IL «SERGENTE NELLA NEVE» RITORNA IN URSS

Gavetta italiana dal fronte del Don IL «SERGENTE NELLA NEVE» RITORNA IN URSS Gavetta italiana dal fronte del Don Fu ritrovata in un orto a Suckumi, città della Georgia sul Mar Nero - Sarà ancora vivo Primo, caporale d'artiglieria, che incise sull'alluminio la sua storia di guerra e d'amore? - Un cannone, il volto d'una ragazza, Lina, e i versi: «Amor/non piangere/Che un dì/tornerò/e allora/per sempre/vicino a te/resterò» - Al monastero di Zagorsk, mentre si celebrano i mille anni della santa Rus' MOSCA — In primavera la strada che da Mosca porta a Zagorsk è una esplosione festosa di colori e di buoni odori. Boschi di tenere betulle si alternano a nere distese di terra arata, boschi di pini a vasti campi seminati a grano o a erba medica; stagni con anatre selvatiche a villaggi di casette di legno ridipinte a nuovo. Attorno ai villaggi branchi di anatroccoli con le madri, vitelli al pascolo, capre ai pali, calandre nel cielo. Sulla strada il traffico si è fatto intenso, molto se confrontato con quello di dieci o venti anni fa; il fondo stradale è un po' malandato, ma dobbiamo anche pensare come qui sono l'inverno e il disgelo. Prima di Zagorsk uomini e macchine stanno rifacendo il manto d'asfalto, e a Zagorsk, davanti al cremlino-monastero della Trinità di San Giorgio, cuore della Chiesa ortodossa, è tutto un fervore di lavori: si restaurano porte e mura, si asfaltano i marciapiedi, si allargano i posteggi. Molti sono i pullman con targhe di città lontane, molte anche le automobili e, oltrepassata la Porta dell'Assunzione, è come entrare in un nostro santuario nel giorno del patrono. Ma con più ordine e con più silenzio: le voci sono sussurri e nessuno fuma per le strade o per i giardini dentro le vecchie mura, e noi occidentali, con la nostra curiosità, sembriamo quasi dei profanatori. Davanti alla Cattedrale dell'Assunzione, fatta costruire da Ivan il Terribile nel XVI Secolo, mi incuriosisce la tomba di Boris Godunov, della moglie e dei due figli. Ma qui è tutto un insieme di arte e di storia, di poteri tirannici e di popolo, di fede e di superstizione: Zagorsk è un concentrato di Russia, e guardi e osservi e mediti e cerchi nella memoria cose lette in tanti anni per tentar di capire questa terra sconfinata e, per certi versi, ancora da noi poco conosciuta. Cerchi anche di capire questa gente che viene da lontanissime contrade per riempire d'acqua una bottiglia, che già conteneva vodka e pepsicola, alla Cappella della Fonte Miracolosa che si trova tra il bel campanile disegnato dal Rastrelli e la chiesetta del Santo Spirito. O per baciare il sarcofago d'argento di San Sergio nella Cattedrale della Trinità dove ci sono i frammenti degli affreschi di Andrej Rubl'ov e sue stupende icone. Nelle chiese del Monastero della Trinità di San Sergio, tra iconostasi dorate, lumi di centinaia di candele, odore d'incenso, canti profondi che pare arrivino dal sottosuolo, e tanta gente: donne, uomini, ragazzi, ragazze, soldati, sacrestani, babusche, preti, occhi severi di cristi e dolci di madonne, ieratici di santi, piano piano ti senti preso e anche, quasi, ti metteresti in fila con quelle vecchie e quelle ragazze che davanti a una icona miracolosa depongono in una cassetta di legno un foglio di carta dove hanno scritto la loro segreta richiesta. Questa è la Rus' del Millennio quando la principessa Olga, madre del granprincipe Sviatoslav, volle convertire il suo popolo al cristianesimo, e Vladimir il Grande fece battezzare la gente di Kiev nel maestoso Dnepr; è la Russia dei principi e delle guerre contro gli Svedesi, delle invasioni tartare, dei signori moscoviti; è quella degli Czar e degli intrighi di Corte, delle rivolte contadine di Razin e di Pugacev: la Russia imperiale delle guerre europee, è l'Urss della rivoluzione leninista. Chi vuole leggere nelle cose costruite dagli uomini nel tempo: cremlini, conventi, palazzi, casupole, fabbriche, dighe, aeroporti, arriva fino al monumento dei conquistatori dello spazio che, rivestito di titanio, illumina il tramonto sopra Mosca. (E qui dissacro tutto con una barzelletta sentita da una straniera: -Il monumento ai conquistatori dello spazio? Il sogno dell'impotente!-). A Mosca, una sera, prima di partire per il Sud dell'Ucraina, siamo stati a cena in una trattoria cooperativa a conduzione familiare. Un'attività concessa dalla recente legge che liberalizza certe iniziative private. E' in via Komsomolskaya 7 e occorre prenotare in tempo: a condurla è la signora Zoya Mikhailovna e l'esercizio si chiama .Curia». L'ospitalità è tradizionale, si mangia e si beve alla georgiana: polenta bianca di mais e formaggio caprino, fagioli al peperoncino, una specie di pizza e, per chi vuole, carne ovina ai ferri. Si sta un poco stretti, ma bene, come in paese. Tutto il contrario di quel ristorante statale -Al cacciatore* sulla strada da Mosca a Zagorsk, dove si sta molto larghi e con ottimi servizi da tavola masi mangia malissimo selvaggina mal cotta, e per bere non abbiamo trovato nemmeno acqua ma solo disgustose bevande dolciastre che chiamano 'limonata*. Zoya ogni tanto si a/faccia dalla cucina per controllare se i clienti sono soddisfatti e per invitarci ad assaggiare qualche sua specialità. Sono assieme a dei giornalisti della Novosti. a Nikolaj Samveljan ed altri amici. Il mio vicino di destra ha un cognome tipicamente piemontese e gli chiedo se è figlio di qualche fuoruscito italiano degli Anni Venti. .No, mi risponde, sono di origine tatara. Quelle famiglie piemontesi che hanno questo cognome discendono dalle avanguardie tatare che attraverso la Porta Adriatica sono arrivati ai piedi delle Alpi Occidentali». La spiegazione mi fascia un po' perplesso. E'in questa serata da Zoya Mihkailovna che Juri Efremov mi dona un oggetto straordinario: e quella gavetta italiana che sua madre ritrovò sotterrata nell'orto di casa, a Suckumi, una città della Georgia sul Mar Nero. I reperti fanno storia, e attraverso questi oggetti e dal luogo del loro ritrovamento si può qualche volta rendere chiara una vicissitudine; e su questa gavetta di alluminio con la punta del temjierino o con un chiodo, come allora tutti tacevamo, un soldato ha scritto la sua vicenda II numero di matricola è A - 3713 (A sta per Alessandria?) ed è inciso sul fermacinghia: dal trofeo disegnato sopra si può rilevare che il proprietario era un artigliere che apparteneva a un reparto -11*. Unico reparto italiano di artiglieria che aveva questo numero era l'Undicesimo Raggruppamento di Corpo d'armata, comandato dal colonnello Guglielmo Mai. e questa artiglieria era direttamente dipendente dal Corpo d'armata alpino in linea sul Don. Dal disegno del cannone sì può intuire che il nostro artigliere fosse appartenuto a una delle nove batterie di cannoni da 105:32 e non alle due batterie antiaeree da 20 o alle tre di obici da 149:13. (Questi dati tecnici li rilevo dal volume Le operazioni delle unità italiane sul fronte russo, edito dall'Ufficio Storico dello Stato maggiore dell'esercito). Da un altro disegno posso arguire che l'autore sia stato caporale servente al pezzo perché è nell'atto di porgere una granata e sulla manica della giubba ha i gradi di caporale. Nessun segno, però, indica a quale gruppo o batteria appartenesse. Dopo le incisioni -miliari* sul davanti, dietro la gavetta in alto a sinistra, ricino al volto di una ragazza, si legge: Dopo la partenza tua / di quel di / la gioia mia fini e un nome scritto in grande: Lina, una colomba che porta una lettera e dei fiori. Sotto il nome della ragazza c'è quello di lui: Primo e il ritratto in abiti civili di un giovane con la scritta: Amor / non piangere ' Che un di tornerò / e allora / per sempre / vicino a te / resterò e due cuori trafitti che gocciolano. Storia di due innamorati negli Anni Quaranta. Ma che accadde poi? Il 13 gennaio del 1943 le truppe dell'Armata Rossa dìslocate nel settore di Voronez iniziarono un'offensiva denominata « OstrogozshiRossosanskaia* dal nome degli obbiettivi. Lo scopo era di eliminare il Corpo d'annata ungherese, il Corpo d'armata alpino e altre grandi uiAtà. Il giorno 16, nella zona di Aleksevka, nelle retrovie degli alpini, si chiude la linea esterna dell'accerchiamento. Che avvenne degli artiglieri dell'XI Raggruppamento dislocati a ridosso del Don? Riuscirono a sganciarsi prima della chiusura del cerchio effettuata dai carri armati del XII Corpo corazzato? Quanti finirono prigionieri? O morirono in combattimento? O per congelamento e di stenti durante la ritirata? E di Primo innamorato di Lina die avvenne? Forse il proprietario della gavetta che ora è qui sul mio tavolo venne fatto prigioniero e portato in qualche lager della sconfinata Unione Sovnetica. Ma osservando bene la carta geografica con le dislocazioni de: campi di prigionia, ricostruita con diretta esperienza dallo storico Valdo Zilli. :edo che il luogo più vicino a Suckuni dove giunsero dei soldati italiani e Novorossijsk, porto nel Kuban sul Mar Nero e che si trova a cinquecento chilometri di distanza. Come potè giungere fin li il nostro Primo? Ma forse, anche, la gavetta per le sue attraenti incisioni venne raccolta sul campo di battaglia da qualche soldato russo che partecipò a quelle battaglie sul Don e da lui portata verso casa come ricordo alla fine della guerra. Ora l'interno è incrostato di gesso, il fondo è annerito dal fuoco ma sono sempre bene leggibili le incisioni che ho descritto. E magari qualche lettore leggendo queste note potrà riprendere una traccia, e se il proprietario è ancora vivo, o un parente lo ricorda, o Lina, tengo questa gavetta a loro disposizione. Se no. la darò a qualche museo. Mario Rigoni Stern Zagorsk. Tra i fedeli al cremlino-monastero della Trinità di San Giorgio, cuore della Chiesa ortodossa (Fóto dell'autore)