VITA INTERIORE E FILOSOFIA di Igor Man

E lo squalo dettò la resa TRA GUERRA E PACE, VIAGGIO NEI MISTERI DELL'IRAN E lo squalo dettò la resa Fu lui, Rafsanjani, il Richelieu di Teheran, a capire sin dall'87 che la partita era perduta -1 retroscena dell'improvvisa accettazione della «598» da parte df khomeini -1 gas iossici, la schiacciante superiorità aerea dell'Iraq, l'abbattimento dell'Airbus, alle radici del collasso iraniano - La drammatica scelta del vecchio Imam, dopo un lungo colloquio col suo «delfino» DAL NOSTRO INVIATO TEHERAN — Perché, come mai l'Iran ha accettato, di colpo, la 598 e proprio quando era alle corde invece di farlo allorché le sue truppe strangolavano Bassora, tenevano Fao e addirittura minacciavano Baghdad? L'interrogativo continua a tormentare la mente e il cuore degli iraniani, e tuttora intriga le cancellerie internazionali. Esiste una risposta diremo 'Ufficiale», ed è quella di Akbar Hashèmi Rafsanjani, presidente del Majilis (Parlamento), comandante supremo ad interim delie fórse armate. L'uomo che ì non pochi nemici chiamano kuseh, to sguato, a sottolinearne la spregiudicatezza, o, peggio ancora, malidjak, il giullare, per la sua rara capacità di far sorridere l'eternamene corrucciato Khomeini} l'hojatoleslam («Coliti che sa di Islam»), che potrebbo'passare alla storia come il Richelieu dell'Iran, dice che l'accettazione della 598 «ha sor-, preso il mondo e persino molti di noi». Ma perché «adesso» e non «prima»? «Perché così ha decìso- l'Imam. Soltanto lui, nello stato di choc in cui ci trovavamo, poteva prendere una decisione simile. Egli infatti è vicino a Dio». C'è di più, sempre secondo Rafsanjani: la decisione.dell'Imam è in perfetti^ .consonanza con l'insegfìamento del Profeta. «Maometto, nell'anno IV dell'Egira voleva recarsi da Medina alla Mecca ma gli eretici lo bloccarono. Preoccupato di non far scorrere il sangue, Maometto decise di venire a patti con i Koreishiti, accetto di sottoscrivere un umiliante trattato col quale, fra l'altro, rinunciava a rivendicare il titolo di Profeta. I muslimin, primo fra tutti' il suo fedele, Qmar, rimasero confusi e contrarialti ma il Profeta, teso a conjquist are il deserto e a valicar;ne i confini, li esortò a pazientare. Infatti, alla Mecca Maometto ci andò l'anno successivo e da trionfatore!». La risposta ufficiale si conclude così: «Quando i missili americani hanno abbattuto il nostro Airbus, abbiamo compreso che gli yankee, sostenuti dalla loro opinione pubblica, erano pronti a commettere altri crimini mostruosi. Ecco perché l'Imam ha deciso di sospendere le ostilità. Noi potevamo continuare la guerra contro l'Iraq invasore, ma non possiamo combattere contro gli Stati Uniti, contro l'Urss». Tutto ciò è senz'altro aderente alia nostra misura cartesiana degli accadimenti e appunto per questo non con-, vince. Voglio dire che Rafsanjani napi ci spiega cosa, chj. abbia convinto limata a rinnegare, abbotto, se stesso. Ma Rafsanjani non può dircelo per il.semplice motivo che è stato proprio lui a convincere il grande vecchio a gettare la spugna. L'offensiva Nessuno finora l'ha detto esplicitamente. Ma questa considerazipne ètil risultato di una paziente raccolta di frammenti per>< comporre quel mosaico .^drammatico ch'è la resa politica di Khomeini. Le fonti di raccolta sono buone e, come suol dirsi, attendibili. Tuttavia manca, , a , e i e o hi i, —, i n i, ) n a, i i. ti di o a e a e dì à ¬ almeno per ora, la controprova. Quando nel gennaio del 1987, la propaganda iraniana esalta la vittoria di Chalamchah «preludio alla caduta di Bassora», Rafsanjani si rende conto che quella è soltanto una vittoria di Pirro. La presa di Chalamchah, al erm^-:peìl'offehsìva KarDaÈFp aurata dite mesi e costt^fo$e*ettantamìla morti* non pòrta ài successivo scardinamento del catenaccio difensivo di Bassora — così com'era nei piani — per un motivo invero disperante: nel momento di produrre lo sforzo finale e risolutivo, le milizie iraniane diventano carne da cannone perché non c'è, a sorreggerle, l'aviazione che ci vorrebbe. Mentre gli iracheni, ancorché in difficoltà, ; riescono a evitare che la sconfitta diventi disfatta proprio in forza della loro schiacciante superiorità aerea. Rafsanjani fa a Khomeini un rapporto estremamente realistico della situazione il cui succo è questo: senza un valido supporto aereo, i generosi sacrifici dei bassidji (volontari della morte) e dei pasdaran (guardiani della rivoluzione) produrranno soltanto martiri. Da qui la necessità di rivedere gli schemi della guerra, rendendo complementari pasdaran ed esèrcito regolare e, soprattutto, rafforzando «costi quel che costi» ti parco aerei dell'aviazione. Purtroppo l'onda lunga dell'Irangate non si è ancora ritirata, risulterà pressoché impossibile trovare sul mercato nero aerei da combattimento. Al rapporto, Rafsanjani fa seguire un'esplicita richiesta: la nomina, per lui, a comandante ad interim (la carica è di Khomeini) di tutte le forze armate. Ma l'Imam esita, preoccupato per le prevedibili reazioni negative dei pasdaran, dei religiosi che osteggiano il suo «delfino». La strage La terribile «guerra delle città», con la pioggia devastante dei mìssili (mille morti soltanto a Teheran) e, poi, la strage di Halabja dove cinquemila persone trovano la morte gasate da un mix di iprite e cianuro adoperato con crudele disinvoltura dagli iracheni, mettono a nudo la fragilità del regime khomeinista. Si scopre tra l'altro che i pasdaran anziché impiegare i miliardi di dollari, frutto delle inesauribili collette popolari, di cui dispongono per edificare un appro■priato sistema antimissilistico, li hanno dedicati alla speculazione edilizia ovvero spediti in Svizzera. Ma la mazzata più brutale viene, paradossalmente, dalla grande campagna propagandistica del regime intesa a denunciare, dopo la strage di Halabja, «l'impiego ostinato, sistematico, criminale di gas da parte del nemico». La denuncia si trasforma in boomerang- nelle città e al fronte gli iraniani tremano, ossessionati dai gas. La psicosi collettiva contagia gli eroi di tante battaglie: non combattono più. Il 17 aprile gli iracheni riconquistano Fao pressoché sema colpo ferire. Quindi è la volta di Cita-., lamchah. Rafsanjani non dà tregua all'Imam e, infine, il vecchio cede nominandolo comandante ad interim delle forze armate. E' il 2 giugno. Rafsanjani sa benissimo che la partita è persa e da tempo sta tastando il polso all'Arabia Saudita (mediante i turchi), ai Paesi della Cee (tramite Andreotti e Genscher), agli americani stessi. Lo Squalo ha preteso la nomina a comandante supremo delle forze armate per assicurare il sostegno dell'esercito regolare, in modo da imbrigliare i pasdaran. Il giorno stesso della nomina egli dice alla tv che «occorre restituire ai militari il compito che loro compete». Esorta, ovviamente, il popolo ad aver fiducia nella vittoria finale, tuttavia ammonisce: «Abbiamo commesso non pochi errori col risultato di farci troppi nemici a buon mercato. Che Iddio ci aiuti». Il 25 giugno l'Iran perde le isole Majnun di enorme importanza strategica, il 12 luglio gli iracheni riconquistano Halabja, il giorno appresso occupano Dehloran... Il 15 luglio, l'ayatollah Montazeri, colui che dovrà succedere a Khomeini quale «guida spirituale», sollecita bruscamente Rafsanjani a impiegare le armi chimiche come ritorsione contro gli iracheni. Gelido: «Impossibile, risponde Rafsanjani. Senza aviazione, senza missili sarebbe lo stesso che condannare a morte tutto il Paese». E allora? Non rimane che accettare la 598, la tregua, in attesa di tempi migliori: «I capi militari son d'accordo con me». Montazeri china la testa gridando: «Senza la benedizione dell'Imam nessuno potrà fare niente. Mai!». Dello stesso avviso si diranno poco più tardi il presidente della Repubblica. Khamenei, e Ahmed, il figlio di Khomeini. La versione ufficiale dice a questo punto che il 17 luglio, a Javaran, nel modesto alloggio di Khomeini, l'Imam ha sentito i capi militari e, poi, dinnanzi al loro «catastrofico rapporto», s'è rassegnato a dar via Itoci a a Rafsanjani. La versione non ufficiale vuole, invece, che quel giorno non ci sia stata alcuna udienza del genere. Sola mente un lungo colloquio di Rafsanjani con l'Imam. Due ore fitte, drammatiche. Rafsanjani s'inginocchia davanti all'Imam insaccato nella sua larga poltrona lisa, gli bacia la mano. Poi tira fuori da una vecchia cartella di plastica marrone un foglio di carta. Contiene il testo d'un rapporto del servizio segreto. Esso dà per imminente un'offensiva della cosiddetta armata di liberazione nazionale iraniana (Alni), cioè dei Muhajidin del Popolo, gli oppositori di Khomeini che Saddam Hussein ospita e arma in Iraq. Sempre secondo il preoccupato rapporto, quei «figli di satana marxisti» hanno ricostruito un'efficiente quinta colonna in Iran, specie a Teheran, e potrebbero speculare sul malcontento popolare per coronare la loro offensiva, appoggiata dall'esercito iracheno, con la caduta della Teocrazia. Sei parole «Prima che sia troppo ; àrdi, Imam, bisogna far sì che la guerra cessi. Se la guerra continua, infatti, sarà la sconfìtta che travolgerà il regime, spegnendo la fiamma della vostra rivoluzione. Voi Imam rischiate di lasciare al popolo un Paese in rovina, facile preda del comunismo ateo. I marxisti sono alle porte, per salvare la rivoluzione c'è un solo mezzo: accettare la tregua dell'Onu. Soltanto voi, Imam, potete ordinarci questo sacrificio. Se non lo farete, il presidente della Repubblica e io rassegneremo subito le dimissioni spiegando al popolo perché». Khomeini ha ascoltato impassibile il suo «delfino: Quando Rafsanjani si tace. l'Imam inforca gli occhiali e tende una mano: vuol vedere il rapporto del servizio segreto. Legge e rilegge, infine re¬ stituisce il foglio a Rafsanjani. Ripone gli occhiali, si schiarisce la gola e al figlio Ahmed, che a quei suono-segnale è entrato nella minuscola stanza, chiede: «Hai visto il rapporto? E* proprio così?». «I marxisti sono alle porte», risponde il figlio: «Bisogna fare come suggerisce.il signor Rafsanjani». E qui io Squalo ricorda all'Imam impietrito «il saggio compromesso» del profeta Mohammed che seppe «momentaneamente» rinunciare alla Mecca per conquistarla un anno dopo. Khomeini chiude gli occhi e con voce villosa scandisce: «In nome di Dio clemente e misericordioso: andate e fate quel che dovete fare». Non basta Rafsanjani vuole che l'Imam sigli il testo della lettera che Khamenei spedirà di li a poco al segretario generale dell'Onu e la notizia che l'indomani, 18 luglio, all'alba, l'agenzia Ima diffonderà per annunciare, cogliendo II mondo di sorpresa, che l'Iran ha accettalo la 598. Quella notizia consta esattamente di sei parole. I grandi accadimenti pretendono la brevità, n 26 luglio del 1943, Radio Londra, per bocca del famoso colonnello Stevens, cosi commento l'empeachment del duce: «Buona sera. Mussolini se n'è andato. Buona sera». Otto parole in tutto per annunciare agli italiani il principio della fine: del fascismo, della guerra. Ma in Iran è diverso: il dopoguerra si prospetta infinito come lo è stata la guerra, sempreché sia veramente finita. Igor Man Teheran. Rafsanjani, presidente del Parlamento, detto «Kuseh» lo Squalo, tiene un discorso sotto il ritratto di Khomeini. E' stato lui a convincere l'Ayatollah alla resa