Il nudo svela i nostri costumi

Il nudo svela i nostri costumi orsMilano: fotografia e storia in una mostra sul «corpo scoperto» Il nudo svela i nostri costumi MILANO — E allora ecco ctw controcorrente a Milano, nel capoluogo italiano dei corpi rivestiti, addobbati, nascosti, si apre una gran mostra fotografica dedicata nientemeno che al Nudo: proprio come usava una volta. •Il corpo scoperto», si chiama, arriva confezionata dalla Germania salvo alcune aggiunte della presentatrice italiana, Daniela Palazzoli; e con 250 pezzi esposti e un bel catalogo da lire 20.000 inaugura la nuova sede di Idea Book: la maggiore casa importatrice e distributrice di testi che riguardano la fotografia. Rimarrà aperta fino a tutto giugno. Una Mostra, si sa, è una Antologia; insomma un libro che mette assieme più o meno bene una certa storia. Ci si è azzeccato, stavolta? Come tema senz'altro; e proprio perché siamo talmente sommersi dal fotoprofessionismo della moda, dei corpi fasciati e drappeggiati, colorati e arredati, una panoramica sul 'sotto il vestito niente» sembra dare perfino sollievo. Il nudo fotografico poi è un lungo carosello (nel 1989 cadrà il centocinquantesimo anniversario di Nièpce, l'anno scorso era quello dell'inventore Daguerre) e qui dal 1840 al 1987 ci sono tutti quei nomi giusti che mancano invece al Gran Circo dell'Abbigliato: Arbus, Bellmer, Brandt, Bonnard, Clergue, Cunningham, Demachy, Eugene Smith, Fontana, Gloeden, Henri, Ionesco, Kertesz, Ray, Mante, Mapplethorpe, Mxchetti, Moholy-Nagy', Moon, Moucha, Mulas, Muybridqe, Pluschow, Steichen, Stieglitz, Stuck, Vogt, Weston. Più tutti quelli che per n/arsi la mano, per rinfrescarsi gli studi accademici di anatomia, ogni tanto si dedicavano anche alla sola pelle delle mannequins. E si potrebbe aggiungere qualctie nome che manca. E sottrarre quelli che si potevano risparmiare. Perché, col nudo, i limiti si fanno pericolosi, le intenzioni complicate, le ambiguità troppo personali e le trappole facili. Diciamo subito che quasi tutti gli .inizi* qui esposti sono sconfortanti. Dagherrotipi che si dice dovevano servire ai bisnonni pittori, per risparmiare modelle. L'impressione è che invece si tratti di cartoline soprattutto care ai segreti amatori del proibito, del nascosto, ."Playboy, è sempre esistito e codesti dagherrotipi opera di prudenti Anonimi furono una delle prime utilizzazioni della novità fotografica: porno a buon mercato insomma. Ma che corpi raccontano? Qualcuno ha scritto che •le Istantanee di nudo possono essere datate a seconda dei vestiti che non si vedono». E' una battuta frettolosa. La verità è che anche le cattive fotografie, come l falsi in arte, hanno la data del proprio gusto stampata in faccia: anzi altrove, in codesto caso. Seni, sederi e chissà come ginocchia (per non parlare dell'arredamento) tradiscono, anzi denunciano fin troppo. Ma per fortuna, cominciano, subito dopo, col semplificarsi dell'armamentario, le foto scattate a modo proprio dagli stessi pittori: da noi Michetti, Sartorio. De Maria; ci vuole pazienza. Ma altrove i grandi Degas o Bonnard. Questi nudi di Degas per Degas sono dei capolavori di tenerezza e di luce; son quello che dev'essere una fotografia. E quanto a Bonnard il catalogo edito da Allemandi di una mostra recente, ha dimostrato meraviglie. Arriverà poco dopo l'alternativa, il rovescio malato: sono le * foto pittoriche*, che volevano essere in proprio quadro, incisione, opera d'arte. Pose e penembre si sprecano, il virtuosismo di stampe e carte arriva all'abilità da falsari: ecco Croft e Zille, Day e Zielke, Steichen e White, Mathieson e Koppitz. Per fortuna che sull'arte, e l'artistico, ci si può sbizzarrire. Ecco allora la versione ^comica*, quella del nudo ginnico e ariano dei tempi nazi: giovani tedeschi chiappasi che si lanciano palle o sollevano macigni in panorami alpini. E' insomma un vero sollievo, tra fotopittori di tutti i generi, pucciniani o bellicosi, tornare in certo senso a casa con le scene 'mediterranee* dei pederasti e maniaci, dei pervertiti coraggiosi, e intelligenti. C'è in mostra un nudino di von Gloeden, su pelle di leopardo, bello come un De Pisis. Certo i suoi Fauni e Bacchi siculi, ragazzotti un po' troppo dotati e sfacciati, sono uno di quei trabocchetti al nudo fotografico che si diceva. Ma le piccole prostitute minorenni napoletane (il Mezzogiorno, si vede, forniva manodopera a basso prezzo) di Pluschow non sono soltanto un documento, han qualcosa di più vero delle prostitute bambine di New Orleans. Sono pelle e fame e sesso opaco autentici, piccoli inferni spalancati a pagamento. .La rivoluzione, seddiovole, si chiama surrealismo. E' un poco anche lei su diverse strade, o ne tiene conto. Man Ray 'pittorico* fabbrica un Ingres di Ingres con una nuda di schiena e due chiavi di violoncello; Bellmer disarticola goloso le sue rosee bambole di celluloide: Marilyne stampate, piccole Alice, Minnie di serie. I corpi nudi si solarizzano e secolarizzano allo stesso tempo, sono sogni del quotidiano. Veneri per strada o in ti¬ pografia: com'erano dentro ai paesaggi nell'età classica della pittura. Poi il corpo si geometrizza; si compone e scompone nei ritmi inventati ed eretici del 'frammento*: dettagli di scultura contemporanea, trance di vita, brevi versi, fogli di taccuino. Il nudo 'astratto* più elegante è quello di Weston del 1936; un arabesco femminile che diventa una cifra, una iniziale. E la vecchissima Imogene Cunningham, la nonna con la Rollei, porta le sue nipotine nel bosco, le spoglia, le racconta in frasi brevi, come in un racconto di Sherwood Anderson. La bisnipote Diana Arbus farà di più: dirà la splendida miseria del nudo povero, del nudo rifiutato, del nudo vietato. Poi ci sono ancora Mapplethorpe, Bernhard, Brandt, Penn. Da noi Mulas, la Carla Cerati: ma da noi il nudo sembra fare paura, è un'ombra che non si scioglie, che si avventura soltanto protetta dalla pubblicità. Non per nulla i nostri nudi famosi son quelli disegnati nei fumetti di Crepai, di Manara; come ieri di Boccasile o Molino. Il resto della storia? E' il cinema, die prende il posto già nobile della pittura; accademia a colori, trucco, messinscena, sceneggiatura. Poi arrivano sederi e cinghie, rostri d'auto e tette, cuoio, sudore, fibbie. Ciascuno, dopotutto, possiede il nudo che si merita. Claudio Savonuzzi Horst P. Horst: «Odalisca» (1940) Werner Bokeiberg: «Salvador Dali. Cena necrofìla»

Luoghi citati: Germania, Milano, New Orleans