La Nigeria guarisce dai sogni di Tito Sansa

La Nigeria guarisce dai sogni Dopo la grandeur negli anni del caro-petrolio, austerità per pagare i debiti La Nigeria guarisce dai sogni Opere faraoniche, corsa ai consumi, corruzione: il governo deve rimediare ai guasti prodotti in tempi di dollari facili - Con i sacrifici, i primi successi: agricoltura in ripresa, l'economia torna a crescere DAL NOSTRO INVIATO LAGOS — Schiacciate dai debiti all'interno e verso l'estero, due compagnie armatoriali nigeriane appartenenti allo Stato (la National Shipping Line e la African Ocean Line) hanno messo in vendita sette delle loro navi. La National Shipping, che possedeva due mercantili, li ha ceduti ai cantieri tedeschi che li avevano costruiti ed è praticamente scomparsa dai mari, la African Ocean offre cinque dei 19 pezzi della sua flotta e spera di racimolare in tutto tra i 15 e i 18 milioni di dollari. Per non affondare. Sono tempi duri, questi, per la Nigeria, il «gigante dell'Africa», e per i suoi 112 milioni di abitanti. Dopo i nove anni di vacche grasse, dal 1973 al 1981, dovuti al «boom» del petrolio, quando un barile di greggio si pagava fino a 40 dollari, da sette anni il Paese vive il periodo delle vacche magre ed è costretto a stringere la cinghia. Allora, quando si produceva fino a due milioni e mezzo di barili al giorno, le entrate in valuta della Nigeria (che dipende per il 95 per cento dal petrolio) salivano fino a 24 miliardi di dollari l'anno. Arricchitosi troppo in fretta, il gigante si trasformò radicalmente, favorito dal governo che aveva lanciato un massiccio e folle prò gramma di spese per l'infra struttura, l'educazione, l'edilizia, l'industria. Furono costruite opere ciclopiche (co me le dighe di Shiroro e di Bakolori, rispettivamente delle imprese italiane Torno e Impresti), una rete di di migliaia di strade e autostrade (in prima linea la to rinese Borinì e Prono), arditi ponti, impianti di assem blaggio di automobili e di autocarri (Peugeot, Volkswa gen e Fiat), l'Unione Sovietica si assunse l'impegno di costruire quattro acciaierie (i lavori sono ancora in corso e non se ne vede la fine), fu tracciata la ferrovia meridionale da Abeokuta a Port Harcourt (sempre sulla carta), fu varato il progetto avveniristico di costruire ex novo per 16 miliardi di dollari una capitale ad Abuja, al centro geografico del Paese. Attratti dagli alti salari, milioni di persone si trasferirono nelle città (Lagos passò da 300 mila agli attuali 8-10 milioni di abitanti), le campagne furono abbandonate, l'agricoltura deperì, cacao, olio di palma, miglio, sorgo finirono di essere le colonne portanti delle esportazioni. Mentre il governo permetteva alla valuta, la naira, di venire sopravvalutata, il Paese divenne importatore di beni in gran parte fin allora sconosciuti. Cambiate le abitudini alimentari della popolazione urbanizzata, la Nigeria divenne il secondo importatore di grano americano al mondo (la gente aveva scoperto il pane), l'automobile divenne il primo genere di necessità. Da una economia agricola a struttura tribale, la Nigeria precipitò in quella industrializzata, in pieno del ventesimo secolo. Brusco fu il risveglio all'inizio degli Anni Ottanta, quando crollò il prezzo del greggio e l'Opec, a causa del le eccedenze mondiali, con tingentò la produzione nigeriana, limitandola a 1.3 milioni di barili al giorno. Il gigante africano vide le sue entrate di valuta ridotte del 75 per cento, a circa 6 miliardi di dollari l'anno, scoprendo la debolezza della sua economia, dipendente dal petrolio. E, siccome negli anni degli sprechi e dei lussi (accompagnati e caratterizzati da ruberie e corruzione a tutti i livelli) lo Stato si era indebitato per finanziare i più faraonici progetti, la Nigeria si ritrovò a dover destinare fino al 33 per cento dei proventi delle esportazioni per pagare il debito estero. Preso il potere con un colpo di Stato nell'agosto di tre anni fa, il generale Ibrahim Badamasi Babangida ha lanciato un ardito programma di riforme, incentrato sul ritorno all'agricoltura e la liberalizzazione dei commerci. Avrebbe voluto, il generale, chiedere un prestito di due miliardi e mezzo di dollari offerto dal Fondo monetario internazionale. Ma una violenta campagna di stampa della maggioranza dei 22 quotidiani e dei nove settimanali provocò una sollevazione popolare senza precedenti. Il popolo nigeriano reagì con orgoglio nazionalistico, rifiutando il prestito. Babangida, 46 anni, è musulmano, vive spartanamente in un baraccamento militare, si alza a pregare alle 5. e la domenica accompagna fino alla porta della chiesa la moglie cattolica. Da buon soldato e cittadino che ha instaurato la «democrazia militare», cedette. Ma impose le drastiche misure di austerità consigliate dal Fondo monetario internazionale: svalutazione della moneta per incentivare le esporta¬ zioni e contrarre le sfrenate importazioni, blocco dei salari, abolizione del corrotto sistema delle licenze di importazione, soppressione delle sovvenzioni statali, liberalizzazione del commercio e del mercato dei cambi. Proprio nei giorni scorsi, alla fine di giugno, e terminata la prima fase del programma chiamato «di mantenimento-. La crisi economica è sempre acuta, ma già si intravedono i primi successi. La quota dei proventi dell'esportazione destinata al pagamento del debito estero — per esempio — e scesa all'll per cento, l'agricoltura è in ripresa. Il governo dice che nell'87 l'economia è cresciuta dell'1,2 per cento, ma economisti occidentali smentiscono, calcolano che si è contratta del 2,5 per cento. Gli osservatori stranieri sono comunque soddisfatti; dicono che il Paese è -sulla buona strada della ripresa economica». La «cultura di mantenimento, ha fatto tuttavia vittime: sono gli abitanti delle bidonvilles e soprattutto la élite urbana arricchitasi con la corruzione e le tangenti. Sono centinaia di migliaia i nuovi ricchi ridiventati poveri. Il programma di Babangida li ha stroncati, per loro le vacanze annuali negli Stati Uniti o sulla Costa Azzurra con tutta la famiglia, gli studi dei figli nei colleges inglesi e americani, le automobili sportive e le barche d'altura sono ormai un ricordo. Vivono sempre nelle loro splendide ville nell'isola di Ikoye, i neri arricchitisi con il petrolio, e la sera si vedono al casinò dell'albergo Eko intorno ai tavoli della roulette e del black jack. Ma le puntate non sono più quelle di una volta. • Torneranno grandi fra 50 mesi, quando nell'ottobre del 1992 Babangida avrà risanato l'economia e avrà ceduto il potere passando la mano ai civili-, dice un diplomatico inglese. Babangida è uomo di parola. Sono certo che si ritirerà come Cincinnato. E noi occidentali dobbiamo augurarci che abbia successo. Perché in Nigeria, per metà islamica, un fallimento politico-economico potrebbe provocare disordini e favorire un espandersi dell'integralismo e dell'intolleranza religiosa. Con conseguenze imprevedìbili per l'Africa in- tera' Tito Sansa NIGER • Sokoto sonoro KAHO 'Kano r , i A "/ 1—*„-.-• KAOUNA **. f "\ -> i ' J^S ! L"Kaduna Àì, •Bauchi boriuo Maiduguri" I \ |Minna.G '} E« JosSR^-s | A «•>V;-v > vola, /■; oro \'U\Ia1a~<4^ PUT£A\^' gongola Makurdi ' 8ENUE AbjokiJa ùgjjfimoQ,^ j ; ^ ~-~ S^SHvÌ,1? / Bcnm City \JEnugu, tl"\- '"\ ANAMBRAj \ f Rifiati IiC'Ìmo [cross\ CAMERUN ? /i°ife'"i,^mvm/ -Mimma \ sM-'àii/eiisl. I «Ca'3"!! V •—» \t *> ■Pori Harcourt. J, . Il generale Ibruhim Badamusi Babangida