Come ringiovanire, da 60 a zero anni
Come ringiovanire, da 60 a zero anni «Silenzi collettivi», storia grottesca di Lucio Klobas Come ringiovanire, da 60 a zero anni £1 ILENZI collettivi, di Lucio Klobas è un // romanzo, anzi un libro, curioso: è un libro alla rovescia. Che voglio dire? che bisogna leggerlo dall'ultima pagina alla prima? no, che cresce camminando all'indietro. Il protagonista, l'io narrante (o forse l'io chiacchierante che litania per tutte le centottanta pagine del volume) nelle prime pagine ha. chissà, sessant'anni. e solo nelle ultime raggiunge l'età della nascita. Ma non crediate di trovarvi di fronte a una storia raccontata in flash-back: l'io narrante non ha nulla da ricordare come, anche, nulla da fare; è un punto immobile di cui è impossibile tirare le coordinate, per assoluta mancanza di termini di riferimento; ciò che lo definisce e lo fa esistere è solo il chiacchierare: e a questo (al vaneggiare) tutto è dedito. Ma il vaniloquio, si sa. non ha direzione (non ha sviluppo): cresce su se stesso e, una volta raggiunto il culmine, trabocca e, appunto, crolla su se stesso (cioè all'indietro). Nella letteratura moderna vi sono illustri esempi di opere in cui a far da padrone è il vaniloquio: basta pensare a -Il processo, di Kafka e, più ancora, a .Molloy» di Beckett. Ma se il vaniloquio di Kafka serviva a costruire una ossessione, a caratterizzare il mondo come una angosciosa impossibilità; e il vaniloquio di Beckett serviva a spalancare una voragine che accogliesse, con tutti gli onori spettanti alla sua grandezza, le macerie del mondo; il vaniloquio dell'io narrante (io chiacchierante) di Klobas funziona come intervento di smontaggio e di sminuzzamento della datità quotidiana, in cui confluisce la piccola vicenda storica dell'uomo, fatta di sentimenti spesso vergognosi, di pensieri spesso vili, di azioni spesso ignobili; funziona come operazione di polverizzazione del quotidiano (con tutto il suo carico penoso di sogno e di miseria) e di raccolta e identificazione dei frantumi conseguenti che, poi, registra e ordina in una sorta di grande magazzino-archivio o gigantesco stupidario attraversato da folate di demenza di irresistibile richiamo. Klobas ha una visione fredda ma non drammatica del mondo; il mondo non è qualcosa dove egli stesso abita (e di cui soffre) ma qualcosa che egli vede dal di fuori e che ispeziona (in realtà frantuma) come una guardia notturna, preoccupata di -infilare i bigliettini nei cancel¬ li, nelle porte delle case, nelle saracinesche dei negozi, nelle fessure della terra, nelle narici dei cavalli (che non ci sono più), dove capita». Il mondo è un meccano con i cui pezzi Klobas innalza costruzioni insensate (che sfuggono alla strettezza di un facile riconoscimento) nelle quali il lettore entra con piacere e si smarrisce senza paura. Peccato che il soffio del diverso lo sfiora (sto parlando del lettore) appena e occupa per troppo poco, restituendolo quasi subito alla sua consapevolezza razionale (in fondo insofferente di tutto ciò che può disturbarla). Ecco, la differenza tra Klobas e i più grandi autori che abbiamo sopra nominato (e con i quali seppur da lontano s'apparenta) è che la provocazione comica (che di questo si tratta) di Kafka o di Beckett ha effetti lunghi come ferite profonde che fanno sanguinare, mentre la fredda ilarità di Klobas è un fresco solletico fortunosamente scampato a due nuvole di caldo. Angelo Guglielmi • Silenzi collettivi», Lucio Klobas, Theoria, 182 pagine, 20.000 lire.
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