Erodoto un pessimista che svela le meraviglie della storia di Carlo Carena

Erodoto, un pessimista che svela le meraviglie della storia Il primo volume dell'opera nella nuova versione di Antelami per la Fondazione Valla Erodoto, un pessimista che svela le meraviglie della storia . UESTA è l'esposi- // Il zione delle ricer^V. che (Historìes) di Erodoto di Alicarnasso, poiché gli eventi umani non svaniscono con il tempo-. Chissà se nell'annuale convegno interuniversitario tenuto nei giorni scorsi a Bressanone sul tema dei -preliminari del testo»; proemio, prologo e prefazione- qualcuno avrà ricordato queste righe. Sono — nella nuova versione di Virginio Antelami per la Fondazione Valla — l'incipit dei nove libri delle Storie di Erodoto; e sono una tappa fondamentale nella tradizione intellettuale dell'Occidente. Erodoto non aveva quasi nessuno alle sue spalle; oracoli, mitografi, poeti, nessuno che avesse usato la prosa in un'opera letteraria, nessuno che avesse pensato a raccogliere e a salvare le storie degli uomini. Sotto i suoi occhi (era nato verso il 485 ad Alicarnasso sulle coste della Turchia, suddito dei Persiani e di prìncipi loro vassalli) vide quasi lo scontro fra la Persia e la Grecia, poi ad Atene godette dello splendore dell'età di Pericle. C'era di che accendersi, ad avere un cuore buono ed una mente sveglia. Prese dunque a raccontare in una lingua fluida, abbandonata al ritmo del parlato, quello scontro anch'esso epico; ma presto capi die per capire occorreva allargare l'indagine; ovvero si lasciò trascinare al largo e all'indietro da quell'episodio, in tempi e luoghi sconfinati quanto complessi sono i motivi e le circostanze. Andò o era stato in Libia fino a Cirene; nell'Alto Egitto fino ad Assuan; sul delta del Nilo, a Papremi, aveva trovato le ossa dei Persiani e degli Egiziani caduti nella battaglia del 459 e aveva provato a forare con dei sassolini i loro crani, riscontrando che mentre quelli dei Persiani si foravano facilmente, quelli degli Egiziani erano resistenti, certo perché fin da piccoli essi si radono il capo e cosi il sole fortifica l'osso. Era salito fino in Scizia e Crimea, dove aveva assaggiato la strana acqua amara di Esampeo; si era inoltrato in Asia fino alle grandi metropoli della Mesopotamia, e a Occidente era venuto come colono in Calabria, nel 443. Dovunque aveva raccolto meraviglie e tristezza, percìvé, come scrive poco dopo il proemio, di tante città •quelle che anticamente erano grandi, per lo più sono divenute piccole, mentre quelle che al mio tempo erano grandi, furono piccole in antico. Sapendo, dunque, che la felicità umana non si ferma mai in uno stesso luogo, ricorderò ugualmente tanto le une quanto le altre». La parabola, il manifesto del pessimismo erodoteo si trova proprio in questo primo libro, che la Fondazione Valla-Mondadori editrice presentano con David Asheri introduttore generale e czf commentatore, e con traduzione dell'Antelami (pagine CLV1II-401 col testo greco a fronte, lire 35.000); manifesto espresso in una favola storica che ha tratti da Mille e una notte mescolati alle tragedie di Sofocle. Quando Creso satrapo della Lidia ebbe raggiunto vasti confini e ricchezze — siamo intorno al 553 avanti Cristo —, interpella fra gli altri saggi l'ateniese Solone dopo avergli fatto visitare i propri immensi tesori, chiedendogli se nella sua vasta esperienza di uomini e cose egli avesse mai incontrato l'uomo più felice della terra. Pensava di esser lui; ma Solone indica un ignoto ateniese di nome Tello, padre di buoni figlioli tutti vivi, in una città prospera, morto in battaglia mettendo in fuga i nemici: punto e basta. Neppure il secondo posto viene assegnato a Creso, ma a due giovani atleti di Argo, che dopo aver onorato durante una festa la propria madre si addormentano e muoiono la sera stessa nel tempio di Era, cosi che -la divinità mostrò In costoro che è cosa migliore per l'uomo esser morto che vivere». Poiché -tutto nell'uomo è caso e circostanza-; la ricchezza a volte vale meno per la felicità che le condizioni mediocri remote dall'invidia divina; soprattutto, bisogna aspettare ch'egli sia morto, per chiamare un uomo felice. Anche quando, poco dopo, l'oracolo annunciò a Creso che scendendo in guerra contro i Persiani «avrebbe distrutto un grande impero», egli si rallegrò molto e imbaldanzì: e fu invece il proprio impero ch'egli distrusse, vinto da Ciro. E altrettanto toccherà allo stesso Ciro alla fine del libro, ingannato egli pure da un sogno, caduto in battaglia e conficcato con la testa in un otre pieno di sangue dalla regina Tomiri, a cui aveva causato la morte del figlio. In un suo pamphlet Plutarco scrisse che Erodoto dicendo queste cose sugli uomini e sugli dèi «combina la bestemmia con la maldicenza»; né l'elenco dei di/etti attribuiti da qualche antico al -padre della storia-, come pure lo chiamavano, si fermerebbe qui: è un visionario, un credulone, un impostore, da leggere con sospetto: tanto più che, riconosce lo stesso Plutarco, «è un grande artista, un narratore seducente, pieno ovunque di grazia, bravura e freschezza, che narra le sue storie come un bardo». Ed ecco l'altra faccia, quella della seduzione narrativa di Erodoto, dovunque diffusa e inalterabile. Si prenda la seconda parte del primo libro, dove lo scrittore secondo il suo solito, inciampando attraverso Creso nei Persiani, narra i loro costumi, e poi, inciampando attraverso le conquiste di Ciro negli Assiri e Babilonesi, narra i costumi e i luoghi degli Assiri e dei Babilonesi. I Persiani venerano gli dèi sema altari né statue, e solo i sacerdoti fra loro usano uccidere qualsiasi essere vivente, tranne il cane e l'uomo, accanendosi soprattutto contro le formiche. I Persiani si astengono dal vomitare in pubblico e discutono gli affari più importanti da ubriachi; tengono i figli per cinque anni lontano dai padri perché, se muoiono allora, non provochino sofferenza in chi li ha generati. La Babilonia di Erodoto è esattamente quella della nostra stessa immaginazione e del pianto biblico. Si allarga nella pianura con le sue muraglie di mattoni lunghe cento chilometri, larghe ventinove metri e alte cento, popolata di torri, di templi, di ponti, di giardini, attraversata dal grande fiume su cui scendono dall'Armenia i contadini col loro vino dentro barche rotonde di pelli e di canne, con a bordo un asino: arrivati a Babilonia, venduto il vino, bruciano il telaio di canne, caricano la pelle sull'asino e tornano in Armenia, e tornati che sono in Armenia costruiscono nuove barche con la medesima pelle e... Più a Nord, sulle sponde orientali del Caspio, vivono i Massageti, i quali non conoscono né ferro né argento e fanno ogni cosa con l'oro e col bronzo; usano sacrificare i vecchi arrivati a tarda età e banchettano con le loro carni bollite, «intendendo quella la fine più felice»; si nutrono e s'inebriano abitualmente di hashish o, quelli che invono negli stagni e nelle paludi dei loro grandi fiumi, di pesci crudi, rivestendosi di pelli di foca. A Occidente, di là dal Caspio, confinano con tribù selvagge abitanti sui monti più alti ed estesi della terra, quelli del Caucaso, tribù che si nutrono solo di frutti selvatici e si accoppiano in pubblico -come le bestie-; mentre a Oriente dei Massageti si stende una pianura a perdita d'occhio... Secondo il nuovo prefatore e curatore dell'edizione Valla «Erodoto reagisce alle cose che vede come un paesano che si aggiri per la prima volta in una grande città, forse anche come un giornalista che si prepari a stupire il pubblico dopo il suo ritorno». Azeglio di lui diceva sicuramente il vecchio Murray: «Le storie di Erodoto sono, forse meglio di qualsiasi altro libro conosciuto, l'espressione di tutto un uomo, la rappresentazione del mondo intero visto attraverso una singola mente e in una particolare prospettiva». Fu gran ventura sua — e nostra — che al suo tempo il mondo fosse straordinariamente interessante, e che Erodoto provasse interesse per ogni dettaglio significante della vita e per suo tramite sapesse esprimere il senso di un evento umano, corrente attraverso vie misteriose, o le atmosfere del inondo, riccìie di profumi, di colori, di crudeltà e di stravaganze. Altri faranno certamente sforzi maggiori per razionalizzare gli eventi, analizzare a fondo i popoli e le razze, affinare il metodo del proprio mestiere e garantire il proprio racconto. Questo asiatico grecizzato combina istintivamente la fantasia visiva degli orientali con la penetrazione inquisitiva degli elleni; la gioia del racconto trasporta lui per primo, e la gravezza del nostro destino passa solo come una nuvola sul suo orizzonte. Carlo Carena Erodoto LA VISIONE DEL MONDO DI ERODOTO secondo Niebuhr E U Tissageti O P A Issedoni MAR ROSSO

Persone citate: Antelami, David Asheri, Persiani, Virginio Antelami