E a Pechino 81 supermarket delle armi di Gianni Bisio

E' a Pechino il supermarket delle armi Il Senato Usa minaccia ritorsioni se le forniture cinesi al Medio Oriente continueranno E' a Pechino il supermarket delle armi Esportazioni per 2500 miliardi di lire l'anno, un aumento del 150 per cento - Gli addetti militari fungono da «rappresentanti» - Il segreto: tecnologie occidentali e prezzi bassi NEW YORK — Il Senato Usa ha chiesto alla Casa Bianca di «riesaminare» le relazioni con il governo di Pechino, in particolare per le forniture di tecnologia, se la Cina non cesserà di fornire materiale bellico ai Paesi del Medio Oriente. Approvata mercoledì sera con 97 voti a favore e nessuno contrario sotto forma di emendamento alla legge di bilancio per i dicasteri degli Esteri, della Giustizia e del Commercio, la richiesta era stata avanzata dal capo della minoranza repubblicana Dole. L'emendamento non ha valore vincolante per la Casa Bianca. (Ansa) La Cina popolare, negli ultimi anni, è diventata uno dei grandi fornitori di armi del Terzo Mondo: senza essere confrontabile a Stati Unili, Unione Sovietica e Francia, ha tuttavia raggiunto (e superato) il livello di Paesi come la Germania Federale, la Gran Bretagna e la stessa Italia. Lo ha rivelalo il rapporta 1987 del Sipri (Stockholm International Peace Research Institute) pubblicato a novembre, e le notizie di questi ultimi mesi, prove¬ nienti dall'area calda del Golfo Persico, confermano questa impressione. Di certo si sa che nel 1986 le armi (per lo più sistemi semplici e rozzi, ma funzionali e di basso costo) hanno rappresentato l"8 per cento dell'export globale cinese, per un valore che ha superato i 2 miliardi di dollari (2500 miliardi di Urei, ottenuto soprattutto con vendite in Medio Oriente. Rispetto all'inizio degli Anni 80, l'incremento di vendite cinesi supera il 150 per cento. Il contratto più recente (Siria esclusa), è quello con l'Arabia Saudita per la fornitura di missili balistici a medio raggio CSS-2 (ordigni superati ma sempre temibili, avendo tremila km di portata e la possibilità di montare una testata atomica), armi che Riad afferma di avere acquistato «per motivi esclusivamente difensivi». Secondo gli analisti occidentali, la Cina è divenuta uno dei maggiori fonitori dei Paesi belligeranti del Golfo (senza preferenze per uno o per l'altro), raggiunti con il sistema della triangolazione attraverso la Corea del Nord, l'Egitto, la Libia. Allo stesso modo ha fornito persino armi ai contras, con il beneplacito degli Stati Uniti. Negli Anni 80 in Cina si sono sviluppate una mezza dozzina di fabbriche d'armi, che fanno capo per l'esportazione alla Poly Technologies (Politech), azienda diventata nota per aver commercializzato all'estero i missili Silkworm di cui si è dotato l'Iran la scorsa estate. Presidente dell'impresa è il genero di Deng Xiaoping, Hu Ping. Con lui collabora strettamente He Pengfei, direttore del settore equipaggiamenti dell'esercito, figlio del maresciallo He Long, uno dei più importanti generali cinesi. La Politech, infatti, più che mezzi nuovi sta vendendo all'estero tutto il materiale immagazzinato per anni e che ora è diventato inutile dopo la ristrutturazione (qualitativa più che quantitativa) dell'esercito cinese e i conseguenti tagli (oltre il 25 per cento) negli effettivi. I ricavi vengono impiegati per l'ammodernamento dell'armata di Pechino. Accanto alla Politech, e spesso in concorrenza, vi sono sette aziende, costituite in corporation a controllo statale: la Norinco (corazzati, artiglierie, armi leggere e munizionamento), la Cpmiec (missili strategici e tattici), la Cssc (navi), la Ceiec (apparecchiature elettroniche), la Great Wall (razzi vettori), la Catic (aerei) e la Cneic (applicazioni dell'energia nucleare). Questo gruppo di aziende gode dell'aiuto incondizionato degli addetti militari cinesi, impiegati a tempo pieno nel ruolo di rappresentanti dell'industria bellica e sparsi in sessanta Paesi di cui la metà sono ormai clienti: dopo il Medio Oriente l'interesse è rivolto all'America Latina e all'Africa. La gamma della produzione cinese è vasta, ma sempre derivata da modelli preesistenti, anche occidentali, copiati o addirittura prodotti con tecnologie acquistate regolarmente in Occidente. Gli stessi Stati Uniti all'inizio di marzo hanno allentato le restrizioni per la vendita di tecnologie alla Cina. Il Giappone, invece, sta combattendo le vendite illegali di alta tecnologia alla Cina- all'inizio di aprile vi è stata una serie di blitz in im¬ prese d'import-export di Tokyo, tra cui la Kyokutd Shokai, accusata di aver venduto a Pechino sette progetti proibiti Ma il caccia cinese F-7 (copia del Mig-21) ha avionica britannica Gec regolarmente acquistata, mentre la stessa Aeritalia ha sottoscritto un contratto per fornire apparecchiature elettroniche al caccia da attacco al suolo A5 (versione cinese del Mig 19). Dalla statunitense Grumman proviene l'avionica (valore del primo contratto, 550 milioni di dollari) del caccia multinolo F-811, destinato per ora soltanto all'aviazione cinese. Austria, Germania e soprattutto Israele (che pure non ha relazioni diplomatiche con la Cina) forniscono tecnici e assistenza per realizzare corazzati, soprattutto 'rifacimenti» («ottimamente riusciti», dicono gli analisti militari) di modelli vecchi, a volte persino di «prede belliche», come è accaduto per i carri sovietici T-54 e 55 catturati dagli israeliani e, sembra, rivenduti agli iracheni, dopo il 'maquillage» in Cina, attraverso Singapore. Gianni Bisio

Persone citate: Catic, Deng Xiaoping, Dole, Hu Ping, Peace