Narro il Napoleone degli Zulù

Narro il Napoleone degli Zulù INCONTRO A MILANO CON LO SCRITTORE JOSHUA SINCLAIR Narro il Napoleone degli Zulù MILANO — L'epopea del Napoleone nero, l'imperatore Zulù che tra 700 e 800 costruì un impero grande due volte l'Europa e tenne in scacco i bianchi di Città del Capo, era fino a ieri affidata a una serie tv di successo, Shaka Zulù, che ha fatto il giro del mondo e in Italia si vide l'estate dell'87. Ora la vita dell'uomo che fondò la nazione del «Figli del cielo» (è questo il significato della parola zulù) è diventata un romanzo. Mondadori sta lanciandolo negli «Oscar bestsellers». L'autore Joshua Sinclair è lo stesso sceneggiatore del film televisivo. Ma non si sente affatto lo scrittore da instant book che trae un libro da un film per completarne lo sfruttamento del successo commerciale. Lui aveva bisogno, spiega, di quel romanzo. «Sono uno scrittore che ha fatto tante sceneggiature: un mestiere pericoloso, perché assicura buoni guadagni e impigrisce. Ma sono uno scrittore e volevo un libro, cioè qualcosa di molto più difficile da realizzare'. Aveva anche un debito d'onore. «Per girare il film abbiamo avuto bisogno del Sud Africa, Paese orribile, il cui governo non ci ha permesso di fare tutto quel che avevo in animo. Avevo giurato agli Zulù che avrei realizzato l'epopea del loro grande eroe nel modo migliore. Dovevo scrivere il mio romanzo: L'impresa è riuscita molto bene, a quanto pare: una decina di traduzioni in tutto il mondo, compresa la Russia e la Finlandia, magari un po' sforbiciate come quella italiana, che taglia parecchie pagine dell'originale inglese, molto più lungo. E ora il coronamento del sogno maggiore: il «profeta» Nonkarnfeta Delu, traduttore persino della Bibbia, ha preparato la versione dell'opera in lingua zulù. «Per me è un grandissimo onore, spiega Sinclair, ho dovuto lottare per essere accettato, per vincere la diffidenza istintiva che destava il fatto che un bianco si mettesse a scrivere la storia di Shaka-. Il mito del grande condottiero che trasformò una piccola tribù di pastori in un esercito agguerrito e invincibile e dilagò in tutta l'Africa australe è ancora una realtà, oggi, proprio nel cuore della tragedia dell'apartheid. •Shaka ha dato uno spirito alla sua gente, e questo spirito, quest'anima, sono ben vivi. E' la ragione per cui i bianchi, in Sud Africa, non sono mai riusciti a sottomettere completamente i neri, né mai ci riusciranno. Shaka ha dato un'identità al suo popolo, ha messo l'Africa nella storia del mondo dimostrando che è un Paese in grado di fare quelle stesse cose che l'Occidente credeva prerogative sue proprie-. Quando scriveva, Sinclair aveva mille problemi, molte paure. Temeva, lui bianco, di non saper narrare. -Ma gli Zulù mi hanno spiegato, alla fine, che sarebbe siato Shaka a raccontare la storia per me-. E ciò che Shaka ha racconta fa uno strano effetto. Il romanzo non è certamente un'opera molto complessa, di alta letteratura, ma neppure un banale bestseller confezionato per puro intrattenimento. Sinclair ha messo in scena il suo eroe con una scrittura piacevole e suggestiva, un occhio alle ricerche storiche e tutte e due le orecchie alla tradizione orale. Ne è nato un affresco a forti tinte, epico e commovente, molto trascinante, una grande storia di buon artigianato anglossassone, ricca di misteri, di streghe e magie, di grandi battaglie, atrocità, accensioni, sentimento, commozione, Insomma una epopea africana «tradotta» e resa facilmente comprensibile agli occidentali. I personaggi parlano di storia, di problemi di coscienza, di reggimenti e di caserme come se fossero i protagonisti di Guerra e pace, ma anche e soprattutto di magie e miti, con una voce forte e originaria. I grandi rituali sono gli stessi delle tragedie greche (quando Shaka insegna ai giovani a infrangere le vecchie leggi, e a inventarne di nuove) o delle mitologie nordiche (a esempio la forgiature e consacrazione della lancia che renderà invincibile l'eroe, in un'atmosfera decisamente nibelungica, dove Shaka ricorda Sigfrido). Ma anche il Nobel Soyinka racconta una storia nigeriana sullo sfondo del mito di Orfeo e Euridice. La cosa non sembra comunque preoccupare Sinclair: «Sono stato a lungo nel Terzo Mondo, non solo in Africa ma anche in India. E ho sempre potuto verificare die gli archetipi junghiani, le immagini fondamentali che guidano l'esperienza del mondo, esistono davvero, in tutte le culture-. Per lui, del resto, il problema maggiore era quello di seguire una sorta di richiamo, risuonato ventanni fa a New York quando se ne andò a rivere nel quartiere nero di Harlem. Cominciava li un'avventura che lo avrebbe portato, come medico specialista in malattie tropicali, a lavorare con Teresa di Calcutta e poi a scoprire in Sud Africa la tradizione zulù e il mito di Shaka. Americano con madre italiana (figlia del giallista Augusto De Angelis), idealista generoso e giramondo, molto critico, nella tradizione del primo pacifismo Usa, nei confronti delle politiche «imperiali» e «neocolonialiste», ha trovato nella tragedia del Sud Africa la sua vocazione di scrittore anche «impegnato», e nella nazione zulù una sorta di •patria ideale-. Ora è molto ottimista, con ironia. «Sono sicuro che qualcosa cambierà, e presto. Una volta ho detto alla tivù sudafricana che Cristo, se capitasse da quelle parti, non potrebbe votare. Ma prima del '90 aspettiamo "nDaba", un Parlamento nero affiancato a quello bianco. E non mi dica che faccio il Nostradamus-. Mario Bandaio

Persone citate: Augusto De Angelis, Delu, Joshua Sinclair, Mario Bandaio, Shaka Zulù, Soyinka