«Sta crollando una politica non una nazione»

«Sta crollando una politica, non una nazione» Il senatore democratico Daniel Moynihan sottolinea gli errori della Casa Bianca e critica i nuovi profeti del tramonto americano «Sta crollando una politica, non una nazione» «La crisi è dovuta in buona parte alle dissennate scelte fiscali di Reagan» - «L'apparente caduta economica non è stata il risultato di un espansionismo imperialistico, ma di una sorta di complotto interno» L'ironia dell'era Reagan è che. raggiunto a metà strada un crescendo di trionfi, si sta chiudento fra discorsi di declino. Il fatto è ironico, ma forse non sorpiendente. L'idea centrale che spinse Reagan al potere era il declino, pericoloso, dei Paese. Il programma repubblicano deil 80 era una terribile descrizione del crollo imminente. Un celebre appunto messo davanti al Presidente appena eletto era intitolato -Come evitare una Dunkerque economica-, e poteva essere letto come una previsione di sudore, lacrime, sangue e vittoria, certo, ma anche di esaurimento, seguito inevitabilmente dalla fine dell'impero. L'elezione dell'84 era una specie di giorno della Vittoria, ma anche 1". Ultima follia-. C'è una certa analogia con tutto ciò nel processo al declino delle nazioni che Paul Kennedy, uno studioso britannico ora a Yale, fa nel suo fortunato saggio - La nascita e il declino delle grandi potenze-. La Gran Bretagna è stata l'ultima. Noi saremo i prossimi. In questo giudizio Kennedy non e solo. Nicholas Wade del New York Times scrìve dell'«aumen£o di libri sul declino-: c'è quello di David P. Calleo «Dierro l'egemonia americana-, in cui veniamo presentati come «una potenza egemone in decadenza, messa su di una rotta che punta dritto a una fine ignominiosa-, e ci sono i saggi di Mancur Olson «La nascita e il declino delle nazioni- e di Walter Russel Mead -Splendore mortale-. Questi libri sono stati scritti da studiosi di prim'ordine. che però prestano troppa attenzione alle chiacchiere di corridoio. La gente -pratica- comunque sembra essere d'accordo sui loro giudizi. Un funzionario del Tesoro, che ha prestato servizio in due amministazioni repubblicane, ha scritto recentemente che la nazione -si muove inesorabilmente verso un'economia di seconda classe-. A me tutto questo non piace perché larga parte della questione porta a fraintendere completamente il senso del deficit del bilancio e della bilancia commmerciale degli Anni 80. Citerò ancora una volta una frase che amo molto citare, una frase dello scrittore francese Georges Bernanos: -Le bugie peggiori, le più inquinanti, sono problemi mal posti-. Questo è ciò che sta accadendo e che potrebbe essere disastroso. La prima volta che mi sono imbattuto nella tesi del declino ero a un simposio della Henry M. Jackson School of International Studies dell'Università di Washington, nel maggio '87. Si festeggiavano i 75 anni della nascita del defunto senatore Jackson e le celebrazioni si aprirono con un dibattito pubblico sul saggio -La politica americana del dopo Reagan-, preparato per l'occasione dal professor Robert Gilpin di Princeton. Oltre il dopoguerra • L'era del dopoguerra delle relazioni internazionali è finita, se n'è aperta una nuova- iniziò Gilpin. L'intensità della • guerra fredda-, iniziata nel '46. si è -notevolmente ridotta- e. fatto più importante, -il sistema americano- messo a punto per rispondere a quel conflitto è in difficoltà, aggiunse. Era un ottimo sistema, o almeno aveva ottime intenzioni finché l'intransigenza sovietica non sciupò molte attese. In ogni caso era un sistema attuabile, basato essenzialmente sulla forza militare ed economica dell'America. Ora deve cambiare perché, in relazione con il resto del mondo, abbiamo perso potere economico — diventando una nazione debitrice — e perderemo inevitabilmente potere militare. Gilpin vede le relazioni di causa ed effetto in questo modo: deficit del bilancio... crescita dei tassi di interesse bancario... afflusso di capitali... soprav¬ valutazione del dollaro... deficit della bilancia commerciale. La proposta di fondo di Gilpin era quella di ridurre il costo di tutti gli impegni presi negli anni del dopoguerra. Le sue argomentazioni anticipavano il ben più ambizioso saggio di Paul Kennedy - Cambiamenti economici e conflitto militare dal 1500 al 2000-, con la tesi dell'.eccessivo espansionismo imperialtsfico. e del -relativo declino-. Anche qui. i due deficit sono centrali. Kennedy sottolinea come la trasformazione degli Stati Uniti dal più grande creditore del mondo al più grande debitore sia avvenuta nel giro di pochissimi anni. Se questa tendenza continuasse, aggiunge, il debito degli Stati Uniti raggiungerebbe i 13 mila miliardi nel 2000. Né Gilpin né Kennedy rivelano il minimo interesse per l'idea che l'attuale crisi fiscale possa essere stata inasprita da fatti molto recenti e unici. Gilpin non assolveva Reagan da ogni responsabuilità: lo accusava di -rilassamento fiscale-. Ma questo è tutto. In un commento preliminare, disse che il Congresso -porta non poche responsabilità per il deficit del bilancio federale... ma, come usavamo dire in Marina, tutto ciò accadeva sull'orologio (di Reagan)-, un altro modo per dire che. sebbene non fosse colpa di Reagan. il codice di onore e discipll na esige che sia lui ad assumersene la re sponsabilità. Gilpin non suggerisce in nessun modo che su quell'orologio possa essere iniziato qualcosa di completamente nuovo per quanto riguarda il deficit di bilancio. Di fatto, 1 deficit dell'era Reagan erano particolari. E deliberati. Molto semplice mente. Reagan voleva creare una crisi fiscale per ridurre le dimensioni del governo federale. Cosi tagliò le entrate senza fare un parallelo taglio nelle uscite. -C'era sempre qualcuno che ci diceva che non si possono tagliare le tasse finché non si riducono le spese — disse il Presidente nel suo primo mese in carica —. Bene, voi sapete, noi possiamo fare la predica ai nostri figli che spendono troppo finché non abbiamo più né fiato né voce. Oppure possiamo tagliare i loro sprechi semplicemente riducendo le loro disponiblità economiche-. Dobbiamo pensare che non gli sia mai passato per la mente che i ragazzi potessero fare dei debiti? Cinque anni sono passati da quando ho espresso per la prima volta questa opinione. Nel frattemo, David A. Stockman. nel primo dei libri dentro-l'AmministrazioneReagan, ha pubblicato questa tesi con grande risalto, ma nessuno gli ha creduto, meno che mai quando scriveva che il piano di Reagan era «un atto cocciuto di ignoranza e di grottesca irresponsabilità-. L'equivoco dei dati Ciò che è stato trascurato è lo spirito di cocciutaggine Individuato da Stockman. E' stato trascurato anche il fatto che i deficit non offrono nessuna base da cui dedurre un irreversibile declino del potere americano né un irresistibile bisogno di ritirata. Chiaramente la classe politica non può toccare questo tasto. Ma altrettanto chiaramente altri lo possono fare. Fra questi, quell'eminente fisico del Massachusetts Institute of Technology, John Deutch, che nell'87 si uni a Brent Scoweroft, ufficiale di carriera ed ex consigliere per la Sicurezza nazionale, e a R. James Woolsey. ex sottosegretario alla Marina, in una lucidissima descrizione di come siamo arrivati a parlare di declino. Secondo loro, la legge fiscale dell'81 venne suggerita dall'ansia del Presidente di ridurre le dimensioni del governo federale, combinata con l'implicito desiderio di eliminare il sistema assistenziale. Il Congresso venne persuaso dall'argomentazione di alcuni econonomisti che riducendo le tasse si aumentano i redditi, • una teoria con una patina di rispettabilità tecnica-. Le conseguenze, dissero i tre, si vedono ora nel bilancio alle stelle, nel deficit commerciali e nell'abbandono di importanti programmi A me pare che Scowcroft e i suoi colleghi facciano quadrare i conti. Un'imprudente strategia politica interna è fallita e ha pesanti conseguenze sulla politica estera. E' fallita anche perché era una strategia occulta — almeno non c'era franchezza da parte della Casa Bianca né con l'opinione pubblica né con il Congresso. Questo ha reso doppiamente difficile per entrambi capire che cosa succedeva e ha portato molti alla drammatica conclusione che -il sistema americano- è alla fine. D'altronde non ci sono ragioni convincenti per respingerla se non si capisce come -la crisi- è arrivata. Non riuscire a farlo può avere altissimi costi. La grande lezione è semplicemente que sta: il presidente Reagan ha pensato che fosse possibile indebolire il governo senza indebolire l'Influenza americana. Questo non è possibile. (Anche lui adesso dà segni di averlo capito, cosa non difficile con il bilancio della Difesa ridotto, i creditori che reclamano il loro denaro e il crescente protezionismo). L'apparente crollo economico degli Anni 80 è stato il risultato non di un eccessivo espansionismo imperialistico, ma di una politica interna che in qualche modo era un complotto. Bene, allora. Tramonteremo. Ma non è fatale. Ciò che è stato fatto negli Anni 80 può essere disfatto negli Anni 90. L'industria americana non è crollata nell'83. C'è stata invece una rivalutazione del dollaro dell'80 per cento, che ha significato un aumento del prezzo delle merci americane, ad esempio in Europa, dell'80 per cento. Sfortunatamente, il termine tecnico per questo è -rafforzamento del dollaro-. A Washington persone ottuse continuarono con la storia che il dollaro era di nuovo forte, proprio come l'America, sebbene le nostre esportazioni andassero in fumo. Ma ora il dollaro è giù e il deficit commerciale lo segue. Quanto al bilancio, cinque anni potrebbero bastare per riportarlo in pareggio, soprattutto grazie all'attivo del fondo fiduciario della sicurezza sociale che sta ora aumentando a un ritmo medio di 109.440.000 dollari al giorno (poiché i fondi fiduciari sono investiti in obbligazioni del governo, riducono il bisogno del Tesoro di prendere a prestito dal settore privato nuove somme e quindi aumentano il complesso di risparmi e di investimenti del Paese). Tutto questo però può essere fatto soltanto se capiamo la vera natura del nostro declino. Anni fa, quando ero un giovane portabandiera, mi accadde di notare un manifesto alla Norfolk Naval Base. Era la citazione di non so quale leggendario aviatore di cui ho dimenticato il nome ma non le parole: .L'aria non è un elemento intrinsecamente più pericoloso del mare. Ma come il mare inesorabilmente non perdona la negligenza-. Cosi fa la storia con le persone incaute e tracurate. Daniel P. Moynihan Cop>right «New York Times» e per l'Italia «La Stampa»

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