A rapporto da Cossiga sulla mafia di Francesco La Licata

A rapporto da Cossiga sulla mafia Al Quirinale i ministri dell'Interno, della Giustizia, e il vicepresidente del Csm A rapporto da Cossiga sulla mafia Gava: «Ho le carte in regola. A Palermo non mancano né polizia né carabinieri» - Vassalli dispone indagini sulla situazione giudiziaria Un caso Sicilia o un caso Borsellino? ROMA — Tutti a rapporto da Cossiga. I ministri Gava, Vassalli e il vice-presidente del Consiglio superiore della magistratura Mirabelli, sono saliti ieri al Quirinale per riferire al presidente della Repubblica sullo stato della lotta alla mafia. E' la risposta del governo e del Consiglio superiore della magistratura alle accuse lanciate dal procuratore di Marsala, Paolo Borsellino. Per i ministri quel giudice non dice il vero, lo Stato non ha mai abbassato la guardia nella battaglia contro le cosche. Quanto al Csm, si svolgerà nei prossimi giorni una seduta straordinaria del comitato anti-mafia, per valutare la fondatezza delle dichiarazioni del magistrato. Cossiga infatti ha posto la questione in termini molto chiari: se esiste un «caso Sicilia», allora governo e magistratura devono intervenire con urgenza. In caso contrario esisterebbe comunque un «caso Borsellino», che andrebbe ugualmente affrontato nelle sedi competenti. «Noi abbiamo le carte in regola — ha detto il ministro dell'Interno Oava al Capo dello Stato —, e in Sicilia c'è grande collaborazione tra magistratura e forze dell'ordine'. Alle 8,30 del mattino, Gava è stato il primo a recarsi da Cossiga, portando con sé cifre e statistiche sullo schieramento delle forze di polizia contro la mafia c sui risultati raggiunti. A Palermo e provincia sono attualmente in servizio 3.336 poliziotti, 679 in più rispetto all'organico previsto. Di questi 2.258 lavorano in Questura, dove è stato creato un apposito nucleo prevenzione crimine. Rispetto al 1983, l'anno in cui secondo il giudice Borsellino si verificò la cesura fra indagini approfondite e «il vuoto assoluto^, ci sono 1.035 poliziotti in più. Con queste forze e con le nuove strutture create per fronteggiare le cosche, ha riferito ancora Gava, sono stati raggiunti 'importanti risultati» sul piano investigativo. Solo nel marzo scorso le indagini di polizia giudiziaria sono scaturite in 190 ordini e mandati cattura per associazione mafiosa e traffico di stupefacenti. Dall'inizio dell'anno sono state denunciate 1.240 persne (484 arrestate), mentre in tutto l'87 furono 2. 074 (935 arrestate). Forte di questi dati, Gava ha aggiunto che «se sarà necessario il ministero dell'Interno è pronto a rafforzare ulteriormente te strutture e a fare quanto gli verrà chiesto. Mi è dispiaciuto leggere certe dichiarazioni sulla stampa senza esserne informato prima. Se vogliono a Palermo ci vado anche subito». Ma le assicurazioni «numeriche» fornite dal ministro dell'Interno a Cossiga, non soddisfano il vice-sindaco di Palermo, nonché ex-magistrato e deputato della Sinistra Indipendente, Aldo Rizzo. «Non è un problema di quantità di uomini — dice Rizzo —, ma di qualità delle indagini. E' vero che con le conoscenze sulla mafia siamo rimasti alle dichiarazioni di Buscetta, ma è anche vero che non si può affidare tutto alla magistratura. Le indagini devono farle i poliziotti». Per il vice-sindaco di Palermo, che apre un nuovo capitolo della polemica, «occorre trasformare finalmente l'Alto commissariato per la lotta alla mafia in una centrale di intellingence nazionale. Nella passata legislatura lo abbiamo ripetuto mille volte, ma nessuno ci ha dato ascolto. Forse qualcuno teme che indagini approfondite possano arrivare a scalfire certi santuari economici e finanziari». Mirabelli ha assicurato a Cossiga il massimo interessamento del Consiglio superiore della magistratura alla questione sollevata dal suo appello. n vice-presidente del Csm ha confermato che al Consiglio è arrivata la relazione del consigliere istruttore di Palermo, Antonino Meli, sulla «ristrutturazione» del pool anti-mafia. In quel rapporto è scritto che sarebbe meglio non concentrare nelle mani di pochi magistrati le indagini sulla mafia. E' la filosofia che ha fatto scattare la reazione di Borsellino e degli altri giudici che fino ad ora si erano occupati solo di lotta alle cosche. Nel pomeriggio al Quirinale è salito Vassalli, che con Cossiga si è trattenuto per quasi un'ora, analizzando la situazione degli uffici giudiziari siciliani. Come gli altri interlocutori, anche il Guardasigilli si è riservato di informare in seguito il capo dello Stato sulle ulteriori indagini che sono già state disposte. n ministro della Giustizia non è stato l'ultimo ad essere ricevuto da Cossiga. In serata è andato anche il segretario del pei Occhetto, che ha chiesto di incontrare il presidente della Repubblica per esprimere «apprezzamento alla sua richiesta di far luce sulla situazione di assoluta inadeguatezza nella lotta alla mafia in Sicilia». Dal mondo politico è venuto un coro unanime di giudizi positivi sull'intervento di Cossiga. Il giornale de II Popolo lo definisce «mirato»; la Voce repubblicana «puntuale»; VAvanti!, organo del psi, «opportuno»; il presidente della nuova Commissione Antimafia, Chiaromonte, «molto importante». Per il segretario del psdi, Cariglia, il presidente «ha perfettamente ragione». Giovanni Bianconi Un altro giudi€e del pool: «Indagini azzerate » PALERMO — E' cominciata prestissimo la giornata del dopo-Cossiga al Palazzo di Giustizia di Palermo. L'intervento del Capo dello Stato ha avuto il merito di fare esplodere uno stato di malessere che prima era solo fuoco che covava sotto la cenere. Sono diventate animate discussioni gli articoli dei giornali, è diventato dibattito aperto fra magistrati (anche se sempre rigorosamente anonimo per gli altri) il j'accuse del Procuratore capo di Marsala, Paolo Borsellino. Accuse che il Capo dello Stato ha valutato attendibili tanto da indurlo a chiedere chiarimenti al Governo e al Csm. D primo ad arrivare all'Ufficio Istruzione è il consigliere Antonino Meli, nell'occhio del ciclone per avere sostenuto che la denuncia del giudice Borsellino non è suffragata da niente. Abbastanza mattiniero anche il procuratore capo, Salvatore Curti Giardina: giornali sotto il braccio, fila dritto verso il suo ufficio. Per tutta la giornata sarà impossibile ai cronisti ottenere udienza. Si saprà, in seguito, che i vertici di Palazzo di Giustizia «sono abbastanza innervositi per quanto è stato scritto a proposito della criticata procedura messa in atto nell'ambito della inchiesta sulla fuga di notizie e sull'omicidio dell'ex sindaco Giuseppe Insa- laco e sulle rivelazioni del pentito Antonino Calderone». Una indagine che ha già portato in carcere due giornalisti e che ha messo sotto inchiesta poliziòtti, investigatori e gli stessi magistrati della Procura e dell'Ufficio Istruzione, presi a verbale, come si dice in gergo, dal Consigliere aggiunto Marcantonio Motisi. E' proprio questa la vicenda che sembra abbia favorito più delle altre le faide fra giudici. Ma nessuno è disposto ad ammetterlo, anche se ormai tutti auspicano un intervento del Consiglio Superiore della Magistratura, «perché in un modo o nell'altro venga fatta piena luce». L'impressione è che proprio l'ormai inevitabile arrivo di una commissione del Consiglio superiore della magistratura rappresenti l'inizio di una nuova fase di grandi polemiche: i magistrati di Palermo, infatti, sembrano intenzionati a «vuotare il sacco» su tutto ciò che non va nel Palazzo. Le espressioni dei volti di sostituti e istruttori sono eloquenti, ma la richiesta di «rimanere anonimi per carità» preclude ogni strada all'approccio. Sull'intervento del Capo dello Stato, invece, i magistrati si lasciano tentare. «Ho molto apprezzato — dice il dott. Antonino Meli — la posizione di Cossiga. In quella situazione era doveroso che intervenisse...». Si, ma ciò vuol dire che Borsellino aveva ragione, o no? «JZ mio unico interlocutore — sbotta Meli — è il CSM, al quale ho già scritto. Sono certo di potere dimostrare col fatti che non una delle parole di Bor sellino risponde a verità. La lettera è già nelle mani di chi di ragione e spero se ne occupi al più presto, perché si faccia chiarezza su fatti allucinanti». Altrettanto soddisfatto dell'intervento di Cossiga è il giudice istruttore Giuseppe Di Lello, da sempre nel pool antimafia capitanato da Giovanni Falcone. «Non mi meraviglia — dice — la sua presa di posizione, perché Cossiga ha sempre detto che è dovere del Capo dello Stato essere informato. Tutto ciò rientra perfettamente nella sua linea di condotta, particolarmente attenta ai problemi della mafia. Nessuno di noi ha dimenticato che quando il Presidente venne in visita a Palermo, fu lui stesso a sollecitare un incontro coi magistrati antimafia, incontra che non era previsto dal protocollo». E il grido d'allarme lanciato da Borsellino? Di Lello vince la sua tradizionale ritrosia, il suo discorso si fa via via più appassionato e veemente. «Ma chi può mettere in dubbio quanto ha detto Borsellino? La città sembra ripiombata nel clima del 1979, quando uccisero il capo della Mobile Boris Giuliano e l'ufficio fu 'decapitato'. Successivamente i 'professionisti dell'antimafia', Costa, Chinnici, Cassarà, Montana, sono stati tutti eliminati e la tranquillità mafiosa è stata ripristinata. Il mondo politico, ad eccezione dei soli Leoluca Orlando e Rino Nicolosi, èripiombato nel silenzio assoluto, ignorando sistematicamente il problema della mafia. Cosa Nostra si è riorganizzata ed è tornata ad uccidere». Il quadro che dipinge il giudice Di Lello non è dei più rassicuranti. Anzi. «La città è totalmente in mano alla mafia, controllata millimetro per millimetro. Qui a Palermo non c'è una sola 'famiglia' come accade altrove: qui ogni quartiere ha la sua cosca e i suoi capicosca; immaginate con quanta efficienza riescono ad essere padroni del territorio. Tutto ciò con l'aggravante che Palermo è capitale e sede del Governo regionale». Di Lello si ferma un attimo, come a volere riflettere su quanto ha detto e raccoglie le idee. Poi riprende: «Di contro lo Stato ha abbassato la guardia. C'è disattenzione, incostanza. Alcuni magistrati sono poco protetti, non hanno neppure il divieto di sosta 'antibomba'sotto casa. La disorganizzazione degli uffici investigativi è totale. La squadra Mobile è diventata una sorta dì porto di mare: si cambiano funzionari ogni trimestre. Alla sezione stupefacenti, quella che dovrebbe controllare uno dei nodi internazionali del traffico della droga, c'è un vice-commissario. Alla omicidi hanno messo una ragazza fresca di corso». Di Lello, quindi, mette il dito in un'altra piaga. «Abbiamo sempre detto che il maxiprocesso non esauriva la lotta alla mafia, che era necessario lo sforzo collettivo e l'impegno globale dello Stato. Le nostre difficoltà, adesso, derivano proprio dall'assenza di tale impegno collettivo, seppure tante volte declamato. Non è un caso che l'ex ministro dell'Interno Scalfaro, veniva periodicamente a Palermo per incontrarci, mentre il suo immediato successore, Fanfani, ebbe a dire che non era certo la mafia il problema più pressante del suo ministero». Il tono si placa, la voce di Di Lello si rasserena: «E' pesante lavorare in queste condizioni, mentre sono ancora aperte le istruttorie sugli omicidi di Mattarella, di La Torre e di Insalaco». Si alza per rispondere al telefono. Gli comunicano che è stato ammazzato un uomo dei Greco. Sorride ironico: «Ma non era stata sconfitta la mafia?». Francesco La Licata