ha indotto molti studiosi a riprendere l'antico interrogativo su che cosa sia il pensiero, ponendolo di fronte alla nuova realtà di macchine delle quali già si affermava, pur rozze com'erano allora, che prima o poi sarebbero riuscite veramente a pensare. 11 dibattito si è infittito quando, appena un decennio più tardi, si cominciò a parlare in senso stretto di intelligenza artificiale. Che significa a rigore intelligenza, e che differenze ci sono, se mai ve ne siano, tra intelligenza artificiale e intelligenza naturale? Su quali basi sarebbe lecito definire intelligente una macchina o un programma? E' possibile concepire menti che non abbiano come supporto fisico un cervello umano? I calcolatori potranno provare emozioni? Il pensiero può davvero essere assimilato a un procèsso computazionale? Nessuna di queste domande ha potuto finora ricevere risposta per mezzo di ricerche empiriche, e alcune mai lo potranno. Si è così sviluppata, in specie nei Paesi anglosassoni, una ricca letteratura sugli aspetti filosofici dell'intelligenza artificiale, alimentata da nomi di primo piano quali Margaret Boden, Daniel Dennet, Hubert Dreyfus, Hilary Putnam, Aaron Sloman. Tale letteratura presentava e presenta due caratteristiche di spicco. Anzitutto è decisamente specifica, in quanto verte per intero su problemi connessi all'esistenza dei calcolatori e al tentativo di renderli, o farli sembrare, intelligenti. Inoltre, è stata prodotta, in misura non piccola, da studiosi che conoscevano di prima mano la tecnologia dei calcolatori e dell'intelligenza artificiale. La seconda caratteristica sta nell'essere stata largamente ignorata dagli specialisti di intelligenza artificiale. Anche se in varie occasioni essi si sono impegnati a controbattere, o magari a riconoscere la validità delle obiezioni filosofiche levate nei confronti dei loro programmi, il loro lavoro di ricerca e di progettazione ha continuato a procedere su binari del tutto autonomi, quelli tracciati a metà degli Anni 50 dai matematici e dagli esperti di scienza della computazione. E' contro questo sfondo che si può meglio apprezzare l'originalità del tentativo compiuto da Terry Winograd e Fernando Flores in Calcolatori e conoscenza (Mondadori). Entrambi sono specialisti ben noti nel campo dell'intelligenza artificiale e della computer science. Oltre a fondamentali trattati di linguistica computazionale, Winograd è citatissimo nei testi d'intelligenza artificiale per un suo programma degli Anni 70, dall'improbabile nome di SHRDLU, che mostrava di saper maneggiare con proprietà dei solidi, quali cubi e piramidi di vario colore (rappresentati simbolicamente nella memoria del calcolatore), rispondendo a una vasta camma di istruzioni e domande in linguaggio naturale. ! Flores ha diretto in Cile, all'epoca di Allende, il progetto Cybersyn, ambizioso tentativo di governare l'economia mediante sistemi computerizzati, senza forme di imposizione dall'alto. Emigrato negli Stati Uniti, si occupa dello sviluppo di sistemi interattivi atti a facilitare la cooperazione tra i componenti di un'organizzazione. * * Questi due superesperti 'd'intelligenza artificiale credono che i loro colleghi — in ;pratica l'intera disciplina — 'stiano percorrendo un binario 'sbagliato, quello d'un orientamento chiusamente raziojnalistico che sciupa grandi risorse per ottenere dai calcolatori prestazioni che essi non potranno mai fornire. Al tem,po stesso esso è cieco dinanzi a ^possibilità di applicazione che 'potrebbero migliorare notejvolmente molti aspetti della convivenza e del lavoro urnajni. Al fine di sostenere siffatta •linea critica, Winograd e Flores non si rivolgono ai filosofi !che si sono occupati professionalmente di intelligenza artificiale, bensì a due tradizioni del tutto estranee ad essa. Una è l'ermeneutica di Heidegger e di Gadamer; l'altra è la filosofia degli atti linguistici di Austin e di Searle. Ad esse aggiungono un filone che proviene dalla ricerca biologica sul sistema nervoso, ma che si è gradualmente trasformato, per mano di altri due studiosi cileni — Humberto Maturana e Francisco Varela — in una vera e propria filosofia della conoscenza. Con questi tre supporti Winograd e Flores attaccano non solo l'intelligenza artificiale così come viene attualmente praticata, ma l'intero campo della progettazione delle tecnologie dell'informazione. I calcolatori non potranno mai possedere capacità di comprensione tali da permetter loro di agire con ragionevolezza in situazioni concrete, essi affermano appoggiandosi ad Heidegger e Gadamer, perché l'interazione umana è una forma di dialogo, che non si può mai sapere come prosegua e dove conduca. Richiamandosi ad Austin e Searle, gli autori di Calcolatori e conoscenza sottolineano come in ogni situazione umana non meno importanti della soluzione di problemi mediante procedimenti logici — cavallo di battaglia dell'intelligenza artificiale, grazie ai lavori di Simon — siano molti altri atti che si compiono parlando; atti quali promettere, impegnarsi, minacciare, esprimere, indicare. Nessun calcolatore sarà mai in grado di far nulla di simile. Ugualmente insostenibile, secondo Winograd e Flores, è l'idea che la mente operi mediante rappresentazioni interne del mondo esterno, ch'è un altro cardine dell'intelligenza artificiale. La mente, o meglio il cervello che ne è il sostrato bioloS ~ gico, funziona in base a sistemi, dal singolo neurone alle formazioni più complesse, i quali reagiscono alle variazioni che pervengono loro dall'ambiente esterno ed interno modificando il loro stato (riferimento alla teoria dell'autoorganizzazione del vivente di Maturana e Varela). Simile processo non comporta affatto che dentro al cervello o alla mente si formino repliche in miniatura di quanto avviene all'esterno, né che essi scambino con l'ambiente inputs e outputs di informazione. * * Per chi si occupi di scienze dell'uomo, e più in generale per chiunque sia sensibile alle infinite sottigliezze delle azioni e dei motivi umani perfino quando appaiono del tutto ovvie, molti argomenti di Winograd e Flores appaiono convincenti anche se alla base delle sue convinzioni vi siano motivi provenienti da altre tradizioni. Sociologi e psicologi sociali, ad esempio, pur avendo in genere scarsa dimestichezza con Heidegger, condivano da tempo l'idea che l'azione, l'intelligenza, la comprensione, la stessa mente, siano processi distribuiti tra più persone, interpersonali non meno che personali. Per questa ragione non sarà mai possibile costruire programmi che simulano la mente umana come se questa fosse un oggetto a sé, collocabile entro qualche tipo di contenitore, sia esso un cranio o un computer. Purtroppo il libro di Winograd e Flores inciampa nel finale, quando avrebbe dovuto dirci, una volta stabilito che tutti i programmi esistenti, etichettati o no come intelligenti, violano certi principi basilari dell'azione e della conoscenza, come si fa a concepire programmi di segno opposto, capaci davvero di umanizzare i calcolatori. Forse lo spazio tiranneggiava; oppure tra il dire e il fare ci corre, anche nel campo della nuova intelligenza artifi ciale. Sta il fatto che passare dalle altezze del pensiero di Heidegger e di Austin, di Gadamer e di Maturana, ad esempi di progettazione di si stemi informatizzati «umani» la cui massima ambizione sta nel facilitare l'interazione tra dirigenti di un'azienda, o nel formare reti efficaci di conver sazioni ricorrenti in un ufficio, è un bel salto, e un bel rischio; come essere sbalzati di colpo da una vetta alpina in una pianura accaldata. Una prova di coraggio, certo; ma per non rischiare un collasso con viene talora partire un po' più dal basso, e fermarsi un po' più in alto. Luciano Gallino

Luoghi citati: Austin, Cile, Stati Uniti