Finisce l'avventura di Shasa l'africano

Finisce l'avventura di Shasa l'africano Con «I fuochi dell'ira» Wilbur Smith completa il «ciclo dei Courteney» Finisce l'avventura di Shasa l'africano FIN dalie prime pagine Shasa Courteney, il protagonista sudafricano di origine inglese, un rooinek, -collo rossoper gli afrikaner, ci viene incontro come l'eroe vincente simpatico, positivo, benché bianco sfruttatore nella terra dell'apartheid. Uomo di sconvolgente bellezza, con fascinosa benda nera sull'occhio perso in Abissinia nella seconda guerra mondiale, fortunato in amore e nella finanza. Shasa è il personaggio più curato da Wilbur Smith in I fuochi dell'ira: in quest'ultimo romanzo seguiamo lui e la sua famiglia dagli Anni Cinquanta a un passato abbastanza recente, in cui figurano personaggi veri come Harold Macmillan e Nelson Mandela. Smith, che da nove anni produce best seller, con il ritratto a tutto tondo di Shasa pare voler chiudere in bellezza il -ciclo dei Courteney-, la famiglia a cui ha dedicato ben sei romanzi per un totale di quasi 3500 pagine. Dallo sfondo emergono anche le figure di due antagonisti: Moses Gama, leader della protesta negra, e Manfred De La Rey, ex filonazista, membro del governo separazionista, di educazione calvinista e boera. Gama è una specie di Shasa versione ebano: ha lineamenti da faraone egizio, testa che sembra scolpita in un blocco di onice nera: De La Rey. che alla fine il protagonista scopre, con orrore, essere il suo fratellastro, mentre i lettori lo sanno fin da pagina 70, è invece corpulento e brutto come si addice al -cattivo-. Eppure Shasa non è certo uno stinco di santo: non ha nessuna intenzione di dare la parità ai negri, però pensa che vadano meglio trattati per evitare un bagno di sangue, gli piacciono i safari, quelli veri, inquina il mare con una delle sue industrie, svolazza da un letto all'altro. Ma ama appassionatamente la sua terra, non è crudele ed ha un codice di autoregolamentazione, ad esempio non corteggia mai le dipendenti perché sarebbe antisportivo come sparare a un uccello fermo, finisce per apparire sempre simpatico. Proprio come il suo creatore, Wilbur Smith, così abile nel tessere trame amorose e politiche, da riuscire a trasformare in avventura anche la tragedia del Sudafrica, e a - venderla-, come un ingrediente che dà più sapore a un libro di successo. Carla Marello Wilbur Smith «I fuochi dell'ira», Longanesi, 704 pagine, 25.000 lire.

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