MILANO: 250 DIPINTI RACCONTANO IL NOSTRO SECONDO '800

L'Italia unita dai pittori del vero MILANO: 250 DIPINTI RACCONTANO IL NOSTRO SECONDO '800 L'Italia unita dai pittori del vero La grande mostra di Palazzo Reale mette a confronto Fattori e Lega con Fontanesi e Signorini; i paesaggisti, i Macchiaioli toscani e gli Scapigliati lombardi - Le contrastanti concezioni di «verità nell'arte»: dallo storicismo al naturalismo puro, all'intimismo quotidiano - Il fervido dibattito dell'epoca fra innovatori e tradizionalisti, fra idee nazionali e filoni locali MILANO — Si incontrarono a Firenze nel 1861, alla prima mostra •nazionale-, e fu la poetica del -vero-: i novatori locali, ovviamente, De Tivoli e D'Ancona, Abbati e Borrani e Cabianca, Fattori e Lega; e i già amici napoletani, Altamura e Celentano e Morelli; ma anche da Ginevra Fontanesi, da Bologna Bertelli, fresca riscoperta degli studi contemporanei. Già avevano battuto la strada per Parigi (la Parigi di Delacroix e di Delaroche, di Corot e dei -Barbizonniers- e degli esordi di Courbet) Altamura, Morelli e De Tivoli, il Picelo, Fontanesi, Pasini e Pittara, vi risiedeva stabilmente Giuseppe Palizzi. Vi giungono proprio nel 1861 Banti, Signorini e Cabianca, nel 1862 Nino Costa da Roma, passando poi a Londra dagli amici inglesi. Su questo primo slancio, nascono i cenacoli dei paesaggisti, i Macchiaioli toscani a Piagentina e Castiglioncello, i napoletani di Resina con il toscano Cecioni e l'esordio di De Nittis, i -grigi- liguri con Rat/per e D'Andrade e la loro connessione con i piemontesi di Rivara. Sulle orme della splendente meteora di Faruffini, entra poi in campo la Scapigliatura lombarda, mentre il mito del colore veneziano impreziosisce e talora erode il -vero- di Favretto, di Ciardi, di Nono. Tante, e disparate, nozioni di -verità», dallo storicismo al naturalismo puro all'intimismo quotidiano; e una grande, spesso confusa circolazione di idee e di forme attraverso le rassegne nazionali e soprattutto la rete delle associazioni artistiche, alla ricerca dell'arte di una nazione in costruzione. Fra '800 e '900, alcuni maggiori poli di questa circolazione e costruzione ne proposero immediati consuntivi locali: Torino nel 1893. Milano nel 1900, Napoli nel 1922; mentre fra le due guerre Macchiaioli toscani e Scapigliati lombardi, in clima di -richiamo all'ordine- e alla tradizione, godettero di grandi fortune soprattutto mercantili. Gli studi nel secondo dopoguerra hanno infine approfondito con acume critico e filologico intrecci, fenomeni, personalità, connessioni storiche e sociali. I veneziani Era possibile ai nostri giorni, dopo ricche specifiche rassegne dedicate via via ai Macchiaioli, più volte, ai napoletani del secondo '800, agli Scapigliati, ai veneziani, alla pittura sociale, ai bolognesi, affrontare la complessità di questo secondo '800 - nazionale- in una rassegna globale criticamente rivelatrice? Milano ha ritenuto di poter affrontare questa impresa, affidandola a Renato Barilli, e ha schierato nelle sale di Palazzo Reale (fino alili settembre) poco meno di 250 dipinti, tratti in gran parte da collezioni pubbliche maggiori e minori ed è questo uno dei tratti più positivi, in guanto poteva evidenziare i legami fra ricerca di un'arte nazionale e politica artistica dell'Italia unitaria, attraverso gli acquisti ufficiali e gli approdi locali tramite le associazioni artistiche e, più tardi, i legati priva ti. Sono temi, situazioni, spunti significatiin nel complesso e fervido dibattito d'epoca fra novatori e tradizionalisti e fra diverse e talora contrastanti concezioni di -verità nell'arte-, fra idee nazionali e filoni locali, che ottimamente sono affrontati e emergono nei saggi del ricco catalogo Mazzotta. In essi, con qualche timore di ingiustizia, mi sembra di poter segnalare soprattutto quelli della Borgongelli sui prodromi -verso l'Unità-, del Poppi sulle esposizioni nazio¬ nali, da Firenze 1861 a Torino 1895, l'anno di esordio della Biennale veneziana, della Maggio Serra sul paesismo piemontese, dello Stivani sul -trionfo del vero-. Intrecci, incontri, alternative, contrasti emergono in bella evidenza; assenze in mostra e confronti diretti fra artista e artista, fra centro e centro creativo all'interno del discorso trovano Vappoggio dell'immagine fotografica. I pionieri Anche la mostra, con le prime sale dei -pionieri-, esordisce con bella baldanza e rimescolio delle carte di invecchiate abitudini storico-critiche: la densità del Picelo, fra verità umana e naturale e grande tradizione italiana fra '500 e 700, a confronto con la splendente solarità mediterranea-turneriana di Gigante e con il primo paesismo di Fontanesi cittadino d'Europa; il verismo materico, anch'esso solare, di Filippo Palizzi, altrettanto emulo dei nordici affluiti a Sud nella prima metà del secolo quanto del '600 napoletano, e la profonda immersione nelle fresche ombre di Fontaìnebleau e Barbizon del fratello Giù- seppe, con due capolavori come i Carbonai e II taglialegna ben degni di un paragone con Courbet, a confronto con i capostipiti milanesi del -genere- quotidiano, gli Induno, ancorché autenticamente nutriti di mazzinianesimo risorgimentale. Ma qui insorge quello che mi sembra il limite fondamentale della vasta rassegna, nel rapporto fra ciò che viene approfondito e chiarito nel catalogo, strumento, comunque, specialistico, e l'evidenza visiva, anche didascalica, per il pubblico. Giustamente Ba rilli, nel quadro generale introduttivo, sottolinea ad esempio die il -filone Induno- approda anche agli interni toscani quasi neoolandesi di Borrani e Cecioni. c si aggiungano anche Abbati e D'Ancona; anche se quest'ultimo, nella raffinatissima Finestra sul pomaio. è addirittura a mezzo fra Friedrich e Menzel. Perché allora non proseguire nel rimescolamento delle carte, e non proporre i! diretto confronto in mostra, anziché adagiarsi per il seguito nelle tradizionali scansioni, ovvero i Macchiaioli tutti in sequenza? E tanto più quando molte felici acci te di opere sottintendono le linee critiche scritte Ì7i catalogo: JEpisodio del 59 di Domenico Indurlo (18691 e II 26 aprile 1859 del Borrani (1861) hanno profonda affinità non solo di linguaggio ma anche di spirito risorgimentale, anche se in questo caso la strada corre da Firenze a Milano e non ricever sa. Altrove, in questo primo momento di vitalissima proposta del -vero- anche nell'innesto, di grande ricchezza e libertà cromatica e luministica, sul tronco accademizzato del romanticismo storico, mancano del tutto i necessari termini di confronto: bellissimo, certo, l'accostamento-sequenza fra capolavori di Altamura. Celentano. Faruffini. Cabianca. gli esordi di Lega e di Banti; ma tutto il signilicato. nel bene (linguistico! e nel male (ideologico), di un quadro-manifesto come gli Iconoclasti del 1855 e della liberissima prima versione del Tasso ed Eleonora d'Este 11864) dì Domenico Morelli, die Barilli proclama .figura centrale» della mostra, non può essere proposto e compreso sema il confronto con gli assenti Gamba. Gastaldi. Ussi. Tentazioni E, proseguendo con Morelli, la presenza di un ulteriore quadro capitale come le Tentazioni di S. Antonio del 1878, radice di tante svolte simboliste-illusioniste nell'Italia umbertina, è impoverita dalla mancanza di confronto con l'assente Dalbono. Certo, rimanendo agli sviluppi meridionali, felicità di scelte e altezza di personalità permettono, isolatamente, di valutare appieno il livello notevolissimo di Gioacchino Toma. Ma tanto più spicca, questo isolamento, nella capsula di una -situazione meridionale- che schiera perso- nalità cosi disparate, anche culturalmente, come De Gregorio (il cui Mercato arabo avrebbe assunto vero significato accanto a Pasini, visto che l'-orientalismo- è pur sempre una grossa componente della cultura pittorica ottocentesca fra romanticismo e verismo) e Rossano, De Nittis, Cammarano. Questo procedere per blocchi uxalistici tradizionali, che non permette al visitatore di stabilire confronti diretti per orizzontali di tempo, di posizioni linguistiche e concettuali, di scambi e tramiti, si accentua di sala in sala, cosi come, per il critico, un qualche stupore per le assenze o gli squilibrii: piuttosto penalizzate, in questi sensi, Torino e Milano. Il corrispettivo, indicativo, di questa situazione è la mancanza, nelle schede di catalogo, dei percorsi -d'epoca- in mostre, acquisti, donazioni delle opere esposte, cioè dei concreti fili di quella trama storica die i saggi in catalogo evidenziano. Per fare un ultimo esempio, sembrano rimandarsi muti appelli da una sala all'altra singoli esempi di quel verismo integrale, di meditata rivalità con la rivoluzione della fotografia, che più tardi -corrompe-, ma inizialmente sviluppa il tema di fondo: livello molto alto, di purità luministica degna dì Degas, la Sala delle agitate di Signorini e la Lezione di ballo di Carcano, non a caso entrambe precoci, alla metà degli Anni 60; o anche il primo Baldini di Adelaide Banti in bianco; con l'occulto verme della corruzione il giovane Favretto di un decennio dopo, della Lezione di anatomia, della Partita a scacchi, della Famiglia Guidini. o il Serra di Monte di Pietà. Solo alla fine, il concetto di -corruzione del vero» permette confronti diretti e non tradizionali: Boldini, Michetti. Mancini con gli esordii di Segantini. Premati. Pelliz- za' Marco Rosei Domenico Morelli: «Tasso ed F.leonora d'Este» (1864) tra le opere centrali e più discusse della mostra in Palazzo Reale a Milano