L'aguzzino impunito di A. Galante Garrone

L'aguzzino impunito L'aguzzino impunito A. GALANTE GARRONE Il caso Malloth: un altoatesino di Merano, che nel 1939 prese la cittadinanza tedesca e, da buon nazista, infierì con omicidi e torture contro gli ebrei deportati nel campo di Terezin (già Theresienstadt), e fu per questo, nel 1948, condannato a morte da un tribunale boemo. Da decenni, pare che viva alla macchia, ma di tanto in tanto, da bravo pater fornii, lias, visita la moglie rimasta a Merano. E;, (jùi, .'.qualche, giorno fa, i carabinieri l'hanno sorpreso (non arrestato, a quanto pare, e neanche «fermato». Quelle délicatesseV). Le nostre autorità non hanno trovato di meglio che te? gliersi dai piedi quel criminale, fargli avere a tempo di record, dal consolato di Milano della Repubblica Federale Tedesca, un regolare passaporto, e prenotargli un posto su uno degli affollatissimi aerei in partenza per Monaco di Baviera. E tanto zelo filantropico — in un Paese come il nostro, dove le cose della giustizia e dell'amministrazione vanno così a rilento — nonostante che la Cecoslovacchia abbia più volte richiesto l'estradizione dell'«aguzzino impunito», fino a poche ore prima della partenza. Strano Paese. Nei mesi scorsi, a Milano e a Torino, ci siamo commossi, in tanti, nel visitare l'agghiacciante mostra sui documenti dei deportati a Terezin, specialmente i disegni dei bambini, le poesie dei ragazzi. L'hanno vista questa mostra i dirigenti della Farnesina, e il ministro degli Esteri? Bel modo, davvero, il nostro di rendere omaggio alle vittime di Terezin; e anche di prepararci-a ricordare l'imminente ri-, correnza cinquantenaria di quella vergogna nazionale, che furono le nostre leggi del 1938 contro gli ebrei: leggi infami che, non dimentichiamolo, agevolarono e spianarono la via al grande Olocausto. Quel che più ci offende, in questa brutta storia, è la fretta indecorosa con cui ci si è sbarazzati di quell'ingombrante fardello. E fretta tanto più deplorevole, in quanto Simon Wiesenthal, il «cacciatore dei criminali nazisti», aveva fatto tempestivamente sapere, sia pure in extremis, che in Austria sin dal 1958 era stato spiccato contro Malloth un mandato di cattura, tuttora valido, e che nella Germania Federale esistono grossi fascicoli, anche giudiziari, sul conto del criminale, e che lui, Wiesenthal, aveva chiesto un incontro col ministro della Giustizia di quel Paese per discutere il caso. Non ci facciamo troppe il¬ lusioni sulla volontà odierna dell'Austria di Waldheim e della Germania di andare a fondo nelle indagini processuali. Ma non disperiamo che ciò possa accadere. Ed è anche per questa ragione, che si doveva procedere con cautela (e non con tanta forsennata furia) e prendere contatti con questi Paesi, invece di lavarsene le mani, pi- latescamente. E debole ci appare anche l'oqie;zi6ne [ deJJ'ésis,teiji^ .di una condanna a morte. Ciò riguarderebbe soltanto i nostri rapporti con la Cecoslovacchia. E del resto, più in generale, non si possono dimenticare le Convenzioni sul genocidio, da noi sottoscritte, e la recente evoluzione del diritto internazionale, < la legge costituzionale 21 giù gnp 1967 n. 1, che ci impone, in tema di estradizione, la repressione incondizionata dei delitti contro l'umanità. Tutti interrogativi che non possiamo fingere d'ignorare «Non chiediamo vendette, ma giustizia», è stato il nobile commento di Tullia Zevi. Come lei, vorremmo sapere, vederci chiaro. Siamo indi gnati per un compbrtamen to che, come ha detto la Co munita israelitica di Merano. «trasuda ipocrisia». E intanto il vecchio Malloth starà magari brindando con i suoi compari in qualche birreria di Monaco.

Persone citate: Malloth, Simon Wiesenthal, Tullia Zevi, Waldheim, Wiesenthal