Rossini e i mille bagliori di Otello

Rossini e i mille bagliori di Otello Inaugurato a Pesaro l'Opera Festival: un grande successo e una splendida esecuzione Rossini e i mille bagliori di Otello Un'edizione sorprendente, che elimina l'antica frattura tra gelo e avventura - Chris Merritt, June Anderson e Rockwell Blake: tre voci superlative che fanno sparire i limiti tra gorgheggio e declamazione • John Pritchard ha diretto l'Orchestra Rai di Torino - Molto belle le scene di Pizzi PESARO — Dopo essere stata, ai suoi tempi, l'opera seria più famosa di Rossini, l'Otello (Napoli 1816), col declinare del belcanto ottocentesco, andò incontro ad una stranafortuna critica: chi ne parlò—da Meyerbeer a Hanslick a Fétis — lo descrisse un poco come un pianeta diviso in due emisferi: uno ricoperto da ghiacci, l'altro ardente, pittoresco e avventuroso. Al primo apparterrebbero i due atti iniziali, tacciati di freddezza, dove lo squinternato libretto di Francesco Berlo di Salsa ignora quasi completamente Shakespeare e la musica di Rossini dà libero sfogo al furore virtuosistico del belcanto (l'opera fu scritta per la Colbran, Nozzari ed il grandissimo David). Senza riserve, invece, si è sempre ammirato il terzo atto, shakespeariano in toto, e stupefacente per l'immediatezza espressiva dell'invenzione musicale. Ora, la riuscita dell'esecuzione che ha aperto l'altra sera con gran¬ de successo il Rossini Opera Festival sta semplicemente neU'aver sanato questa fratturai, il che\assume, quasi d'acchito, un significato storico. Grazie a tre voci superlative come quella del soprano June Anderson (Desdemona), dei tenóri Chris Merritt (Otello) e Rockwell Blake (Rodrigo), ottimamente spalleggiati dal terzo tenore Ezio Di Cesare (Jago), s'è capito che nell'opera scria di Rossini, eseguita al massimo livello, possono addirittura sparire i limiti tra gorgheggio e declamazione, canto spianato e brillante, recitativo ed aria. E allora diventa chiarissimo lo stupore di Stendhal dinanzi al fuoco drammatico che ■ divampa lungo tutto /'Otello. L'essenziale è però ricostruire, come s'è fatto l'altra sera, la cosiddetta coloratura di forza, in voga nel primo Ottocento: vale a dire un gorgheggio non solo volatile ma scattante, nervoso, aggressìvo.frutto di slanci e deliri dell'animo, il più lontano possibile da ogni gratuità decorativa. In questa operazione di recupero beleantistteo riuscivano sinora solo le donne: con Merritt e Blake. anche il settore maschile ha ora i suoi campioni paragonabili alla Home e compagnia. Ma questi due cantanti ci hanno additato l'altra sera un altro fatto stupefacente: che anche nel vortice dell'acrobazia rossiniana le parole si possono capire benissimo e che quindi dalle vette, dei pezzi chiusi II passaggio al recitativo, dove la parola trionfa, non implica un vero e proprio capovolgimento nel rapporto tra testo e musica. Ecco quindi uno dei motivi per cui, daH'Elisabetta In poi, Rossini si decise a fissare personalmente tutte le colorature precedentemente lasciate all'arbitrio dei cantanti; ed ecco perché nell'Otello sostituì il recitativo secco con quello accompagnato dall'orchestra fornendo alcuni esempi molto alti di grande declamazione drammatica. L'esecuzione dell'altra sera ha fornito uno spettacolare travaso reciproco di questi elementi, dando significato drammatico al gorgheggio e bellezza musicale al declamato sino a cambiare in pratica l'idea che dal secondo Ottocento sino ai nostri giorni ci si era fatti di Otello: l'entrata nella romantica drammaticità del terzo atto è apparsa come una semplice accelerazione, e non più come un drastico cambio di marcia. Comincerà quindi probabilmente di qui la riscoperta della grande tensione espressiva che fa deH'Otello un'opera corrusca e violenta al cui proposito Stendhal spiritosamente osservava: «nous sommes sans cesse dans les trombones». Afa, accanto ai tromboni, quanti colori e bagliori guizzanti di strumentini, quanti laghi d'oscurità te¬ nebrosa nei violoncelli e contrabbassi, e melanconici richiami di corni e clarinetti nel trascolorare d'un'orchestrazione che incantava Schubert e alla quale l'Orchestra Sinfonica della Rai di Torino, sotto la guida esperta di John Pritchard, ha prestato tutta la sua finezza e duttilità. Il cast era completato da alcuni ottimi professionisti quali Giorgio Surjan (Elmiro),RaquelPierotti (Emilia), Eugenio Favano (Lucio), Francesco Piccoli (Il Doge) ed Enrico Facini che ha cantato fuori scena la straordinaria canzone del gondoliere con la citazione dantesca carica di memorie e di presagi voluta esplicitamente da Rossini con un vero colpo di genio musicale e drammatico. L'opera è ambientala a Venezia ed a cogliere l'essenza dell'architettura veneziana nel connubio di legno e marmo miravano efficacemente le belle scene di Pier Luigi Pizzi, cosi sobrie ed elegantemente funzionali nei movimenti a vista. Il magistero scenografico di Pizzi, nutrito sempre di alta cultura figurativa, si è riflesso anche nella forma e nei colori dei costumi, mentre la regia ha sobriamente sottolineato la ricca dinamica teatrale della partitura. Certamente non c'è meno teatro nell'Otero che nel Barbiere di Siviglia, composto qualche mese prima, ed anche questa è una lezione che da anni ci impartisce il Festival di Pesaro nella sua appassionata riscoperta del Rossini serio colto sotto l'aspetto sperimentale, progressista e straordinariamente anticipatore nei confronti del romanticismo imminente. Ossia ricondotto al suo effetto originario, che viene recepito dal pubblico moderno con manifestazioni di vero entusiasmo. Paolo Gallarati Una scena dell'«Otello» presentato a Pesaro in un'edizione molto bella e rivoluzionaria

Luoghi citati: Emilia, Napoli, Pesaro, Siviglia, Torino, Venezia