Le buone maniere nella società degli arrivisti di Renata Pisu

Le buone maniere nella società degli arrivisti Un saggio di Gabriella Turnaturi sul bon ton ieri e oggi Le buone maniere nella società degli arrivisti . ORTESIA in bocca, mano al <( cappello, costa poco ed è buono ^ ^"e bello». Cosi, nel 1881, riassumeva l'utilità delle •buone maniereAlessandro Garrone, autore di un galateo per le famiglie. E' uno delle centinaia di manuali del genere presi in esame da Gabriella Turnaturi nel suo saggio «Gente per bene - Cent'anni di buone maniere» che esce da SugarCo la prossima settimana (296 pagine, con 16 tavole fuori testo, 25.000 lire). La Turnaturi, che è sociologa, offre una traccia inedita per una storia della borghesia italiana, andando a scovarne aspirazioni e fobie nei galatei, nei manuali del saper vivere, testi misconosciuti ma che hanno contribuito alla omologazione dei ceti emergenti, dando soprattutto fiducia in se stessa alla piccola borghesia, incerta sulla sua missione e sul suo posto in una società che era stata fino a ieri dei gran signori aristocratici, convinta nel suo intimo che -.signori si nasce- ma chiamata a contribuire al progresso e a civilizzare il Paese civilizzandosi. Avida consumatrice, quindi, di questo genere di letteratura non frivola anche se tratta di abiti, etichetta, balli e ricevimenti, ma didattica e moraleggiante, tesa alla pro¬ mozione dei plebei e dei -terroni- e die conobbe la massima fioritura subito dopo l'Unità. L'Italia era stata fatta ma restavano da fare gli italiani. I quali dolevano tutti diventare -gente per bene-. Guai a sbagliare i posti a tavola, ma guai anche se ci si ostina a parlare in dialetto perché «dato che abbiamo le scuole gratuite e l'istruzione obbligatoria dobbiamo tutti saper parlare italiano». Cosi ammonisce un galateista nel 1897, attento come tutti i suoi colleghi a codificare la dimensione privata, l'intrattenere relazioni con il capo ufficio e la sua signora, scambiarsi inviti, biglietti da visita, incontrarsi per il tè. Ma attenzione: questa dimensione privata si identifica con quella pubblica, al punto che identità sociale e identità individuale vengono a coincidere. Nascono modi di dire e di fare che lasciano supporre che l'apparenza sia la sostanza: da come vesti, come mangi, come parli, capisco chi sei. Comportati a modo, dunque. E il modo è codificato per tutti i ruoli ci sono regole puntigliose: la norma generale è però non farsi notare, essere modesti, insomma -ognuno al suo posto- anche se il corollario è: 'Chi è ben educato può aspirare a un posto più alto-. Non per sé. oi-viamente. perché i tempi dell'ascesa sociale sono lunghi: ma. per esempio, un piccolo commerciante che ha fatto soldi, purché a tavola non adoperi il tovagliolo per tergersi il sudore, può sperare di maritare bene la propria figliola, magari a un onorevole impiegato, a un servitore della pubblica amministrazione. Fa ridere? Forse. Eppure queste sono state le regole del vivere civile fino a ieri: certo, regole che si sono evolute con il tempo. Nei nostri Anni Sessanta, il problema non era più come adoperare il tovagliolo ma. per esempio, come assegnare i posti in macchina, la nuova conquista dell'italiano medio: chi doveva sedere di fianco al posto di guida? Chi dietro? Erano grossi problemi. Ad ogni modo l'aspirazione era immutata rispetto a ottantanni prima, essere reputati persone -distinte- facendo però paradossalmente di tutto per non farsi distinguere, per non dare nell'occhio, comportandosi come -è naturale- ma imparando la •naturalezza' dai moderni galatei o dalle rubriche di saper vivere dei settimanali. Ipocrita quanto si vuole — perché lasciava intendere che -essere- è sempre superiore ad -avere- — questa imposta¬ zione di base presupponeva tuttavia ancora un desiderio di essere bene accetti usando le buone maniere come lubrificante sociale: in altre parole un desiderio di -apprendere- omologando il proprio comportamento a quello di coloro che • signori sono nati-. E per carità, si va votati all'ostracismo se si lasciava in .idere di essere degli arrampicatori, ci si riduceva al ruolo di •macchiette-, magari con i soldi ma ::enza creanza. Spazzata via quest'ultima ipocrisiu che ci ha accompagnati fino a pochi anni fa. quello che era identificato come il -nemico- da tutta la -gente per bene- e da tutta la letteratura del saper vivere, cioè il nuovo ricco, il bottegaio, il pescecane, diventa all'improi'viso. con altri epiteti più lusinghieri, il modello e il protagonista del gioco sociale I manuali degli Anni Ottanta prendono atto di questo ribaltamento: non insegnano più raffinatezze ma soltanto a darsi un tono, cioè un -bon ton-, si rivolgono all'individuo che vuole, fortissimamente vuole arrampicarsi, farsi notare, prevaricare, dar gomitate per guadagnarsi un posto in prima fila. Il manuale non è più compilato o letto sul serio, cioè non pretende di educare ma soltanto di insegnare come darla a bere agli altri: così si spiega il successo della precettistica finto-scanzonata per screanzati narcisi che impone un nuovo conformismo e una nuova ipocrisia, come dice Gabriella Turnaturi: quella di «una turba allegra, incosciente e inconsapevole». Non veri signori. Ma come dice Antonio De Curtis. alias Totò. «signori si nasce. E io, modestamente, lo nacqui». La battuta faceva ridere. Fa ancora ridere. Forse perché il fantasma del -vero signore- non è stato ancora placato; si aggira indispettito e brontolone tra la turba dei narcisi arrivisti che vorrebbero dargliela a bere. Il suo scopo è guastargli, se può, la festa. Renata Pisu

Persone citate: Antonio De Curtis, Gabriella Turnaturi, Garrone, Turnaturi

Luoghi citati: Italia