«Ho visto portare via Afrodite» di Giuseppe Zaccaria

«Ho visto portare via Afrodite» A Morgantina dopo le polemiche sulla Venere esposta al Paul Getty Museum «Ho visto portare via Afrodite» Un custode degli scavi: «Era notte, la caricarono su un'auto» -1 tombaroli: «La statua? Un collage di reperti rubati venduto per 10 milioni» DAL NOSTRO INVIATO ALDO NE (Enna) — *At seguito notizie apparse su stampa locale et nazionale relative probabile flirto cosiddetta Venere di Morgantina si invita codesto comando a esperire con sollecitudine tutte le indagini del caso». Ignazio Pissiu, brigadiere dei carabinieri, rigira tra le mani il fonogramma appena speditogli dal vicepretore onorario e ba la faccia di chi vorrebbe dire: ma quali indagini? Esperti di mezzo mondo continuano ad accapigliarsi, direttori di riviste specializzate intervengono per ricostruire vorticosi intrecci fra miliardi e. contrabbando internazionale, perfino una prestigiosa istituzione come il «Paul Oetty Museum» ritira di colpo la statua appena esposta a Malibu. E adesso si pretende che a risolvere il «giallo della Venere» siano sei uomini della Benemerita in forza alla stazione di Aidone ? Quattro chilometri più in là — in territorio, ahimè, di competenza del brigadiere Pissiu — il sole picchia sulla polvere dell'«agorà». Un paio di cartelli, una strada, e a difendere quel poco che si è riportato alla luce della «Pompei di Sicilia» solo una misera rete metallica. Fa molto caldo: forse è per questo che ad aggirarsi fra le rovine in una mattinata di fine agosto non ci saranno più di trenta persone. In maggioranza sono americani o inglesi, gente che si è spinta fin qui, quasi al centro della Sicilia, perché ha letto sulle riviste specializzate delle enormi potenzialità di questo giacimento archeologico. Che palpita nel calpestare dodici ettari di storia di cui neppure la decima parte è stata riportata alla luce. Che delle sorti di questa città dimenticata mostra di sapere molto più dei locali. Che sulla «Venere», splendido viso di donna su una sgraziata figura, continua a fare sempre la stessa domanda. Allora, è proprio vero? Quella statua di tufo dal dolce volto di marmo è stata portata via da qui, da questo gigantesco «self service» per tombaroli, da quest'area archeologica che si aspetta a valorizzare fino a quando sarà completamente svuotata a beneficio dei «Oetty» di mezzo mondo? La risposta è si. Nessuno, per carità, pensa di confutare le opinioni di autorevoli studiosi, di schierare a sostegno di questa o quella tesi le cartelle dattiloscritte di un profano. Ma il fatto è che nel dibattito sulla statua che si dice essere stata acquistata per 20 miliardi, un elemento era stato trascurato. Della «Venere di Morgantina» si era tralasciato di interrogare gli amici più intimi, quanto meno i parenti prossimi, i conoscenti, i vicini. Dal tesoro sommerso di Morgantina, la cittadina di Aidone dista meno di quattro chilometri. E sulla provenienza di quella statua (anzi, di quelle due distinte figure) da queste parti c'è molta gente che è disposta a giurare. Parola di tombarolo. «Se ne parlò otto, nove anni fa, in paese lo sapevano tutti... Si, qualcuno aveva trovato una grande statua proprio in mezzo alle "capuzze"...». In una casa di campagna persa fra colline pelate, il tombarolo («ex», precisa lui) racconta storie che ad Aidone tutti conoscono. Otto, nove anni fa, nella zona di «San Francesco» (quella che la pianta della mitica Morgantina ritiene corrispondere alla zona sacra) qualcuno cominciò a tirar fuori le «capuzze». Una incredibile serie di busti che un tempo dovevano aver ornato gli altari e adesso, uno dopo l'altro, affioravano da un terreno che nessuno era in grado di sorvegliare. Di quelle «capuzze» fu fatta razzia. Per mesi, quel crinale rimase punteggiato di buche come un groviera. n nostro «scavatore» — almeno così dice — non riuscì a trovarne nemmeno una, nonostante avesse convocato 1 figli a sostegno della campagna di ricerche. Altri però ci riuscirono. E pochi mesi dopo circolò una voce: la statua, la statua grande, era stata venduta a una cifra discreta. Dieci milioni. Sarà solo una coincidenza, ma sentite cosa afferma Graziella Fiorentini, soprintendente ai beni archeologici per la zona di Agrigento (in cui Morgantina ricade): 'Naturalmente, non ho certezza che la statua dì Malibu sia quella che si dice trafugata nove anni fa a Morgantina. Tuttavia, certamente corrisponde alla descrizione che ne è stata fatta dalla gente di Aidone: Una «statua grande», racconta il tombarolo. Comple¬ | ta di testa? Questo, il nostro uomo non sa dirlo. Qui i riferimenti si fanno più precisi, e forse possono aiutare a collocare l'episodio nel tempo. «Fu quando Puglisi trovò le monete e Mangialepre se le pigliò...». Non è la scena di un'antica farsa contadina, ma una storia vera: quella di un bracciante che in pieni Anni Ottanta si imbatte in 300 preziose monete (a Morgantina, aveva sede anche una zecca) e se le fa soffiare da uno più furbo di lui. Accadde in contrada «Lappazzo», in fondo a un podere noto come quello dei Oirese. Sotto un grande sasso un contadino trovò una moneta, lui non se ne intendeva, si rivolse a Mangialepre, personaggio piuttosto noto nella zona. 'Non vale nulla», gli | disse quest'ultimo. 'Ma fam¬ mi vedere dove l'hai trovata...», n contadino si accontentò di un piccolo compenso. Qualche sera dopo, «Mangialepre» scoprì sotto quel sasso l'anfora col piccolo tesoro. Lo «piazzò» pochi giorni dopo. Prezzo, 128 milioni. Ma non saranno tutte fantasie? Non sarà che fra i «tombaroli» di Morgantina le storie circolino come fra i pescatori le descrizioni di fantomatiche prede? Potrebbe anche essere, a ben guardare. Ma se poi si tenta un minimo di verifica, ecco affiorare strane coincidenze. Quel «Mangialepre», ad esempio, risulta essere stato ucciso qualche anno dopo la storia della giara e delle monete (anche se non si è capito bene perché). E proprio nello stesso periodo — quello delle monete, delle «capuzze», della «statua grande» — al mare¬ sciallo che allora comandava la stazione di Aidone accadde di vedersi sparare addosso mentre, di notte, pattugliava la zona archeologica. Quasi che qualcuno volesse dirgli: 'Sta' alla larga». Rosario Di Billio, 58 anni, adesso è custode del piccolo museo che in paese hanno ricavato dai locali di un oratorio dei Cappuccini. La storia di Morgantina lui la conosce tutta: 'Fui assunto come manovale il primo settembre del '55, quando gli americani cominciavano i primi scavi. Noi li prendevamo per pazzipoi, quando il professore mise assieme i cocci di un'anfora e ce la fece vedere ricostruita, capimmo che li sotto c'era un tesoro». Ma la «Venere», secondo lei, viene da quegli scavi? 'Ah, questo non potrei proprio dirlo...». Ma se qualcuno l'avesse trovata, secondo lei a quanto avrebbe potuto venderla? 'Boh... diciamo dieci milioni?». E poi le allusioni. Provate a passare per piazza Filippo Cordova e ad attaccare discorso, magari aiutati dai buoni uffici di un personaggio locale. 'Eh sì, qua c'è qualcuno ca si muzzica a' lingua...». Qualcuno che vorrebbe parlare. Silvio Raffiotta, giudice istruttore ad Enna e cultore di antichità, resta scettico. Secondo lui, questa storia della «Venere» (che poi è più probabilmente una Giunone: guardare le forme opulente) nasconde un traffico diverso, il furto di oggetti più preziosi Pochi mesi fa ha fatto arrestare trenta persone per una razzìa di reperti (anche splendide teste di marmo, dicono) che dalla Sicilia arrivava in Svizzera, e di li agli Stati Uniti. Ecco un altro dettaglio in cui quel che si sente mormorare in paese sembra coincidere con quanto si è appurato. Sia le monete di quella famosa giara sia le «capuzze» — raccontano — finirono a un siciliano che vive in Svizzera. Qualcuno ricorda perfino che le preziose teste di marmo furono vendute a un prezzo stracciato, proprio perché erano molte: 7-800 mila lire. Ma allora, perché la «statua grande» dovrebbe esser stata ceduta a un prezzo dieci volte maggiore? Cos'avrebbe potuto attribuire un valore di dieci milioni a una figura acefala, scolpita nel calcare, pesantissima, difficile da portar via? Una spiegazione forse esiste. Col sole che picchia sul\'«agorà* e sulle teste degli aidonesi, va' a vedere fino a che punto le voci confinano con l'immaginazione. Ma esattamente come adesso esiste un custode — Filippo Dalì, 64 anni—che afferma di aver visto portar via quella statua («... insomma, se non la Venere, almeno un reperto molto grosso... Era sera, e un gruppetto di persone trascinavano quel grosso involucro verso un'automobile dalla parte dell'acquedotto, lì, dietro quella collina...»), altri raccontano storie di tombaroli, truffe e genio paesano che sembrano caricare la storia di nuove suggestioni Su un fatto, gli esperti di mezzo mondo paiono d'accordo: quella statua è una specie di 'patchwork», il frutto di una strana fusione fra una testa marmorea del Quinto secolo ed un tronco tufaceo di duecento anni prima. Qualcuno ha messo assieme il corpo di una Venere, 0 di una Giunone, alla testa di una statua che originariamente era montata su un'armatura di legno, uno dei cosiddetti «aeroliti». L'abile opera di un falsario straniero? Forse è così. Ma a sentire 1 tombaroli di Aidone la spiegazione è più semplice: «Le capuzze c'erano, qualcuno aveva trovato la statua grande... Senza metterle assieme, chi poteva sperare di chiedere dieci milioni?». Giuseppe Zaccaria *'J £m À Afrodite, la statua al centro delle polemiche, esposta al Museo Paul Getty di Los Angeles (Àp)

Persone citate: Filippo Dalì, Graziella Fiorentini, Ignazio Pissiu, Paul Getty, Paul Oetty Museum, Puglisi, Rosario Di Billio, Silvio Raffiotta