Sahrawi, l'esilio nel deserto

Sahrawi, l'esilio nel deserto Come vive il popolo delle tende scacciato dal Sahara Occidentale Sahrawi, l'esilio nel deserto Senza risorse naturali e senza moneta, i profughi sono aiutati dall'Algeria, dalla Cee e dalla Caritas - Gli uomini in guerra contro il Marocco, affidata alle donne la «gestione politica» DAL NOSTRO INVIATO T1NDUF — Una distesa di sabbia piatta e dura come il marmo, di colore marrone chiaro. Altopiani rocciosi che salgono dolcemente dalla costa verso l'interno, raggiungono un'altezza di circa 400 metri con il massiccio dell'Amarasit a Sud-Ovest e quello dello Zemmour a Ovest; verso il Nord colline spezzano la monotonia del deserto, mentre a Sud la pianura di Tiris è movimentata dai picchi scuri e aguzzi dei guelb granitici, simili a quelli dell'Adrar mauritano. Un territorio desolato, dove sono frequenti le visioni di laghi e colline, ma altro non sono che miraggi. Così, più o meno, apparve il Sahara Occidentale all'esploratore Riley, che vi fece naufragio nel 1815 rimanendo prigioniero dei nomadi sahrawi per alcuni mesi. Compreso tra catene montuose — l'Atlante del Marocco, il Fouta Djallon della Guinea e l'Hoggar algerino — il Sahara Occidentale è una terra dove da lontano un bicchiere di tè si vede bene come un cammello, dove un albero di acacia si scorge a trenta chilometri. Le precipitazioni sono scarsissime (all'interno piove ogni 5-6 anni) e le piogge danno luogo ai sabka, fiumi di breve durata che vanno subito in secca. L'acqua è però reperibile a una profondità non eccessiva per la presenza di falde sotterranee molto ampie. La maggior parte del Sahara Occidentale ha un clima secco e ventoso, caratterizzato da un'alta pressione subtropicale; le città e le zone costiere sono però più fresche. Verso la Mauritania e l'Algeria le temperature sono ben diverse: a massime estive di 50-60 gradi corrispondono temperature bassissime d'inverno, fino a zero gradi. L'escursione termica è altissima. A ridosso del confine con il Sahara Occidentale, in una fetta del deserto algerino, oggi vivono i profughi sahrawi (da 300 mila a 750 mila secondo le stime, l'ultimo censimento risale all'epoca dell'occupazione coloniale), scappati dal loro Paese dopo la partenza degli spagnoli (febbraio 1976) e l'invasione mauritanomarocchina. Non si può parlare di economia per un popolo costretto in esilio in terra altrui, immobilizzato nel deserto in un'area — quella algerina di Tinduf — che ha scelto di continuare a abitare, benché disperatamente inospitale, soltanto perché vicina e comunicante con la loro terra, l'ex Sahara Espafiol. Molti Paesi hanno aiutato e aiutano i sahrawi a sopravvivere, in primo luogo l'Algeria, che dal 1976 continua a offrire sostegno incondizionato e una porzione del suo territorio; altri hanno appoggiato la lotta del Fronte Pousario e non lo fanno più, come la Libia, oggi alleata del Marocco. I Paesi del Nord Europa, la Cee, l'Argentina assicurano da anni il loro aiuto umanitario, cosi come la Caritas Internazionale. In questa condizione di totale dipendenza, altri popoli profughi hanno finito per lasciarsi andare a una degradante condizione di mantenuti, perdendo lentamente la speranza di poterne mai uscire. Ma visitare un campo di rifugiati sahrawi (ognuno porta il nome della città abbandonata nel Sahara Occidentale: Smara, El Ayoun, La Guera, Datela) offre uno spettacolo che colpisce fortemente: si è cercato di dare a tutti un lavoro attivo, e l'impressione è che gli aiuti vengano utilizzati, ma non siano il fine ultimo dell'esistenza. Nella tendopoli di Smara vivono più di 40 mila profughi; non ci sono case, si vi¬ ve sotto le tende. -E' una nostra scelta — dice Omar Fadel, rappresentante del Fronte Polisario in Italia —. Siamo qui solo di passaggio». Sono state ottenute macchine per cucire e per tessere, sono sorte scuole per sarte e tessitrici: farsi gli abiti e arredare la propria tenda è cosa che ogni donna sahrawi può fare da sé. Sono state ottenute sementi e pompe idrauliche, i pochi agronomi hanno insegnato ai vecchi come recintare un pezzetto di deserto, come irrigarlo e coltivarlo. Sono sorte aule scolastiche e tutti gli analfabeti presenti nella tendopoli la sera vanno a scuola. Nell'ospedale, una costruzione in mattoni fatti di sabbia e acqua che da lontano ricorda 1 vecchi fortini dei Legionari, non ci sono medici né infermieri stranieri: i pochi medici sahrawi disponibili hanno formato una classe di personale paramedico che è coadiuvato da tecnici specializzati in radiologia, odontoiatria, analisi cliniche. Nel campo educativo, specialmente in quello dell'istruzione secondaria, una severità quasi ossessiva, un'organizzazione di programmi elaborata in base agli esempi forniti in campi analoghi da alcuni Paesi europei per preparare tutti a sfruttare le risorse del Paese senza dover contare sulla dipendenza assoluta. La gestione dei vari aspetti della vita di ogni campo profughi è affidata a un Comitato, formato da un sindaco (spesso un anziano) e da responsabili (quasi sempre donne, se non altro per l'assenza degli uomini, impegnati al fronte) per ogni settore dell'attività quotidiana: la scuola, la distribuzione degli aiuti, la sanità. Una gestione più centralizzata avviene a livello di distretto regionale, e qui è stata addlritiuri i spettata la divi¬ sione attuata dalla Spagna nell'ex colonia. Non si vende e non si acquista nulla, perché non circola moneta. Le risorse vengono distribuite secondo i principi dei nomadi: un ordinamento che non potrà essere un modello per la società futura. La natalità è molto alta, i ragazzi saranno i guerrieri di domani. L'Islam è la religione di Stato ma gioca un ruolo di semplice riferimento culturale. Anche perché l'avversario diretto di oggi è un altro Stato musulmano, il Marocco, il cui re Hassan II si fregia del titolo di -comandante dei Credenti» in virtù di una presunta discendenza dal Profeta. Nel popolo sahrawi oggi si possono individuare due aspetti ben distinti. Da una parte, una presenza di elementi di recupero della tradizione beduina, l'uso di un linguaggio antico, lo studio della poesia tradizionale, lo spazio politico-decisionale lasciato, come un tempo, agli anziani. Dall'altra, lo sforzo di realizzare il progetto di una società sovratribale. che compia in pochi anni un salto qualitativo per essere alla pari con il mondo moderno; lo sforzo di sostituire agli antichi valori — la nobiltà del sangue, il coraggio nella guerra — valori nuovi quali l'efficienza, la capacità di gestirsi politicamenie. E dove la prima componente — il recupero del passato — ha un grande Significato di coesione e di costruzione di un'identità nazionale, ..i seconda — l'obicttivo del cambiamento dei valori tradizionali finalizzandoli alla sopravvivenza nel futuro — ha il significato ili una volontà di crescita. Resta da vedere se queste spinte, apparent^rocr ricontraddittorie, potranno comporsi armonicamente nel progetto di ritornarla uniti nella propria patria. Francesco Tropi:.»

Persone citate: Guera, Omar Fadel, Profeta, Riley, Zemmour