I reduci d'oltre-Muro

I reduci d'oltre-Muro I reduci d'oltre-Muro ALFREDO VENTURI E' come se si fossero aperte le paratie di una diga: più di quarantanni dopo è ripresa la grande migrazione verso Ovest dei tedeschi dell'Europa orientale. Ottantamila l'anno scorso, duecentomila quest'anno, più di un milione entro i prossimi anni. Vengono dall'Oriente europeo, ma vengono anche dalle profondità della storia. Tornano fra l'Elba e il Reno i rampolli dei tedeschi che due secoli fa avevano seguito in Russia la sassone Caterina. Tornano dal Banato di Romania i discendenti di quei renani che vi erano migrati, addirittura, settecento anni fa. Arrivano tedeschi dalla Boemia, dalla vecchia Prussia polonizzara o russificata. Una speciale burocrazia li attende nei centri di raccolta, verifica le caratteristiche nazionali, le attitudini professionali, le scelte, i desideri. E poi eccoli inseriti nel mercato del lavoro. Ma è un mercato difficile: non a tutti ha soluzioni da offrire. Normalmente i nuovi arrivati si disperdono nel territorio federale: ma in questi giorni ha fatto discutere il progetto di un ministro del Baden-Wùrttemberg. Voleva costruire una nuova città per i profughi, e naturalmente si è parlato di ghetto. Questa gente va integrata, non isolata: così si sente dire mentre affiorano riserve, inconfessatii egoismi. Paure, forse. Nei liberi spazi della Repubblica Federale tende irresistibilmente a concentrarsi una vasta Germania, che le più varie vicende storiche hanno diluito nelle sconfinate pianure orientali. Dopo il '45, in pochissimi anni un drammatico esodo fece affluire nelle province occidentali quattordici milioni di tedeschi: espulsi, o fuggiaschi, dall'Oriente estremo di quello che era stato il grande Reich. Poi i confini furono sigillati: continuò a funzionare soltanto, fino alla costruzione del Muro venti sette anni fa, la valvola intertedesca di Berlino. Ma il riassorbimento della diaspora germanica era rimasto un obbiettivo ufficiale. Era rimasto, soprattutto, un fattore potentemente emotivo di coesione nazionale, oltre le amarezze di una storia scomoda e crudele. Lo è ancora? C'è da dubitarne. II flusso rinnovato dei tedeschi d'oriente comincia a provo care disagio, un sordo malessere raffredda le retoriche del rimpatrio, e c'è chi parla di ere scente ostilità. Che se ne stiano a casa loro, questi signori che arrivano dal Volga o dalla Transilvania, parlando un impossibile tedesco, chiedendo passaporto, casa, lavoro. Da questi malumori serpeggianti emerge un ricorso vichiano carico di tragica ironia: funziona, alla rovescia, la fatale teoria hitle riana dello spazio vitale. La Repubblica di Bonn va infatti un po' stretta alla grande Germania che vi si vorrebbe stabilire. In que ste province d'occidente si è più che triplicata in cento anni la densità umana: da venti a più di sessanta milioni. E' vero che il Paese è prospero, ma è anche vero che la crescita economica ha cessato da un pezzo di offrire lavoro a tutti. In queste condizioni è persino ovvio che venature xenofobe attraversino la psicologia nazionale. Un po' meno ovvio, ma altrettanto inevitabile, è che la xenofobia smarrisca il suo significato letterale: fino a investire quei membri dispersi della nazione che vengono ritrovare le loro antiche radici.

Luoghi citati: Baden-wùrttemberg, Berlino, Bonn, Germania, Prussia, Romania, Russia, Transilvania