Nelle traversie di un ragazzo antifascista la vita diventa letteratura

Nelle traversie di un ragazzo antifascista la vita diventa letteratura Bernari torna al romanzo con «Il grande letto» Nelle traversie di un ragazzo antifascista la vita diventa letteratura FRA i romanzi di Carlo Bernari. forse II grande letto è quello in cui lo scrittore appare più inquieto e, di conseguenza, più scoperto, quasi disarmato, come se vi avesse voluto mettere in discussione la propria ben consolidata immagine di narratore attento e vigile nel cogliere 11 significato di personaggi, situazioni e azioni sullo sfondo della storia contemporanea e della società, di grande stratega di intrecci. Le prime ottanta pagine sono una grottesca e. al tempo stesso, livida rievocazione dell'infanzia napoletana del protagonista, Dario, dominata dalla figura del nonno, autoritario e violento, soprattutto negli ultimi anni di vita, quando si trova ridotto all'immobilità quasi completa e all'impotenza; una infanzia soffocata dall'attività imprenditoriale della famiglia, dedita alla tintura in nero di abiti da trasformare da normali in adatti al lutto per le infinite occasioni della vita napoletana. Sono pagine grandiose, che culminano nella descrizione dei funerali del nonno per le vie di Napoli, fra una fitta folla, in mezzo a manifestazioni di ossequio che, subito, si rivoltano, nella rievocazione, in episodi fra il macabro e il grottesco, fino a scadere in una sorta di nera comicità. Sono pagine di originalità e di forma narrativa davvero esemplari, che si concludono con la prima esperienza sessuale di Dario con una ragazza giovanissima, che quasi violenta approfittando della scusa di volerle far fare il ritratto dal cugino Adelmo e dall'amico Raoul. Dopo, il tono del romanzo muta in modo abbastanza radicale. Viene ad avervi lo spazio maggiore l'educazione culturale e politica di Dario: le sue esperienze di precoce antifascista, con il soggiorno a Parigi per fuggire lontano dall'Italia sotto la dittatura e una vita, nella capitale francese, di stenti, di espedienti, di qualche incontro con scrittori e artisti, di molte e disordinate letture, ma di sostanziale senso di inutilità, di vanità. Di qui il ritorno in Italia, la sistemazione a Roma, ancora precaria, poi sempre migliore fino all'approdo a una libreria antiquaria tenuta da un antifascista, con la conseguente occasione di più organiche letture e di incontri con i più significativi pensatori e scrittori italiani. La narrazione diviene, qui, un poco troppo cronachistica, e anche la raffigurazione dell'Italia sotto il fascismo e dei sentimenti di oppositore di Dario finisce per essere troppo rapida, troppo scontata. Ma fin dalla narrazione degli eventi del periodo parigino Bernari ha inserito un motivo del tutto nuovo, che di tanto in tanto ritorna a essere citato e usato, anche nella rievocazione del tempo della guerra e dell'occupazione tedesca, con Dario che deve nascondersi dalle ricerche dei fascisti, viene arrestato, ma riesce a scappare con fortuna e abilità e a salvarsi. E' la prospettiva che Dario assume con sempre maggiore determinazione nel raccontare azioni, incontri, amori, vicende: come se tutto fosse prima scritto che vissuto, anzi come se tutto fosse vissuto in funzione della scrittura. Il caso dell'incontro a Parigi con la ragazza che Dario ha violentato e che gli si offre, ma viene rifiutata, l'altro incontro in libreria con una bellissima donna, che recita con lui una commedia di seduzioni amorosa e politica al tempo stesso, per cercare di indurlo a fare la spia, il ritrovamento della stessa donna nel rifugio di Dario ricercato, e la scoperta che si tratta di un'antifascista e di una cospiratrice (che a un certo punto scomparirà nel nulla): tutto viene da Bernari raccontato in un'atmosfera che è quella sospesa fra letteratura e vita, incerta e indeterminata fra esse, tanto che non si sa mai se ciò che è narrato sia il frutto del caso della vita, sempre un poco volgare e grossolano, oppure di un'invenzione dello scrittore che intende diventare Dario, per nutrirne i suoi libri futuri. In questo ambito, di nuovo splendide sono le pagine del ritorno a Napoli di Dario, nella città appena liberata, semidistrutta, confusa, prostrata, quasi una città fantasma. Ma tutto il romanzo è chiuso in una sorta di cornice. Dario, diventato davvero uno scrittore, è stato appena fermato dalla polizia in seguito alla morte del suo editore, saltato in aria su un traliccio, e nella stanza del giudice che lo interroga viene posto a confronto con una ragazza, che è stata trovata in possesso di un taccuino con su scritto il nome di Dario. E' il taccuino della donna scomparsa nel 1945, amata da Dario durante la permanenza nel comune rifugio. Si apprende allora che la donna è stata deportata dai tedeschi e non ha più dato notizie di sé; la ragazza ne è la figlia; e a questo punto si sfiora la clamorosa agnizione, e Dario sta per riconoscersi padre della ragazza, anch'essa fermata perché appartenente al gruppo politico dell'editore morto. Ma qui scatta conclusivamente il capovolgimento del fatto e della situazione nel puro gioco letterario. Anche questa è una trovata dell'inventore di storie che è Dario. Il fermo, l'interrogatorio del giudice, la ragazza non sono altro che frutto della strategia combinatoria e fantastica dello scrittore, che ha voluto portare fino all'estremo limite il suo gioco di inventare i fatti di quella che si dice comunemente vita perché la letteratura possa continuare a farsi, a riscatto e inveramento di tutto ciò che veramente accade o è verosimile che accada nella vita. Giorgio Bàrberi Squarotti Carlo Bernari, «Il grande letto», Mondadori, 204 pagine, 20.000 lire. Fotografìa di M. Cresci. Part.

Persone citate: Bernari, Carlo Bernari, Giorgio Bàrberi Squarotti, Mondadori, Part

Luoghi citati: Italia, Napoli, Parigi, Roma