Sulle elezioni la spada dei generali

Sulle elezioni la spada dei generali Sulle elezioni la spada dei generali E' una pioggia di «scenari», quella che giunge da Islamabad e dalle altre città pachistane. Il più ottimista dice: le elezioni di novembre porteranno al potere Benazir Bhutto e il suo Pakistan People's Party, la grande nazione asiatica conoscerà finalmente una vera democrazia. Il più pessimista avverte: sì, Benazir Bhutto vincerà, ma il suo governo sarà lacerato dalle mille tensioni che tormentano il Pakistan, naufragherà in un mare di conflitti, l'esercito si disferà dei civili e imporrà la sua volontà. Uno scenario rosa, uno scenario nero: fra essi, infinite gradazioni. Insomma, tutto è possibile. Un fatto solo è certo. Nessuna trasformazione sarà indolore. Il capo provvisorio dello Stato, Ghulam Ishaq Khan, presidente del Senato, ha confermato che, come già deciso in maggio dal presidente Zia, la nazione andrà alle urne il 16 novembre. Subito, Benazir Bhutto ha scritto a Ghulam Ishaq Khan con una richiesta fondamentale: «Bisogna stabilire al più presto nuove nonne elettorali Bisogna revocare gli ordini di Zia, il quale non permetteva ai partiti, ma soltanto agli individui, di partecipare alle elezioni, che è quanto an'enne nell'ilo». Una riforma sem¬ bra irresistibile, è impensabile che il Pakistan voti con le restrizioni decretate da una dittatura. E se voterà democraticamente, la maggioranza dei suffragi confluirà verso il Pakistan People's Party (PPP) della bella Benazir. Oggi come oggi, non vi sono forze politiche più muscolose e più magnetiche del PPP. Lo segue, a distanza, la. Pakistan Muslim League, il decano dei partiti pakistani, fondato da Jinnah, il padre della nazione, nata nel sangue il 18 luglio 1947. Poi VAwamì League, un altro antico movimento. Poi Ylstiqllal Party. Poi il raggruppamento dei fondamentalisti islamici, il Jamati Islami. Poi una galassia di altri partiti e partitini, alcuni con radici regionali. A differenza dell'India, il Pakistan non è mai riuscito a creare una vera, robusta democrazia (neppure tra il '72 e il '77, sotto il padre di Benazir, Zulfikar Ali Bhutto, impiccato da Zia) ne a difenderla. Le elezioni del 16 novembre offrono una chance vistosa e insperata. Ma gli ostacoli sono colossali, i perìcoli imponenti. Zia ha lasciato eredità esplosive. Ha islamizzato il Pakistan, ma troppo per alcuni, troppo poco per altri: con il risultato che tensioni roventi dividono i sunniti dagli sciiti e gli sciiti stessi sono spaccati tra fondamentalisti e moderati. Dopo undici anni di dittatura militare, i partiti si odiano a vicenda, non hanno programmi realistici, non hanno esperienza politica. Anche il PPP è una congerie di correnti, che Benazir Bhutto tenta di pilotare verso mete comuni. Il panorama economico $ motivo di ansia. I progressi dovuti soprattutto ai copiosi aiuti americani si stanno rivelando effimeri. Come già scrivono a Islamabad: «Il Pakistan era e resta un Paese povero». Un importante industriale pakistano aveva dichiarato qualche settimana fa a un giornalista inglese: «Il governo del presidente Zia è debole e corrotto. Si è salvato finora grazie soltanto a una serie di buoni raccolti, alle rimesse dei lavoratori pakistani nel Medio Oriente e ai pingui assegni di Washington». Alcune conseguenze erano già visibili. Erano cresciuti i movimenti sovversivi; si era riaccesa la rabbia storica, contro il governo centrale, dei Beluci c dei Pathani. Una escalation di violenza sociale vessava da mesi il Sind, la regione più meridionale, e il suo capoluogo, Karachi, il grande centro commerciale. Nelle pesanti incertezze dei prossimi mesi, queste fiamme guizzeranno con foga maggiore. Poi l'esercito, il pericolo più temibile. Il conflitto afghano, con tutti quegli aiuti, americani, ha ingrassato i militari, li ha viziati. L'assenza di vigorose tradizioni democratiche potrebbe indurli a riprendersi il potere. Su un punto i pareri sono unanimi: l'esercito è adesso una forza massiccia e grifagna, anche Benazir Bhutto non potrà governare senza il suo appoggio. Non basta. L'esercito è corrotto, non vuole perdere né i suoi profitti né i suoi privilegi. I generali dirigono il traffico della droga e delle armi, sono una potenza economica. Queste loro attività sovvenzionano settori di importanza sociale e politica. Infine, l'Afghanistan. Anche questa è un'eredità densa di rischi. Il futuro governo pachistano potrebbe trovarsi fra Scilla e Cariddi. Se difenderà con minor slancio la causa dei mujaheddìn, si esporrà alla loro ira. Se tenterà di minare il regime di NajihuMah a Kabul, si attrarrà la sua collera, nonché quella di Musca. Paradossalmente, l'Afghanistan potrebbe paralizzare il Pakistan. Mario CirieUo