La Turchia oltre Ataturk di Mimmo Candito

La Turchia oltre Ataturk La crescita tumultuosa del Paese travolge i modelli di sviluppo del passato La Turchia oltre Ataturk (L'attentato a Ozal è l'emblema di una reazione cieca contro le innovazioni liberiste) DAL NOSTRO INVIATO ANKARA — La Turchia, alcuni giorni fa, si è imposta sugli schermi di ogni telegiornale del nostro mondo con un documento di straordinaria drammaticità: ripreso in diretta, cioè nel momento stesso della sua azione, si è visto un giovanotto baffuto che durante il congresso del partito di governo, qui ad Ankara, tirava fuori da un mazzo colorato di fiori una pistola, puntava l'arma a braccio teso, e da pochi metri di distanza sparava due colpi a Turgut Ozal; il premier scampava miracolosamente all'attentato e si tuffava a pesce dietro il palco, mentre poi le immagini proseguivano con tutta la sequenza di sparatorie, caos, urla di terrore, e disperazione, che chiunque, anche chi non ha visto quella scena, può ben immaginare. Non è la prima volta che una telecamera filma in presa diretta episodi simili, e l'assassinio di Robert Kennedy e quello di Lee Oswald restano nell'emeroteca della cronaca politica contemporanea. Ma la pistola di Demirag puntata sulla faccia paffuta di Ozal richiama alla memoria, più che il documento visivo di quei due assassinii, soprattutto l'ingresso di Tejero ad armi spianate nelle Cortes spagnole, e il suo imperioso • Todos al suelo. di 7 anni fa, anche quello ripreso in diretta da una telecamera tanto spaventata quanto fortunata. Nella storia, le similitudini sono un rischio sempre pericoloso, perché impongono comparazioni che spesso appaiono giustificate dagli obblighi dello schema interpretativo più che dalla realta del fatti. Eppure, questa volta 11 rischio merita d'essere affrontato per l'abbondanza di fattori politici e sociali che equiparano la crisi della Turchia oggi alla Spagna di quel 22 febbraio di un mancato colpo di Stato. Allora come oggi, infatti, ci troviamo di fronte a Paesi traversati da una crisi che segna in verticale il passaggio da una vecchia società a un nuovo modo di vita; si consuma una cultura tradizionale, o comunque impiantata solidamente nel corpo di una nazione, e al suo posto si va imponendo uno stile quotidiano, una logica di interessi, una proposizione di modelli collettivi, che nel processo intenso di trasformazione spingono al margine più lontano gli equilibri passati e le loro forme di rappresentanza. Certo non è difficile trovare diversità stridenti tra i due Paesi: l'uno, la Spagna, protagonista nel lungo itinerario di creazione di una comune civiltà europea, e l'altro, la Turchia, come una porta spalancata invece sull'universo estraneo, anzi a lungo nemico, dell'Oriente, fino alle lontane steppe dell'Asia. Ma le similitudini e le simmetrie restano, comunque, più significative di qualsiasi perplessità, almeno in ciò che riguarda la formazione dei processi sociali e dei modi produttivi in una fase accelerata di cambiamento. Quando Tejero irrompe nel Parlamento di Madrid, la trasformazione che sta interessando la Spagna riguarda principalmente il quadro delle istituzioni poli- tiche, con un'apertura a tutto campo che ha cancellato in ben poco tempo ogni illusoria eredità della dittatura franchista; il Caudillo aveva detto nel suo testamento che «todo està atado, y bien atado», ma la gestione abile e raffinata di Suàrez ha già dimostrato, in quel gelido febbraio madrileno, che in realtà non c'era nulla di •legato, e ben legato*. In Turchia, con Ozal, la trasformazione riguarda direttamente il vissuto collettivo, senza mediazioni istituzionali: in cinque anni, con una rapidità vertiginosa per qualsiasi economia, si disfa il vecchio impianto della società anatolica, lenta, paternallsticamente statale, contadina nelle abitudini immutate di un millennio, e si realizza il nuovo profilo di una civiltà in via di industrializzazione, tendenzialmente urbana, anche spregiudicata nella sua voglia di novità e di aperture. Dietro Tejero s'intrave¬ dono quel giorno gli uomini e la mentalità del vecchio potere franchista, che con un gesto disperato cerca di recuperare il ruolo perduto; dietro la pistola di Demirag, anche se ancora le ombre non lasciano scorgere chiaramente l'identità dei protagonisti, appare comunque in modo inequivocabile il profilo di una manovra volta a bloccare nel caos l'apertura liberista dei mercati, la preminenza degli investimenti privati, e un ormai diffuso costume neo occidentale. Il paradosso di questa Turchia che oggi cerca di omogeneizzarsi allo standard delle democrazie europee è che il disegno politico tracciato da Ataturk sessantanni fa è stato certamente utile, e necessario, a rompere la lunga esausta tradizione dell'Impero ottomano, con le lentezze burocratiche del sultanato, il fatalismo rinunciatario del costume individuale, il ruolo determinante della reli¬ gione anche dopo le riforme dell'ultimo Ottocento, l'impossibile omogeneità di un territorio che copriva metà del mondo e storie e nazioni decisamente antagoniste; ma quel disegno politico, anche illuminato, coraggioso, perfino eroico nel suo sacrificio completo di un passato comunque grande e glorioso, finiva per imporre alla società un meccanismo di sviluppo troppo rigido per i bisogni, oggi, di un Paese moderno. Paradossalmente, nel cambio disegnava un meccanismo conservatore. Nei cinque anni del ritorno del potere (almeno quello formale) ai civili, la Turchia ha avuto un tasso di sviluppo costante tra il 5,5 e l'8 per cento, con un ritmo di crescita che non ha paragoni nei Paesi del mondo industrializzato; il flusso dell'urbanizzazione ha portato verso la città, • soprattutto verso la grande città, alcuni milioni di ex contadini delle regioni orientali, e il trend delle esportazioni si è capovolto portando al 75 per cento i beni industriali e riducendo a una quota marginale i prodotti agricoli, che un tempo coprivano quasi interamente le vendite all'estero della Turchia. Questo stupefacente terremoto economico è stato prodotto da una scelta di apertura del mercato interno e dei mercati finanziari che il tecnocrate Ozal ha imposto alla vecchia struttura produttiva, abituata a sopravvivere con una tecnologia arretrata e sotto la tutela di un protezionismo molto sospettoso di ogni innovazione. La ricetta liberista è stata appoggiata da una correzione keynesiana, con uno scialo a manica larga di tutte le forme d'investimento pubblico; il risultato ha cambiato la faccia della Turchia, ma ne ha anche indebitato le casse con un'ascensione vertiginosa dai 14 miliardi di dollari degli anni pre-ozaliani ai 38 miliardi di dollari di oggi, cioè a una cifra pari al 55 per cento del prodotto nazionale lordo, la ricchezza del Paese insomma. Vedremo a Istanbul, nella seconda tappa di questo viaggio, quali conseguenze abbia avuto su una società tradizionalista l'accelerazione improvvisa degli investimenti produttivi e la spinta all'allargamento del mercato interno dei consumi. Quello che comunque appare subito evidente è la crisi del modello istituzionale di Ataturk, disegnato a misura di un Paese lento, contadino, militarizzato, diffidente dì ogni minaccia alla propria complessa identità nazionale. Demirag non aveva certamente la pistola di Ataturk quando, l'altra mattina, al palazzo dello Sport, ha sparato addosso a Ozal; eppure, in qualche modo, e inconsapevolmente, in quello strano drammatico mattino lui era anche un difensore di quella Turchia che Kemal Pascià aveva creato e che ormai va dissolvendosi. Come per Tejero e i suoi baffi fuori del tempo, quelle pistolettate sono forse state l'ultimo sussulto di un pas sato ancora vivo ma già de stinato a non sopravvivere. Mimmo Candito Ankara. Il premier turco Turgut Ozal con la mano fasciata pochi minuti dopo l'attentato in cui è rimasto ferito il 18 giugno scorso

Persone citate: Cortes, Kemal Pascià, Ozal, Robert Kennedy, Turgut Ozal