Il dandy della vignetta

Il dandy della vignetta LONDRA PER 160 ANNI DEL «NEW YORKER» Il dandy della vignetta LONDRA — C'è solo una cosa più eccentrica, del New Yorker: il successo che ha arriso a questo settimanale sofisticato, highbrow, molto letterario, ironico. Chi l'avrebbe previsto? Il famoso settimanale è passato attraverso la bufera delle mode, gli attacchi di concorrenti quali il New York Magazine, con lo stesso serafico distacco del dandy che. attraverso una lente osserva una farfalla. Questa immagine, che apre la mostra dedicata al New Yorker dal Victoria & Albert Museum («The Art of the New Yorker», fino al 26 giugno), è servita come copertina sessant'anni fa. per il numero primo del settimanale e ne è diventata il simbolo. Ma perché mai Rea Irwin. geniale art director di allora, l'aveva scelta? Dopotutto non aveva niente che fare con i testi che il periodico ospitava. •Mi piaceva*, rispose Invin. Tutte le altre copertine del New Yorker, alcune delle quali famosissime, sono sempre state scelte con lo stesso libero criterio. Lee Lorenz, l'art director che ha preso il posto di Erwin, è arrivato a Londra per l'occasione con Charles Addams e Edward Koren, vignettisti leggendari. Sono loro che hanno lanciato i grandi nomi dell'ironia, e anche della grafica. Abe Birnbaum. Peter Amo e le sue donnine provocanti, James Thurber con i suoi ca gnolini, William Stein; lo straordinario osservatore anche dell'Italia, Saul Steinberg — purtroppo scomparso ma stranamente dato per vi vo dal Victoria & Albert — sono tutti presenti con le loro opere all'esposizione. Ogni settimana arrivano al giornale 3000 vignette offerte da anonimi speranzosi, ma ge¬ neralmente, diceva James M. Geraghty. art director prima di Lorenz, il New Yorker usava solo quanto aveva già comnùssionato. Uscivano scenette newyorkesi, strade con bambini che giocano, vedute di cucine, nature morte, vignette spiritose che prendevano in giro certi ceti sociali, nuove abitudini americane: il New Yorker era una finestra sulla città sofisticata, su Manhattan. Le famose vignette venivano interpolate da lunghi testi letterari, racconti di grandi firme europee e americane, profiles di grandi musicisti, scrittori; insomma non le cose più commerciali del mondo, non il tipo di reportage che in genere vende un settimanale. Guardandosi attorno. Charles Addams, elegantissimo come sempre, gentilissimo, esprime gioia nel trovarsi tra le guglie paurose del Victoria & Albert e dello Science Museum: la sua famiglia di strane creature, dalla crudeltà naturale quasi ingenua, lanciò il block humour. Ha nostalgia, mi dice, per gli uffici del New Yorker, sulla 43" Strada. Anche in quello il settimanale è eccentrico, niente vetrate, spazi moderni, ma nei cubicoli monacali lavorano i famosi divi dello humour imitati, ammirati in tutto U mondo. All'inaugurazione della mostra la gente si soffermava davanti a una o all'altra vignetta, ridacchiando, riconoscendo un disegno, una battuta, e sorridendo col piacere che si ha quando si ritrova un amico. C'erano due delle famose vignette di Frueh — successioni di calamità che colpiscono un edificio nella mente di chi ci lavora. Creative, originali queste opere di Al Frueh (1880- I960) influenzarono grafici e pittori. E' presente anche la famosa copertina di André Francois della sveglia che va a letto, con le lancette sul comodino, un'ispirazione magrittiana. Alcune delle vignette lasciavano la gente interdetta, come, per esempio La morte della geometria di Jack Ziegler. .£' quello che vogliamo, far pensare la gente*, mi dice Ed Korel. autore di alcune tra le immagini più problematiche e. dopo tutto, l'uomo che oggi sceglie tutta la veste tipografica del New Yorker. vignette comprese. La veste tipografica non è cambiata da 60 anni, e mai cambierà. Gli .spettacoli, le mostre di Broadwaj. di off Broadway e di off c!f Broadway. le critiche, le indicazioni. Anche la pubblicità selezionata dal New Yorker deve avere una certa veste, una certa eleganza. C'è del perbenismo nei vestitini presentati da magre giovani, negli alberghi «in». -Forse siamo stari noi a inventare la vignetta con il commento breve, che "fa pensare"*, dice Koren. Per esempio in quelle di Peter Arno (1938) due turisti americani in automobile si fermano presso un arabo in preghiera gridando: *Eh, Jack, da che parte per la Mecca?*. D pubblico, che già accorre a vedere questa esposizione, è cosmopolita; sono molti i francesi, gli italiani. Non a tutti è congeniale l'humour del New Yorker dal quale, in fondo, discende Woody Alien e tutta una scuola prettamente manhattiana. «A'on ci ho capito niente*, confidava difatti una signora inglese a un'altra. Gaia Servadio

Luoghi citati: Italia, Londra, Manhattan, Mecca