Trionfo della terza dimensione

Trionfo della terza dimensione domani Trionfo della terza dimensione Alla rivoluzione degli ultimi decenni è dedicata gran parte dell'esposizione: dal Padiglione Italia alle nazioni ospiti, a «Aperto 88», rassegna di 83 debuttanti ■ Una dimensione conquistata, fra spazio e tempo, con ogni mezzo e materia, tecnologia compresa ■ L'affascinante caso di Jasper Johns - Le sculture ai Giardini - Tornano i secessionisti del '46 VENEZIA —Si apre domani la 43' Biennale, con il più alto numero di nazioni partecipanti, 44, più il nuovo padiglione della Valle d'Aosta e la partecipazione per la prima volta del Costa Rica. Sono presenti: nel padiglione Italia, che ospita anche Corea e Cuba, 19 artisti italiani e 8 stranieri che hanno o hanno avuto rapporti privilegiati con l'Italia; nei padiglioni stranieri 60 artisti, oltre ai 14 nel padiglione cecoslovacco e ai 32 in quello della Repubblica Democratica Tedesca; nelle corderie dell'Arsenale, in «Aperto 88», espongono senza distinzione di nazionalità 83 giovani. Nel viale d'accesso e dintorni campeggiano 25 grandi sculture, dalla coinvolgente Ora di punta di Segai, che riporta la quotidianità urbana alla bronzea classicità moderna di Rodili, e dalla retorica-mito del legno «povero» nel Cavallo alato di Ceroli allo stupendo, drammatico Gesto notturno della Nevclson, testé scomparsa. Vi sono poi le «estensioni alla città»: nella Scuola Grande di San Giovanni Evangelista tre giovani francesi, in Palazzo Sagredo cinque giovani scultori olandesi oltre al limpido, lucido concettuale Henk Visch, che ritma anche con i suoi interventi l'intero padiglione olandese — un carattere che domina l'intera Biennale —, a San Stae il bell'intervento di interpretazione e misurazione dello spazio dello svizzero, locarnc.se. Felice Varini. Infine, a Ca' Corner della Regina, come ricordo storico e omaggio a Giuseppe Marchiori, è esposta una rigorosa scelta di 36 opere nell'immediato dopoguerra dei firmatari con Marcii ioti, il 1° ottobre 1946 a Venezia, del Manifesto della Secessione Artistica Italiana, poi denominata Fronte Nuovo delle Arti, nella sua breve vita fino alla prima Biennale del dopoguerra nel 1948: Birolli e Vedova, Sanlomaso e Corpora, Guttuso e Morioni, Turcato e Pizzinato, Franchina e Lconcillo e Alberto Viani. Una Biennale affrettata, dopo gli squallidi ritardi della lottizzazione politica nelle nomine? Dirci anzi che il breve tempo a disposizione ha esaltato, anziché condizionato, la chiarezza di idee direttive, e diciamo pure la professiona¬ lità del nuovo direttore Carandente e della commissione di esperti, e la sua capacità di concordare un'impronta sostanzialmente unitaria, coordinata, anche con gran parte della partecipazione internazionale; ivi compresa la diretta collaborazione con il giuri internazionale per i giovani di «Aperto 88». Si sono levate voci di restaurazione. Mi sembra che semplicemente la nuova direzione, abbandonata la linea dei «temi-contenitori» delle precedenti edizioni, abbia riportato chiarezza di distinzioni e di funzioni. Alla Biennale «maggiore» ha ridato il compito di indicare, registrare posizioni specifiche di forma e di linguaggio nella sempre più vasta e polivalente fenomenologia delle arti visive, attraverso la concretezza di opere e di operatori offerti al giudizio positivo o negativo al di là di ogni ipotesi e sovrapposizione ideologico-critica, proposta in astratto (ma con concretissimi risvolti di mercato) come unica ed esclusiva rispondenza alla immediata «contemporaneità». A «Aperto 88», in consonanza con la commissione internazionale, ha affidato la presentazione del più vasto campo di sperimentazione di [ili e non delle) forze giovani di tutto il mondo. E tutto questo è avvenuto non con l'astratta imparzialità della meccanica «registrazione», ma con una idea critica ben precisa. Accettabile o meno; per me accettabile: che una rivoluzione fondamentale degli ultimi decenni nelle arti visive è stata la conquista della terza dimensione fra spazio e tempo con ogni mezzo e materia, tecnologia compresa; ma. rispetto alla fase pioniera delle avanguardie storiche, e ormai anche rispetto alle neoavanguardie del secondo dopoguerra, dal neodadaismo alla pura concettualità, riproponendo e riappropriandosi della specificità del linguaggio e della materia delle arti visive. Gran parte di questa Biennale, dal padiglione Italia ai padiglioni stranieri a «Aperto 88» propone questo teorema critico: il teorema dello spazio. Spazio pittorico puro; terza dimensione scultorea, dalla grande modellazione espressiva (il «selvaggio» LOpertz, fra gli stranieri legati all'Italia) alla violenza tecnologica (il più recente Arnaldo Pomodoro con la sua natura fossile in alluminio, l'immobile e sospesa minaccia neodadaista di Mattiacci); fino alle forme più ampie, poveristiche o antropologiche o tecnologiche, di appropriazione dello spazio ambientale. E' la prima volta, credo almeno su scala cosi ampia, che il visitatore si sentirà coinvolto (o, certamente, potrà anche rifiutare) non solo da un artista, ma più globalmente dalla sua sala, dal suo padiglione. Molto spesso il metro non è la singola opera, ma i ritmi nello spazio dato, o l'«inscenatura» di un intero padiglione. Indipendentemente dalla materia o dal linguaggio scelto. Mi riferisco allo spazio pittorico globale delle splendide sale con gli ultimi Neri di Burri, con i grandi intrecci di segni-forme della Accardi, con le irradiazioni allucinogene di Dorazio; alle ripetizioni differenti dell'antropologia cromatica di Viallat che sbandiera le sue tele e le sue vele libere nel padiglione francese; ai densi intrecci raggiati-graffiti, i Crosshatch, di Jasper Johns di un decennio fa nel padiglione Usa. Il caso di Johns è veramente affascinante. Le tessiture Crosshatch non sono per nulla incoerenti con il linguaggio di segnali, di gesti, di impasti cromatici dei suoi esordi neodadaisti. E quando in questo decennio egli ritorna a proporre in immagine le memorie personali sulle pareti del suo studio, le sue forme e il suo spazio hanno assunto ritmi neometafisici, quasi dechirichiani, ben lontani dalla impassibilità tecnologica del materiale visivo. <(pop». Questa, freddezza, anche se drammatizzata e assemblata in senso neodadaista, pertiene ormai anch'essa all'accademia della contemporaneità: é il tipico caso dei due greci, Caniaris e Nikos. Questa procedura di proporre l'artista tal quale é, libero ma ovviamente anche nudo dal «programma critico», dà appunto i frutti dello svelamento accademico: accademica, e brutta, è la riscoperta decorativa di Lurcat da parte di Chia. Fra i quattro «transavanguardisti», decurtati di Demaria forse per la legge di equilibrio ritmico vo¬ luta da Carandente (quattro artisti per ciascuna linea di linguaggio pittorico italiano), il solo Paladino reagisce con slancio e baldanza all'occasione offertagli di appropriarsi di un grande spazio, con interventi polivalenti a due e tre dimensioni. Ma, mi sembra, con pura operazione di intelletto. Lo confronto, nello stesso padiglione italiano, con la cupezza esistenziale, arcaica e contemporanea, materica e concettuale, dei 126 sacchi di carbone «crocifissi» da Kounellis su doppie sbarre; o con la delicatezza inquietante della sala di Marisa Mere; o con la mirabile equivocità pittorica e tridimensionale di uno spazio ottico continuamente variabile nella sala di Sol Lewitt. La globalità/unità dell'impronta di questa Biennale offre poi singolari possibilità di accostamenti, anche fra gli illustri padiglioni delle nazioniguida e «Aperto 88». Le truci, espressionistiche immagini nere in carta ritagliate da Felix Droese sulle pareti del padiglione della Germania Ovest (mentre quella Est ci offre la sua incredibile, affollatissima rassegna di «citazio- nisti» sociali dall'Espressionismo delle origini alla Nuova Oggettività), cosparso a terra di enormi legni grezzi da patibolo infranto, trovano una singolare eco nello straordinario miniteatro in profili di ferro nero sagomato (Mappamondo 1988) del cairota, attivo ad Atene, Iorgos Lappas. Qualche ultima segnalazione: le inquietanti fantasie surreali modellate da Tony Cragg nel padiglione inglese; la bella pittura, sotto il velo della grande tradizione espressionistica da Kokoschka a Rainer, dell'austriaco Anzinger; l'astratta purezza costruttivista di tre giovani artisti attivi a Firenze, Daniela De Lorenzo, Catelani e Guaita. Infine, il visitatore dell'albeggiante, ma assai «moderato», ripensamento nel padiglione russo, è bene che tenga presente che l'espressionista, poi cubofuturista, poi kandinskiano, da ultimo realista espressionista Lentulov, morto nel 1943, è solo un esponente eclettico e di seconda fila dello straordinario, variegato laboratorio russo e poi sovietico degli Anni 10 e 20. Marco Rosei Venezia. L'inglese Tony Cragg con sue sculture. Domani «La Stampa» dedica alla Biennale un supplemento di 24 pagine: una guida completa alla mostra, affidata a critici e scrittori Venezia. Mario Ceroli col suo «Cavallo alato» nei giardini della Biennale che domani si apre al pubblico, dopo tre giorni dedicati ai critici. Solo tra giovedì e ieri, l'esposizione è stata visitata da 1286 giornalisti, più della metà stranieri, provenienti da 37 Paesi (Ansa)