Galileo e i lupi

Galileo e i lupi FEYERABEND RIAPRE IL CASO Galileo e i lupi Benché qualche tempo fa un severo storico delle idee abbia auspicato che si scriva di cose riguardanti la scienza senza più menzionare il nome di Raul Feyerabend, continuo a non tener conto dell'invito (o della diffida). Non solo pache rlon mi sembra tollerante zittirè una voce scomoda né saggio risolvere i problemi ignorandoli, ma anche perché sono convinto che quell'Innominabile sia semplicemente uno che, se non fosse nato, bisognava inventarlo. Il bene che ha fatto a tutti coloro che in qualche modo riflettono sulla scienza, compresi quelli che ne hanno criticato le idee, è inestimabile, perché tale è il prezzo dell'intelligenza e dell'acutezza. Si sa che uno dei cavalli di battaglia della critica di Feyerabend alla scienza è il caso Galileo. In un capitolo del suo ultimo libro, significativamente intitolato Farewdl lo Reason (di prossima pubblicazione in Italia presso l'Editore Armando), egli ritorna sull'argomento. Siccome, specie dopo gli interventi dell'attuale Pontefice, il caso è apparentemente chiuso anche per la Chiesa e Feyerabend intende invece riaprirlo rimproverando proprio alla Chiesa un eccesso di tiepidezza, l'occasione è buona per qualche riflessione. La tesi di Feyerabend è che all'epoca ci fu un conflitto fra due tradizioni (chiamiamole «tradizione Galileo» e «tradizione Bellarmino» dal nome dei protagonisti), che la tradizione Galileo (la quale asserisce che gli scienziati sono l'autorità suprema) era ed è illiberale, e che la tradizione Bellarmino (la quale afferma invece che l'autorità religiosa è superiore alla scienza), in una versione riveduta (l'autorità superiore non è la Chiesa ma tutti i cittadini), è invece saggia e sensata. * * Galileo, dice Feyerabend, «non chiedeva soltanto libertà di pubblicare i suoi risultati, rna voleva imporli agli altri. Egli dava per scontato che i metodi speciali e assai ristretti degli astronomi fossero il modo corretto di raggiungere la Verità e la Realtà». ; Bellarmino invece si opponeva in nome di verità superiori. Sono celebri in proposito le parole di una sua lettera al padre Paolo Antonio Foscarini (12 aprile 1615): «Mi pare che Vostra Paternità et il Signor Galileo facciano prudentemen té a contentarsi di parlare ex suppositionc e non assolutamente... Perché il dire, che supposto che la Terra si muova et il Sole stia fermo si salvano tutte l'apparenze meglio che con porre gli eccentrici et epicicli, e benissimo detto, e non ha pericolo nessuno; t questo basta al matematico ma volere affermare che realmente il Sole stia nel centro del mondo... è cosa pericolosa non solo d'irritare tutti i filosofi e theologi scolastici, ma anco di nuocere alla Santa Fede con rendere false le Sai mire Sante». Feyerabend dice che questa opinione è saggia e sensata perché «il fatto che un modelio funzioni non significa di per sé che la realtà sia strutturata come il modello». Aggiunge che l'esistenza di limiti estemi alla scienza è ammessa anche oggi (come Bellarmino ieri, «i moderni difensori della scienza ci avvertono spesso che un'interpretazione non accurata dei risultati scientifici e dei conflitti scientifici fondamentali può condurre all'irrazionalismo e ferire la "nostra santa fede" nella ragione»). Analogamente, secondo Feyerabend, vale anche oggi che questi limiti esterni vengono imposti per via amministradva e che vengono spostati di fronte a nuove scoperte (come Bellarmino si dichiarava pronto a cambiare opinione «quando ci russe vera demostratione», le moderne autorità raccomandano «di non introdurre una nuova forma di educazione finché non si è sicuri che è buona quanto l'altra»). Né, aggiunge Feyerabend, si può rimproverare a Bellarmino di non aver spostato i suoi limiti religiosi alla scienza di fronte alle prove galileiane, semplicemente perché Galileo mancava di queste prove. In conclusione, la tesi dì Feyerabend è che Galileo avesse torto e Bellarmino ragione ed «è un peccato che la Chiesa di oggi, spaventata dal rumore universale dei lupi scientifici, preferisca ululare con essi piuttosto che cercare di insegnargli le buone maniere». Non contesto che Bellarmino sia un tipico rappresentante della sua tradizione; contesto però che Galileo (e i migliori scienziati che lo hanno seguito) lo sia dell'altra e che ai guasti innegabili provocati dalla tradizione Galileo (che possono essere riassunti sotto il nome di scientismo) si rimedi, invocando la tradizione Bellarmino ancorché riveduta. Intanto non è sicuro che Galileo volesse «imporre» i suoi risultati. E' vero piuttosto il contrario: Bellarmino voleva sottoporre una tesi scientifica, la teoria copernicana, a un criterio, la parola delle Scritture, estraneo alla scienza. Galileo si contentava assai di meno; si contentava in primo luogo che la Chiesa non condannasse 1: teoria per ragioni extrascienti fiche. Come scrisse in una replica non spedita al Bellarmino, «non si domanda da noi che alcuno creda tal cosa senza demonstrazione: anzi noi non ti cerchiamo altro, se non che, per utile ài Santa Chiesa, sia con somma severità essaminato ciò che sanno e possono pro¬ durre i seguaci di tal dottrina». In secondo luogo, Galileo si contentava che la Chiesa ammettesse che il sistema tolemaico è falso mentre quello copernicano «può essere vero», perché con l'uno «non si può rendere ragione delle apparenze» mentre l'altro «si accomoda benissimo», «né altra maggior verità si può o si deve ricercare in una posizione, che il rispondere a tutte le particolari apparenze». Feyerabend ha ragione di obiettare che non è vero che il sistema copernicano salvava le apparenze «benissimo». Ma il punto in questione non è se le prove galileiane fossero conclusive; il punto è se Galileo (e la scienza) abbiano il diritto di affermare secondo i propri metodi una tesi scientifica senza sottoporla a aiteri esterni di validazione. Né il punto è se esistano autorità esterne alla scienza; quando questa si sia dichiarata competente a stabilire solo «come vadia il cielo e non come si vadia in cielo», il punto è se tali autorità esterne abbiano il diritto d'interferire sull'accertamento della verità scientifica nei modi, limitati e fallibili, che la scienza si è data Perché Feyerabend, che ha sempre auspicato la competizione fra le tradizioni, vuole ora privilegiarne una a scapito di un'altra? La sua revisione della tradizione Bellarmino raffigura una società (la «società libera», com'egli la chiama) in cui alla scienza è soltanto negato (giustamente) il diritto di essere autorità suprema, ma non anche aggiunto il dovere di sottoporsi ad altre autorità. * ★ Quanto al rimprovero mosso alla Chiesa di essersi impaurita dei lupi scientifici mi pare infondato e pericoloso. Infondato, pache la Chiesa cattolica si è impaurita assai poco. Quando si è trattato di discutere sull'evoluzionismo, Pio XII, in perfetto stile Bellarmino, saisse che «i fedeli non possono abbracciare quella opinione i cui assertori insegnano che dopo Adamo sono esistiti qui sulla Terra dei vai uomini che non hanno avuto origine, per generazione naturale, dal medesimo» e che se certe ipotesi scientifiche «vanno direttamente o indirettamente contro la dottrina rivelata, allora esse non possono ammettasi in alcun modo» (Enciclica Hurmni Generis, 1950). Paicoloso, pache invitare la Chiesa a mettae il bavaglio alla scienza può condurre ad una forma di intolleranza, cioè esattamente al contrario della «società libaa». Dispiace che chi ha tanto contribuito a farci capire i limiti della scienza e i rischi dello scientismo offra ora alimento a tendenze illiberali che già esistono. Critici va bene, anarchici è forse meglio, ma claicali è troppo. Marcello Pera

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