Pajno denuncia volevano condizionarmi di Giuseppe Zaccaria

Pajno denuncia: volevano condizionarmi Il pg di Palermo, con una lettera, rivela «pressioni non disinteressate» Pajno denuncia: volevano condizionarmi DAL NOSTRO INVIATO PALERMO — «Sento peraltro il dovere, verso la peritò, e verso me stesso, di inviare questo scritto come reazione al killeraggio morale posto da tempo in atto nei miei confronti solo perché, in passato e di recente, non ho ceduto a pressioni certamente non disinteressate». Questa volta, a far di nuovo rovente il clima di una Palermo che sperava di trovar pace almeno del deserto di Ferragosto, non sono gli strilli di titolo né le rivelazioni di un nuovo «pentito» ma poche righe in corsivo, corpo sei, al fondo di una lettera che stava passando inosservata. La forma, certo, è inusuale, ma la denuncia dirompente: «Hanno cercato di condizionarmi». Firmato, Vincenzo Pajno, procuratore generale a Palermo. Al coro di grida che nelle ultime settimane aveva accompagnato il riesplodere della polemica mafia/antimafia, mancava solo si aggiungesse la voce del più alto esponente della magistratura requirente palermitana. Vincenzo Pajno, si sa, è persona dal carattere aspro. Negli ultimi mesi più volte aveva fatto intendere, anche con toni bruschi, di non apprezzare certi attacchi, di ritenere certe polemiche oblique e strumentali, ma il modo che adesso sceglie per rendere ufficiali le sue posizioni è di quelli che lasciano perplessi. Da un procuratore generale asserragliato in quel di Sagunto, da un giudice stanco di dover resistere a «pressioni non disinteressate» ci si sarebbe attesi una denuncia contro gli aspiranti corruttori, quanto meno un rapporto al Consiglio superiore della magistratura. Vincenzo Pajno, invece, non denuncia, non segnala: se altri fanno interviste, lui scrive ai giornali. La sua lettera è stata pubblicata l'altro ieri dal Corriere della Sera. Gettato il sasso in una palude che mai era stata cosi ribollente di tensioni, il pg. se n'è partito per le ferie, e adesso sembra irraggiungibile. Per qualche giorno, passerà le acque a Fiuggi: al ritorno, potrà calarsi di nuovo in un ambiente che intanto si sarà macerato su un nuovo fronte di polemica. A quanto par di capire, infatti, il procuratore generale non ce l'ha tanto con le «famiglie» mafiose o con le «lobbies» che gestisco¬ no traffici illeciti Le «pressioni» che la lettera denuncia vengono messe in diretto collegamento con le azioni di «killeraggio morale» di cui l'affannata Palermo di questi mesi sarebbe stata teatro, con gli attacchi di alcuni giornali. Con l'attività, insomma, di quel «fronte antimafia» governato dal pel. Anche al procuratore generale sono saltati i nervi. Negli ultimi mesi, Vincenzo Pajno aveva dovuto sopportare polemiche prima per un discutibile inserimento nella lista dei «cattivi» stilata da Giuseppe Insalaco (fatto arrestare proprio da lui). Poi per il riattizzarsi di polemiche sui suoi rapporti con l'Ordine dei cavalieri del Santo Sepolcro. Ma quel che il magistrato proprio non digerisce è il grottesco «processo popolare» che tre settimane fa, a Mondello, lo vide uscire in un glaciale silenzio da un'assemblea che avrebbe dovuto applaudire solo chi, chissà in base a quali criteri, avesse patente di «antimafioso». Resta da capire come mai, fino ad oggi — e nel mezzo di una polemica che più volte si è detto essere uscita dai «ca¬ nali istituzionali» — mai il procuratore generale di Palermo abbia avvertito la necessità di segnalare queste «pressioni» a chi avrebbe dovuto. Negli atti, pur recentissimi, del Csm, nella lunga serie di audizioni sul «caso Palermo», non c'è traccia di simili doglianze da parte del procuratore generale. Cos'è accaduto, dunque, negli ultimi giorni per spingere un «tradizionalista» come Pajno a una sortita cosi impropria, eppure così dirompente? In casi come questo, al giudice è difficile trincerarsi dietro la cattiva interpretazione di frasi dette a un giornale, questa volta Pajno non ha parlato: scrive. E quanto afferma lo mette in rotta di collisione con un intero schieramento politico, finisce per fame quasi un Borsellino al contrario. A questo punto, non è difficile immaginare cosa accadrà. Al procuratore generale verrà chiesto (esattamente come i «normalizzatori» oggi chiedono a Leoluca Orlando) di dare conto delle sue affermazioni, di citare nomi ed episodi. Di indicare, magari, rispetto a quale «delitto politico» le pressioni gli sarebbero state rivolte. E' come se, in una mina già innescata più volte, qualcuno avesse inserito un detonatore in più. Non ce n'era certo bisogno. Lunedi prossimo, al rientro dalle vacanze in Russia, toccherà a Leoluca Orlando di recarsi dal giudice per confermare (e, se possibile, provare) le accuse lanciate dieci giorni fa verso un potere centrale che a suo dire rischia di esser contaminato dai trafficanti d'armi. Proprio ieri, si è appreso di un altro trasferimento che spiega come alla questura di Palermo la frana sia tutt'altro che bloccata. Se ne va anche il vicecapo della Mobile, Luigi Galvano, attualmente in ferie diplomatiche. Su un altro versante, le polemiche sui poteri dell'alto commissario Sica cominciano a farsi più vivaci. E adesso quest'altro fronte, questa polemica che riapre in termini laceranti la questione dei «signori dell'antimafia». Come andranno le cose, non può dirlo nessuno: che per il Csm si preparino altre, scottanti sedute, è già certo. Giuseppe Zaccaria

Luoghi citati: Fiuggi, Palermo, Russia, Sagunto