Angelico Van Gogh di Guido Ceronetti

Angelico Van Gogh SUSSURRI E GRIDA Angelico Van Gogh E" eoa: delle solitudini consegnate alle moltitudini... Lo dice Viviane Fortester, in un suo lavoro su Vincent Van Gogh, tra l'attraente e il noioso, di queste pitture la cui incredibile fama e fortuna (gare d'asta pazzesche, masse in coda davanti ai musei espositori) ha dell'anormale. Ma passerà: la febbre salirà ancora e toccherà il massimo nel 1990, termometro da Centenaro, con esposizione supermondiale ad Amsterdam, ma il poco che resta in mano ai mercanti va fatto fuori adesso; dopo, ci sarà sicuramente qualche altra Vedette da spacciare in Giappone a mille miliardi a colpo. E allora Vincent rientrerà nella sua dimensione e, se sarò vivo ancora, me certamente mi ritroverà, per scambiare solitudine, simpatia e vicinanza a queste nostre insensate, inutili, ttiviali pene. Quando Heidegger era giovane professore a Marburgo c'erano le lettere di Vincent, in traduzione da poco uscita, sul tavolo suo e degli allievi, dice Gadamer. Nelle lezioni, Van Gogh era citato insieme a Dostoevskij, due grandi pali dell'umiliazione. Ma siamo alle origini teologiche di Heidegger: certamente sentiva in Vincent, come in Dostoevskij, la stoffa teologica, una comune matrice. Van Gogh non è teologo per aver tentato di esserlo, secondo la modesta misura di una carriera pastorale, 10 è per il contenuto segreto del suo dramma figurativo, per il suo camminare l'intera esistenza lungo le strade spinose e strazianti di un'elezione divina. Ora, qui, vorrei si credesse che parlo alla lettera. Di angeli ne sono piovuti nel mondo, negli ultimi ccntocinquantanni, più che in qualsiasi altra epoca: è stato un guaio non riconoscerli, ma ne sono piovuti veramente molti — com'era giusto, in rapporto all'inaudita aesci ta demografica, cóntro la quale ci aveva messi in guardia uno che non era un angelo, ma aveva vista acuta, 11 filosofo Thomas Robert Malthus. Tuttavia, certi angeli, pur non riconosciuti tali, colpiscono, fanno rumore, scoprono una diversità essenziale, e questo li rende, può renderli, ha potuto renderli, fammi. L'equivoco è dei più grossi; permette però al loro messaggio di fare un certo cammino. All'insegna di un Bagno Pubblico che è insieme bordello, ambulatorio, cappella per matrimoni, locale per imbalsamazioni, agenzia di stampa, turìstica, banca, ristorante anche, da un po' di tempo, Palasport, stadio, olimpiade — detto senza troppa immagina zione Cultura — gli angeli trovano ospitalità, folle che 1; ascoltano, truccatori, prestiti in denaro e un prolungamento di coma indefinito. Entrare là dentro non è, per gli angeli un piacere del Magnolino: ma nessuno, angelo o no, può dire «non voglio» alle guardie e ai cani da tartufo del Cultura. Vincent Van Gogh fu, tra noi, un grandissimo angelo: la sua gloria postuma, nel labirinto planetario di quel Bagno Pubblico dall'immensa potenza di luce artificiale, è la sua più grande umiliazione, e insieme un modo di proseguire con generosità sacrificale la sua missione, cominciata tra i minatori dei bacini carbonifer primissimi ncll'ignorarlo. * * Così siamo andati per vie opposte agli stessi luoghi, quest'anno, vangoghizzato perché segnalato dai calcolatori come anniversario del suo passaggio per Arles-Saint Rémy: a Villa Giulia, a Roma, e al Musée d'Orsay a Parigi — le masse richiamate dall'anomalo strepi to e dal vorticare di capital intorno al suo schivo nome d maudit. e qualche suo benefi caro (mi iscrivo tra questi) at tratto dal debito di riconoscen za e dal magnetismo angelico emanato dal «qui, Van Gogh», per bisogno di aumen tare quel debito. Non mi metto in viaggio per motivi rutili, mi costa or mai troppa fatica, ma l'amico Vincent valeva la corsa e lo sforzo. Del resto, ripagati ssi mi. In quelle sale ho passato ore incantevoli, neppure sono accorto della folla, appe na molestato dalle voci repul sive delle accompagnatrici di scolaresche e di turisti, che spiegano spiegano spiegano ininterrottamente, cataratti ca- Vincent Van Gogh. «Ponte levamente spiegano l'inspiegabile. ~ date e «periodi» (una vita tutta di periodi! le passioni, Cultura non le conosce) e orecchi tagliati, a mucchi, sul pavimento, e rapporti, «rapporti con l'Impressionismo* e influenze», quante influenze, un tirasegno all'Influenza, pare che quei barboni non facessero altro che tirare all'Influenza — metaforismo, e meteorismo... Speravo, a Roma, di poter vedere nella sua verità quel he conosco solo come illustrazione, il nudo di Sien incinta del 1882, anglicamente intitolato Sorrow (ricordo di un suo sermone biblico: «Il Dolore è meglio della Gioia»). E' un mirabile disegno ed è tutto il sorrow del mondo concentrato in un corpo femminile: la donna come dolore, il dolore in figura di donna. La figura è raccolta e il volto sparisce dentro le braccia, tra cui lo bacia il Dolore. Perché ci sia un vero contatto, necessaria l'opera originale, che sola possiede l'impregnazione magica. Cera in compenso, a Roma, lo Studio di Albero, molto amato dalla critica psicologica he vede nell'albero e nella sua tensione disperata un au toritratto. Certo non è un albero come tanti... Potrebbe anche essere Sien, ancora più nuda che in Sorrow, radici esposte, puro grido; Vincent disegnò il corpo e l'albero a distanza di pochi giorni. L'emozione che trasmette è indiibile, per l'energia allusiva: si sa che lì l'umanità è presente, ma si ha la fortuna di non vederla; se nel corpo nudo la miseria scoperta lascia in ombra il Fato, nella visione dell'albero hai la fatalità, nient'al tro, e la malinconia inestingui bile della carne non è che un gemito sommesso, fuori < po. Cerano, sia a Roma che a Parigi, altri memorabili disegni, d'Olanda (la Drenthe) < di Parigi e dintorni (Asniè res). Della Drenthe, il ponte levatoio a Nuova Amsterdam, acquarello del 188}, pura poe sia di novembrinità nordica, e il paesaggio con barca a vela, un cavallo sulla riva, una casa nel crepuscolo... Com'è possi bile che in un piccolo foglio possa starci tanto struggimento di cose, tanta rivelazione di «siamo qui, soffriamo, ascolta» per mediazione di una mano passata di là, a tremare? E' talmente vero... «GÌ slanci mistici qualche volta si spezzano» (Rimbaud, La Premièri* Communions) e rutto quanto Vincent, vita e pittura (un unico blocco) non sono che slanci mistici spezzati, che però messi insieme fanno un intero di rotture che Dio gradisce. In rutti i suoi vagabondaggi, questo pennella teologo, questa matita malata di assoluto ha messo la materia contatto con un Sole interno — la luce esterna prima vela ta, poi bianchetta, poi incande scente — dei più risolutamen te fonditori. La sua topografi emotiva sono dei nomi, che solo per errore di determinazione e per timore del fluttuante seguitiamo a vedere come dei luoghi (Saintes-Maries, Montmartre, Nuenen, la Drenthe, gli Alyscamps, Etten...) spazialmente situati: ma che i luoghi restino luogh («questo è Chieri», «così era Piacenza nel...») è difetto di slancio mistico: la Venezia di Canaletto è proprio Venezia mulini di Montmartre di Vin cent non sono Montmartre, eppure, apparentemente, è toio a Nuova Amsterdam», acquproducitore di luoghi in quel momento, in quell'ori. Perciò quelle immagini così fraterne, perfino ingenue, popolari, a volte traballanti, imitatrici di qualcuno per bisogno di terreno solido (Millet, Hiroshigé, Monticelli) sono difficili, sono delle solitudini, delle ostriche da forzare, qualcosa che si ritrae davanti alle moltitudini accorse al richiamo (pur amandole: Vincent ci ama, tonti ignari che lo guardiamo) sono delle scritture cifrate capaci di dare dei baleni di astratto perfino ai fenomcnologi di Marburgo, Heidegger e allievi del Venti, come ne danno a chi le ricordi «slanci spezzati», a chi non le brancichi a vuoto come date e luoghi e storie. * * Resta di grande interesse la psicocritica, ma centrando tutto su Psiche, su morbosi psichismi e stravaganze di un soggetto che già interessò la psichiatria positiva, eredità e sesso, sensibilità paranormale, rapporti con Sien, Gauguin, Theo, le prostitute, i medici, il disco solare, la Bibbia, il padre, la terra scavata e inseminata, resta fuori del campo la tensione, l'essenza intellettuale, la centralità di una pena umana destinata a trasmettere, rompendosi le ali nel volo, un messaggio angelico, la «lettera dell'Imperatore» che sempre attenderemo. Sempre appassionante nelle sue analisi psicologiche, Charles Mauron è tuttavia una buona guida, se si mantiene la ibertà di cercare oltre, amando personalmente, amando di più chi, da quel suo calvario mobile e colorato, ha buttato tanto amore in solchi di pietra. Scorgendo nel colore di Vincent lo slancio mistico (rimbaldianamente, e per anànke del suo secolo di ferro, slssr uarello del 1883 (particolare) spezzato) e nel disegno, nell'oggetto, accanitamente realistico, il bisogno di radicarsi, di sfuggire alla «follia del colore», Mauron ha, aedo, afferrato il vero... Il conflitto tra disegno e colore come espressione di fondamentale e non tradita angoscia (gli artisti senza angoscia non potranno mai trasmettere messaggi di profondità) è un'idea orientante, nel disorienta mento che provocano visioni dal segno paziente, che copia rutto il copiabile, che illustra l'ora, il lampione, la fossa, grossa mano, la scarpa, il peso gravidico, il tram a cavalli Clichy e il treno sul ponte ad Asnières, e i bagni di colore di terrificante e disordinata violenza dei ritratti, di Arles, dell'asilo e di Auvers. Sarà l'Angoscia una delle forme originarie, la più umanizzata, del Tempo? Perché la ritroviamo in rutto quel che contrassegna, che dà valore al tempo volgare, che lo colora e lo fa parlante e risuonante (e nel rivolo dei casi, meritevole di memoria). L'eccezionalità di un'angoscia come quella di Vincent si riversa oggi, nel tempo volgare, in diluviare di cartoliname di frasi e di denaro profuso fi no a riumiliarlo e a riflagellarlo: ma ne conserva il valore temporale indefinito intatto. Angelici transiti nel tempo, consegnati da lui alla visione... Poesia imprendibile della guìnguetle del mulino Radet (novembre 1886) coi suoi tre albcrctti nudi, le panche, gli amanti che si parlano nell'ombra; e miracoloso attimo di equilibrio tra «follia del colore» e figura umana definita, del ritratto, vicino alla culla, mani e sorriso, di Madame Davy-Charbuy, musicienne du silence. Guido Ceronetti