Il «ritorno al passato» non guarisce più nessuno

Il «ritorno al passato» non guarisce più nessuno I temi «nostalgici» proposti alla maturità Il «ritorno al passato» non guarisce più nessuno Prova scritta di latino per due maturità diverse, quest'anno, al classico e al magistrale. E nessuno protesta, per questa doppia presenza della lingua antica. Proviamo a pensare quali sarebbero state le reazioni dicci o quindici anni fa; o vent'anni fa, in piena contestazione, quando aveva fortuna la definizione di Pietro Ncnni, del «latino lingua dei signori*. Se poi consideriamo i temi d'italiano della maturità comuni a tutti i candidati, con i pensieri dello scienziato Einstein sul dovere dei giovani di '•onorare* l'eredità del passato, «di arricchirla e un giorno trasmetterla>> ai figli; e del filosofo Benedetto Croce sulla inopportunità di «fare festa* per la vittoria riportata dall'Italia nella prima guerra mondiale; e i! tema specifico per il classico, con il latinista Marchesi che esortava a non lasciarsi «accecare dai fari abbaglianti della tecnica moderna» perché «le lucerne che vegliarono le carte dei nostri antichi restano accese ancora, attraverso i millenni, e resteranno», pare di intravedere un disegno — presente anche nella cauta formulazione del tema sulla «condizione femminile nella narrativa italiana degli ultimi cent'anni» — che suscita qualche legittima perplessità perché fondato su una interpretazione superficiale del rinnovato interesse generale per la cultura. In sostanza, sembra che i giovani, nel momento in cui stanno lasciando la scuola secondaria, siano invitati a volgere indietro lo sguardo, con venerazione c rispetto, verso il passato da «trasmettere ai figli*, verso le lucerne degli antichi. Analoga è l'impressione che i maturandi — dei quali non è arrischiato ritenere che poco sappiano della scelta neutralista di Benedetto Croce prima dell'entrala in guerra dell'Italia nel '15 seguita peraltro da un comportamento pienamente rispettoso della decisione dell'intervento — devono aver ricevuto dal passo del filosofo, come di un rimpianto per la scomparsa dell'impero austroungarico. E, insieme a questa prima impressione, nei maturandi si sarà insinuato, forse, un dubbio: anche le genti di Lombardia e dell'antica Repubblica di Venezia erano da includere tra quelle che gli imperatori di Vienna disciplinarono e portarono alla civiltà?... Le proposte ministeriali nel loro complesso richiamano alla mente il sussiegoso monito rivolto ai suoi contemporanei da un dotto di lingua latina nell'ultimo secolo dell'Impero romano: «Se abbinami) senno, dobbiamo sempre metterci in ginocchio davanti all'Aliti chilo». E un famoso uomo politico di quel medesimo tem po. anche lui di parte pagana, null'altro chiedeva all'imperatore cristiano se non di poter conservare il patrimonio cui turale ricevuto dagli antenati e di poterlo trasmettere intatto a figli e nipoti. Non s'ac corgevano, quei due dotti ado ratori del passato, che un nuovo mondo era già nato. ' Einstein e Croce non sono certo paragonabili a quei due rappresentanti di un mondo in agonia, Macrobio e Simmaco ma il taglio delle citazioni mi nistcriali riduce lo scienziato e il filosofo del nostro secolo due nostalgici della conservazione e della restaurazione. I titoli, poi, con cui sono state presentate le due versioni latine (da Seneca e da Cicerone) sembrano ispirati, non dall'intenzione di collocare testi nel momento storico in cui furono scritti, ma di proporli come «lezione» ai giovani d'oggi (abbasso i capelli lunghi e le barbe incolte; pensiamo al bene della Patria!). I due passi, invece, documentano la difficoltà — per l'intellettuale romano di fronte allo strapotere del padrone dello Stato che non lascia spazio al¬ le voci lìbere — di continuare a partecipare alla vita politica svolgendovi una funzione critica e costruttiva. Perciò il filosofo Seneca, negli ultimi anni della sua vita sotto Nerone, rivolge l'impegno alla ricerca del perfezionamento interiore, che egli ritiene tuttavia possibile perseguire senza sfidare il potere con atteggiamenti provocatori. E Cicerone cerca, per parte sua, di convincere i concittadini di aver salvato la sua dignità dedicandosi ad un ampio programma di lavoro filosofico al tempo della dittatura di Cesare, che lo aveva escluso dalla vita politica attiva (ma nel passo come e stato «tagliato» dal ministero non c'è alcun riferimento esplicito alla Patria). Dalla scuola di oggi ci attendiamo qualcosa di diverso, e di più stimolante di quanto emerge dalle proposte ministeriali: le chiediamo di prendere atto che e finita l'età delle certezze e del sapere, tranquillo e sicuro, da dapprenderc e trasmettere». Il nostro tempo è caratterizzato dalla problematicità. Valga per tutti Jaspers: «L'essenza della filosofia sta non nel possesso della verità, ma nella sua ricerca». Quanto più il territorio del sa¬ pere si allarga e si approfondisce, tanto più prendiamo coscienza della sua frantumazione e della vera «falsificabilità». La medicina del ritorno al passato non guarisce più nessuno. II fisico Werner Heisenberg, celebrando quindici anni fa i cinquecento anni dalla nascita di Copernico, si domandava: «Fino a che punto siamo vincolali dalla tradizione nella scelta dei nostri problemi'/». E rispondeva: «Può succedere che i temi tradizionali si siano esauriti. Devo chiedermi se la tradizione nella scienza non sia stata in realtà un ostacolo allo sviluppo scientifico». La nostra scuola, con le sue strutture e i suoi programmi ancorati alla visione del passato, ha anch'essa bisogno di una «rivoluzione copernicana» per portare i giovani a considerare anche il presente insieme al passato e a volgere lo sguardo pure al futuro. Solo la compresenza del passato, del presente e del futuro nel momento formativo delle nuove generazioni è in grado di trasformare gli anni di studio in un'esperienza di vita costruttiva. E' troppo chiedere alla nostra scuola di prendere atto di questa realtà e di adeguarsi? Italo Lana

Luoghi citati: Italia, Lombardia, Venezia, Vienna