PRAGA VENT'ANNI DOPO LA PUGNALATA ALLA «PRIMAVERA» di Guido Rampoldi

Cecoslovacchia dei camaleonti PRAGA VENT'ANNI DOPO LA PUGNALATA ALLA «PRIMAVERA Cecoslovacchia dei camaleonti A Shumperk, in Moravia, la statua di Stalin è stata traslocata in posizione meno vistosa - Ma nel Museo Gottwald campeggiano ancora quattro gigantografìe di Breznev e l'invasione sovietica del '68 è rappresentata da un sorriso tra un soldato russo e una bambina - Neanche la nuova generazione di leader sembra disposta a rinnegare il passato • E dovendo concedere qualcosa al gorbaciovismo, mette in cantiere una «perestrojka tascabile» DAL NOSTRO INVIATO PRAGA—Dietro i suoi beffi di armario, conti pastrano militare e un libro di Lenin in mano, uno Stalin alto quattro metri sorveglia da quarant'anni la città di Shumperk, in Moravia. Probabilmente era già lì nel 'SO, al tempo delle impiccagioni di Lansky e Clementis, vittime del cannibalismo stalinista. Non ebbe fastidi durante l'era Krusciov. Si eclissò all'improvviso durante la primavera di Praga nel '68, ma per una breve vacanza: nel '70 riprese possesso della piazza, proprio davanti la vecchia chiesa cattolica. Poi, una mattina dello scorso maggio, ormai a ridòsso della conferenza pansovietica di Mosca, gli abitanti di Shumperk si sono accorti con meraviglia che Josip Vissarionovic non c'era più. Sparito. L'aveva portato via di notte in gran segreto una squadra di operai incaricati dal partito. Qualcosa sta cambiando sul serio, pensarono allora nel ghetto invisibile dove espiano, con le loro famiglie, gli oppositori non comunisti e, ancora adesso, almeno una parte di quegli iscritti al partito cacciali in massa nei tre anni successivi al '68 (500 mila espulsi su un milione 300 mila); dove è incerto anche l'accesso al ginnasio per un quattordicenne senza pedigree brezneviano; dove l'inesorabile postilla agli annunci di ricerca personale, «richieste referenze di quadro», sbarra la strada al lavoro intellettuale e ai posti dì dirigente. Ma pochi giorni dopo la fine della conferenza e l'annuncio che a Mosca sarebbe stato eretto un monumento alle vittime dello stalinismo, mentre nel ghetto rosso, tutte le sere incollato alla tv per il telegiornale sovietico, si concludeva che Gorbaciov non stava vincendo soltanto in Urss, il tiranno di pietra è riapparso. Il partito l'ha traslocato su una collinetta, in unaposizione più defilata. Tolto t'intermezzo del '68 e in certa misura il quinquennio precedente, l'evoluzione del comunismo cecoslovacco in quarantanni è tutto in qualche variazione di posto delle divinità socialiste. «Continuità» è la parola d'ordine lanciata per questo doppio anniversario — quarantanni dall'instaurazione del regime comunista, vent'anni dall'invasione sovietica {20-21 agosto 1968) — dalla vestale dell'ideologia, Vassili Bilak, e amplificata in un cecoslovacco con inflessioni bulgare da Antonin Kostka, commentatore estero di Radio Praga. H iempio della continuità è il museo Riemerti Gottwald, una specie di mausoleo del socialismo reale, immenso e deserto nel centro di Praga. La penultima sala, consacrata «Alla lotta delle forze marxiste-leniniste per la difesa del socialismo, con la fraterna assistenza dei Paesi socialisti», racconto dell'invasione del '68 attraverso la fotografia di un sorriso, tra un soldato russo e una bambina, e tributa quattro gigantografie a Breznev. Gorbaciov si affaccia solo una volta, nell'ultima sala, come comprimario del presidente cecoslovacco Gustav Husak, celebrato.in una trentina di immagini. : iraq Quattro quinti di Breznev e un quinto di Gorbaciov: la leadership cecoslovacca pare decisa a preparare con queste proporzioni il suo elisir di lunga vita. Dovendo concedere qualcosa al gorbaciovismo per non dare prova di diversità, peccato mortale nell'Oriente socialista, il Comitato centrale ha messo in cantiere una perestrojka tascabile che prevede una qualche autonomia delle imprese e voto segreto nelle elezioni aziendali; la burocrazia della repressione ha allentato la morsa sul ghetto rosso, o più precisamente sui famigliari dei comunisti espulsi; e almeno in questo agosto che raduna a Praga giornalisti di ogni continente per l'anniversario dell'invasione, gli uomini più noti di Charta 77, portavoce dell'opposizione, riescono addirittura a incontrare la stampa estera. Ma nel complesso questa non convinta perestrojka senza glasnost (trasparenza) ricorda ai chartisti la recente ristrutturazione del centro di Praga, che ha ripristinato le sontuose facciate barocche lasciando decrepiti gli interni dei palazzi. In questo caso l'interno brezneviano è rimasto intatto negli ultimi vent'anni, lo spazio di una generazione estromessa dalla storia. Da vent'anni il telegiornale si apre con le fotografie delle stesse facce: Husak, Bilak, Strougal, gli uomini che nel '68 giocarono Dubcek e fecero da sponda all'Armata Rossa. E se qualche volto nuovo si affaccia—per esempio la grigia figura di Milos Jakes, il nuovo primo segretario — si tratta comunque di dirigenti che hanno svolto un ruolo di primo piano nella grande "purga' degli Anni 70. La stessa parvenza di dialettica aperta nel partito dal nuovo corso sovietico, rintracciabile nelle frecciate contro Bilak lanciate dal primo ministro Lubomir Strougal, un Fouché da trentanni nel governo, non rimandano a un vero e proprio contrasto tra •pragmatici» e 'dogmatici», ma all'ennesima guerricciola di palazzo. Perché c'è un collante indissolubile che cementa la gerontocrazia ceka, dicono i chartisti- la colpa morale di aver finito l'opera avviata dai carri armati. Qualsiasi apertura alla democrazia suonerebbe come una riabilitazione dei fasti della •primavera di Praga». Per un gruppo dirigente che legittima la sua collaborazione con l'invasore e il suo potere con la lotta alle forze «revisioniste e antisocialiste», significherebbe costituirsi alla storia come traditori della patria. L'incubo del partito, adesso, è che Gorbaciov ne sveli il peccato originale, che insomma definisca un errore l'intervento sovietico nel '68, come chiede Dubcek dal suo esilio di Bratislava Ma anche i più fiduciosi comunisti di Charta 77 hanno dovuto prendere atto, che Gorbaciov, a Praga nell'aprile scorso, ha detto chiaramente, di non voler entrare nelle cose cecoslovacche. E i calorosi abbracci tributati più tardi dal primo ministro sovietico al vertice della Nomenklatura ceka hanno ribadito che la quiete e il silenzio dei protettorati europei sono una condizione essenziale per lo sviluppo della perestrojka a Mosca; o forse che Gorbaciov non rappresenta l'intero vertice dell'Urss. Ma, dicono nel ghetto rosso, il partito non può rimanere immobile in eterno. Fra trecinque anni gran parte del vertice dovrà lasciare il campo per limiti di età. Allora entreranno in gioco i quarantacinquantenni, i quali hanno partecipato alla restaurazione, ma poiché nel '68 erano troppo giovani non portano sulle spalle il peso del tradimento. E finirà la glaciazione, tornerà il dubeekismo. Per capire se davvero il gruppo dirigente del comunismo cecoslovacco sia riformabile siamo entrati nel più tetro edificio di Praga, il quadrangolo che ospita gli organi centrali del partito, siamo saltati dentro uno di quei montacarichi in moto perpetuo che funzionano da ascensori e abbiamo bussato alla porta del più giovane tra i giovani, e anche il più lanciato verso il vertice supremo: Miroslav Stepan, 43 anni, da pochi mesi primo segretario di Praga, carica che apre la strada verso la nomina a segretario generale, nonché membro della direzione politica. Stepan ci ha accolto con due registratori e due scrivani, o forse giornalisti, che annuivano e sorridevano in sincronia Nella sua retorica altisonante ed elusiva scoppiettava spesso la parola pravda, verità. No, la «verità» sul '68 non può essere mitigata: fu «lo smontaggio del socialismo». No, ai Dubcek e agli Hayek, ai principali protagonisti della •primavera», non è possibile neppure concedere una dignità morale: «Non desta sospetto che questi comunisti ricevano mezzi finanziari dall'Occidente, non da quei partiti comunisti che pure ci criticano?»; e poi Hayek prima di militare nel pc era socialdemocratico. n primo segretario di Praga non esprime idee proprie, rimanda sempre a questo o quel documento del partito, e si sforza di affermare l'identità sostanziale tra la «continuità» cecoslovacca e «la stimolante evoluzione in Urss». Cita la decisione di indire, dopo vent'anni, un nuovo salone delle arti figurative a Praga, quasi come simbolo di sensazionale novità democratica. E se gli si chiede quando il regime abolirà l'Indice degli autori banditi, quando sarà possibile trovare un romanzo del suo connazionale Kundera in libreria risponde testualmente: •Quando uno scrittore dice che il suo libro è il migliore, che è un best-seller, esprime una posizione molto lontana dalla democratizzazione». Cosi parla un •uomo nuovo' del partito, uno di quei quadri costruiti attraverso la sistematica selezione dei più obbedienti, dei più zelanti, e in definitiva dei più ottusi. E le sue parole spiegano la diversità cecoslovacca perché mentre nell'Est, da Mosca alla Jugoslavia, quanto c'è di nuovo avviene, o inizia, o perlomeno ha un'eco all'interno del partito, qui le esili speranze di un cambiamento sono affidate solo a ciò che potrebbe succedere all'esterno. Guido Rampoldi Praga. Gorbaciov accanto a Husak durante una recente visita del leader sovietico. Dove arriverà la riluttante «perestrojka» cecoslovacca senza «trasparenza»?