Ingegnere poeta della civiltà delle macchine

Ingegnere poeta della civiltà delle macchine MACERATA: UNA MOSTRA RACCONTA SINISGALLIE LE STAGIONI DELLA SUA VITA APPASSIONATA Ingegnere poeta della civiltà delle macchine MACERATA — Sinisgalli ricordava come in una favola ottocentesca il suo primo incontro «visivo» con Baudelaire: «La prima volta chiesi la scala a un lampionaio per leggere la lapide murata sulla facciata dell'Hotel Fimosau dove Baudelaire visse per qualche tempo in due camere al terzo piano e dove avvenne la scoperta dei paradisi artificiali». Nella fantastica, coinvolgente mostra dedicata da Giuseppe Appella in Palazzo Ricci al poeta e critico e teorico di arte/scienza, «art director» e disegnatore (fino al 16 ottobre; amplissimo catalogo-antologia delle Edizioni De Luca), fra i primi libri collezionati fra le due guerre sulle rive della Senna figurano la copia della prima edizione del Théophile Gautìer di Baudelaire, Paris 1859, appartenuta e autografata da Mallarmé, e una delle 250 copie dei Fleurs du Mal edite da Vollard nel 1916 con le illustrazioni di Emile Bernard. Baudelaire, magia del verso, lucidità critica e fraternità con l'arte e con gli artisti, fu certo uno dei massimi modelli per il giovane ingegnere ventottenne, salito dalla Lucania a Roma e poi a Milano, che nel 1935 iniziava il Quaderno di geometria (Pitagora e Pascal, Leonardo e Gerolamo Cardano e Cantor) con una lunga citazione di Lautréamont. Ma si trattava, appunto, dell'ingegnere Sinisgalli, che mentre era allievo alla Facoltà di Matematica a Roma di Castelnuovo e di Severi era in predicato per entrare nel «gruppo di Via Panisperna» di Fermi, ma che preferì invece, congiuntamente, la «civiltà delle macchine» e le notti romane con Scipione e Mafai e la frequentazione di Ungaretti all'«Aragno». Nel 1958, a cinquant'anni, Sinisgalli era alla fine della grande esperienza di direttore-factotum deila rivista Civiltà delle Macchine della Finmeccanica, un caposaldo, con Comunità, dell'incontro fra industria e cultura, per cui aveva richiesto e ottenuto le due fascinose Lettere sulla macchina di Ungaretti e di Gadda che sono ripubblicate in catalogo, improntate a un ottimismo oggi addirittura mitico. Egli iniziò allora la serie di disegni a penna, protratta fino alla morte nel gennaio 1981, presente in mostra con 125 fogli, in gran parte ritratti e ritratti-omaggio: uno straordinario zibaldone della cultura letteraria e artistica occidentale, da Baudelaire, Nerval, Rimbaud fino ad Artaud, Julien Green, Salinger, Zanzotto, Landolfi, la Ginzburg, i «Novissimi»; da Carrà e De Chirico a Klee, Bacon, Colla, Turcato, Rotella. Nel 1963 uno di questi fogli è dedicato all'altro grande ingegnere, e amico, Carlo Emilio Gadda «e la cognizione del dolore», come l'autore scrisse sul foglio: è una chiave per comprendere la complessità della mente, della mano, della cultura di Sinisgalli; è nello stesso tempo un ritratto «psico-critico» e un'immagine grafica che reca in sé l'impronta del sodalizio giovanile con Scipione e, alle spalle, dell'amore per Modigliani. E' indubbio che una mostra come questa, unica nel suo genere, con la sua straordinaria biblioteca di prime edizioni romantiche e simboliste, di grandi e rarissimi «libri d'arte» cubisti, Dada, surrealisti (e Picasso, Matisse, Ernst, Mirò, Arp), con i suoi disegni, con i documenti delle sue amplissime frequentazioni e sodalizi, con la sua amata piccola collezione di cultura materiale contadina e artigiana, con l'ampia ricostruzione della sua dispersa collezione d'arte contemporanea, poteva nascere solo, non come «omaggio», ma come specchio veritiero e veridicamente complesso, al limite intricato, di un eccezionale e appassionato motore e produttore della «macchina culturale». Anche contraddittorio, in quanto avido e sensibile a tutte le contraddizioni della contemporaneità: ermetico «greco» e tentato da ogni esoterismo alchemico dei decadentisti e dei surrealisti; lucido profeta della purezza logica ed estetica della civiltà meccanica e della produzione industriale ma anche inquieto amatore delle forme visive dell'espressionismo, del fantastico surreale, dell'informalità materica. In questo senso, come sempre dovrebbe essere, la mostra ha un valore critico e rivelatore, una forte impronta di affetti umani. L'immagine culturale più diffusa di Sinisgalli è ancora quella legata soprattutto ai fermenti anteguerra fra Roma e Milano, al poeta «ermetico», allo sposalizio critico fra logica matematica, arte astratta e architettura razionale ed organica: Quaderno di geome¬ tria. Furor Mathematicus, i saggi di architettura e design recentemente ristampati da Lubrina a Bergamo in Promenades architecturales. A un livello più sottile ed elitario, si rammenta l'ideatore di allestimenti e di slogan per Olivetti, Pirelli, Finmeccanica, Agip, il curatore con Giagni del «Teatro dell'usignolo» alla Rai dopo la liberazione, il presentatore a «Italia '61» a Torino dei modelli matematici tridimensionali dell'800 dell'Università di Roma. Ma lo specchio di Sinisgalli ha ben altri, alternativi riflessi e rifrazioni. «Il Poeta ha dovuto attingere ai pozzi dell'istinto, alla sua tenerezza animale. Ha dovuto affidarsi al suo fiuto più che alla sua scienza, al suo dialetto più che alla sua cultura... Lo stesso Poeta si mostra irresoluto di fronte a questo dilemma- è necessario che il Poeta sia sveglio, sia sempre vivo, o che pronunci le sue parole come un sonnambulo, come un defunto?». Ed ecco, in mostra, la sua biblioteca, regno raffinatissimo del fantastico, dell'immaginario, dell'antinomico oltre che del logico. Ecco ancora la collezione d'arte, certo anche frutto amicale, «vissuto», ma soprattutto rivelazione molto qualificata di precise scelte e amori, non solo antologìa italiana e internazionale, dai disegni futuristi e metafisici di Carrà, di Balla, fino ai privilegiati Burri, Fontana, Consagra, all'astrazione espressiva e informale di Bissier, di Wols, di Pollock, di Kline, di Tobey, di Tapies, di Michaux. Vi sono certo gli astratti degli Anni 30, Soldati, Vondemberge-Gildewart, Nicholson, ma accanto a Tosi, a Soffici, a De Pisìs. Vi sono soprattutto le stagioni della vita multiforme e appassionata fra Milano e Roma, la scuola romana di Scipione, Mafai, Pirandello, Ziveri, Corrente da Birolli a Morlotti a Vedova, la Roma del secondo dopoguerra, Afro e Capogrossi, Dorazio e la Accanii e Turcato, fino a Novelli, Perilli, Lo Savio, Baruchelli. Tutto un amare, un frugare, nella parola come nell'immagine, sempre agli estremi confini fra il fantasma e la logica segreta della realtà. «Fù a Lucca... che egli si trovò a saggiare per la prima volta la proprietà fisica di alcune parole e a intuirne, e così si può dire, la massa, la interezza stereometrica, il valore simbolico. Non furono le cose ad attrarlo, ma i fenomeni, i legami, i vincoli, le giunture, le articolazioni, le viti, i relais... Di questi incantesimi, di questi astraiti furori fu gremita la sua giovinezza, e non è difficile oggi riconoscervi l'affluenza di tanti diversi tributi: il calligramme, il coup de dés, l'alchimia, lo charme, la suggestion, ma ritrovate allo stato nascente, non già come cultura... Ancora adesso che cosa lo incanta di tutta la scienza muraria posseduta dai Romani? L'opus incertum». Così Sinisgalli di se stesso in terza persona nel 1946. Marco Rosei Leonardo Sinisgalli: «Autoritratto inciurmato» (1980, part.) i é l'it dl dlii d