E Nitti rinunciò all'Armenia di Lloyd George

E Nitti rinunciò all'Armenia Documenti inediti italiani sulla crisi del Caucaso dopo Brest-Litowsk E Nitti rinunciò all'Armenia D'accordo con il re e con Sforza, il presidente del Consiglio non inviò la spedizione militare sollecitata da Lloyd George - Già allora il Karahakh era motivo di scontro con l'Azerbaigian vernai Pascià e i bolscevichi diedero il colpo di grazia al sogno di indipendenza armeno L'incendio nazionalista scoppialo nel Cauu,-~ e la tenace mendicane 'e Jjgli ..imeni richiamano un preceAite storico di settant'anni r>. che ebbe più di un collejUr cnto con il nstro Paese. a' noto che con la pace di Brest-Litowsk lì marzo \o\$\ ]a Russia e la Geir . 11 prima rinunciò ali a [,'Khl rJia, all'Ucraina, la Pplouia, alle pjovk,- • :he eu al Caucaso. Q tini .uddivise ben presto tre repubbliche indipenni Armenia, Arzebaigian, Ijcci^a. T e orità armene si rive . all'Italia per avere aiuti t conoscimento. Una docurr, Jone d'archivio pbb~-J . comprende gli apyeili giunti "imi dalle Comunità .parse in tutto i' ro dal¬ l'India, da >irattutto, <} • .... Nel dicemo' ■ un certo Mihran L.imad;. i, rappresentante di una «Delegazione nazionale armena» inviò un curioso teledramma a Vittori.-! tmanuele III: «Evocando con orgoglio il titolo di re • u-U'i- -tenia che porta Vostra augusta Maestà, titolo consenato la 'a gloriosa Casa di Savoia lungo i secoli del nostro martirio quale simbolo del diritto imperituro all'indipendenza, ecc. \ egli sollecitava il Sovrano a volersene ricordare in occasione della visita che il presidente Wilson stava per fargli, ed esaudire il voto i" quattro milioni di armer ' - la ricostituzione cL , o Slato libero ed indipendente. Anche il Patriarca degli armeni cattolici diresse a; presidente de! Consiglio, Vittorio Emanuele Orlando, un memoriale in cui faceva appello ai noti sentimenti di giustizia e di umanità del governo italiano perché desse il suo appoggio alla ricostituzione nazionale, religiosa ed economica dell'Armenia nei suoi '■limiti storica che, secondo il Patriarca, dovevano :n~:-endere «TArmenia vftiggiore, l'Armenia Minore e la C:!icia<>. L'Italia fece pervenire al Patriarca, per il tramite nell'Alto Commissario a Costantinopoli. Carlo Sffia. '■l'espressione dei persauiti sentimenti di simpatia d- S. E. il presidente del Con.gho e di quelli del Regio GoI terni; per il popolo armeno, le I cui lunghe sofferenze e le cui vive speranze non sono ignote al popolo italiano». E difatti si ebbero numerosi appelli in questo senso, anche in Parlamento, mentre la contessa Maria Corinaldi fondò un Comitato italo-armeno di collaborazione culturale ed economica, che venne ad aggiungersi al già esistente Comitato «Pro-Armenia» di cui facevano parte gli onorevoli Bissolati. Bonomi e Luzzatti, e ad un'Unione di studenti amicii in Italia. L'atteggiamento del presidente del Consiglio e del ministro degli Esteri Sonnino va messo in relazione alla proposta fatta all'Italia dal primo ministro Lloyd George, d'inviare truppe italiane nel Caucaso per sostituirvi quelle britanniche trasferite nel vicino Oriente. Il che aveva sollevato l'entusiasmo degli statisti italiani e di una parte della stampa che accennò alle favolose ricchezze li quella regione e di cui l'Italia, stremata dalla guerra, aveva gran bisogno. Solo Vittorio Emanuele III sollevò il sospetto che in tal modo si cercasse di distogliere l'Italia dalle sue aspirazioni verso l'Asia Minore. In realtà, a mio parere, Lloyd George cercava di coinvolgerla nella lotta antibolscevica Una missione militare, agli ordini del colonnello di S. M. Melchiade Gabba, venne inviata in ricognizione nel Caucaso. Essa svolse un lavoro eccellente e mentre espresse qualche riserva sull'opportunità da parte italiana di un'operazione militare, si mostrò meglio disposta in fatto di penetrazione com¬ merciale. Gabba funzionò anche come tramite tra il governo armeno e i governi occidentali, via Roma. Nitti, divenuto presidente del Consiglio nel giugno del 1919, annullò subito la folle spedizione militare per l'occupazione del Caucaso. Optò invece per l'invio di una missione d'industriali e di finanzieri presieduta dal senatore Ettore Conti, con alcuni giornalisti tra cui Luigi Barzini e Pietro Nenni. La missione, rientrata in Italia a metà marzo del 1920, gettò molta acqua sugli entusiasmi di vantaggiosi affari sia perché sarebbero occorsi investimenti enormi, sia so- prammo, per le incertezze e le difficoltà della situazione politica che rendeva precaria la stessa esistenza delle tre Repubbliche caucasiche. La più esposta era l'Armenia. E' vero che nella seduta del 19 gennaio 1920, il Consiglio Supremo alleato aveva riconosciuto quello armeno come governo «de facto», il che aveva permesso di nominare a Roma un rappresentante diplomatico, certo M. Varandian, che sarà assai attivo. Ma è anche vero che nella decisione sul riconoscimento era detto «senza pregiudizio delle eventuali fron-, nere». Ecco il punto dolente. Perché come Gabba aveva telegrafato fin dal 2.1 luglio 1919, «tra lo Stato dell'Azerbagian e lo Stato dell'Armenia ex russa esiste una grave questione territoriale relativa al distretto di Karahakh» : che è appunto lo stesso oggi in discussione. Esiste, in archivio, un lungo ed esauriente rapporto del colonnello Gabba sulla questione, in cui si dice tra l'altro che i diritti armeni sul contestato territorio «sono basati sid principio storico, geografico ed economico. Può documentare fino a duemila anni addietro la sovranità degli armeni sulla regione, ecc.. contro il valore di tali diritti non sembra che la Repubblica dello Azerbagian possa opporre solide ragioni: essa ha bisogno del territorio contestalo per mantenersi in contatto con i musulmani della Turchia...». Il rapporto terminava con una notizia preoccupante circa la minaccia di un'aggressione armata contro l'Armenia da parte di Mustafà Remai e delle truppe turche. sintomo evidente dell'esistenza di un movimento panislamico. Anche per questo appoggiava la richiesta armena di fornitura di armi. Nel dicembre 1919, Sforza, sottosegretario agli Esteri nel governo Nitti, telegrafò seccamente che «rifiuto fornitura armi governi transcaucasici vale anche, per l'Armenia in vista anche conflitto con tartari Azerbagian», Si parlò allora, e molto, di un mandato degli Stati Uniti sull'Armenia e, persino (ma molto meno) di un possibile mandato italiano. Il 10 agosto 1920 il trattato di Sèvres con la Turchia riconobbe l'indipendenza dell'Armenia che venne riconosciuta de jure dagli alleali. Ma a proposito della richiesta dell'Armenia di essere ammessa alla Società delle Nazioni. Sforza, divenuto ministro degli Esteri nel governo Giolitti, telegrafò da Londra, «the era impossibile perché solo la ratifica del trattalo di Sèvres, la costituisce in Stato indipendente». Prudenza più che opportuna perché il trattato non fu accettato dal movimento di Remai pascià, le cui truppe anzi avevano invaso l'Armenia L'Italia aveva inviato colà, come suo rappresentante diplomatico, il professor Giacomo Gorrini, piemontese, un grosso personaggio che per oltre trent'anni aveva diretto l'Ufficio storico del ministro degli Esteri. Sistematosi a Tiflis (Georgia), inviò degli eccellenti rapporti informativi. Uno di essi, giunto a Roma 1*8 giugno, illustrava «la situazione veramente tragica della piccola Repubblica caucasica... in stato di guerra con l'Azerbaidjian per gravi contestazioni di frontiera a Karahakh e Zanguizur, in stato di ostilità con il governo anatolico ribelle di Mustafà Kemal pascià per la pretesa restituzione di Kars e della regione di Ardahan, in stato parimenti di ostilità con la Repubblica di Georgia per la delimitazione della frontiera nel distretto di Sanain, minacciata da un ultimatum del governo bolscevico delta Russia...». Il rapporto aggiungeva che «oltre al bolscevismo esterno che minaccia la Repubblica armena dall'Azerbaidjian, vi è il bolscevismo interno, che ha molti proseliti fra i tartari e fra gli stessi armeni... La minaccia più grave è l'unione musulmano-bolscevica, cioè dei Kemalisli di Turchia coi tartari dell'Azerbaidjian, congiurati per sopprimerla''. Questa situazione, su cui Gorrini tornò più volte, serve a spiegare gli avvenimenti attuali. Allora le informazioni del Caucaso, in un'Europa ancora sconvolta dai preminenti problemi della guerra e della pace, non devettero commuovere le Cancellerie. Tanto è vero che il governo di Roma accettò ai primi di dicembre del 1920 di elevare al rango di Legazione le rappresentanze diplomatiche in Italia ed in Armenia, e pregò il ministro Gorrini d'informarne quel governo. Gorrini telegrafò l'I I dicembre che «a causa gravi avvenimenti verificatisi sospendo comunicazione in questo momento non più opportuna». Infatti, i sovietici avevano assunto il controllo del Paese. Enrico Serra