Pittori tedeschi fuggiti nel mito del Sud di Francesco Vincitorio

Pittori tedeschi fuggiti nel mito del Sud DA MONACO A ROMA I «DEUTSCH-ROMER», VENTI ARTISTI CHE A FINE '800 SCELSERO L'ITALIA Pittori tedeschi fuggiti nel mito del Sud ROMA — Alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna, fino al 28 maggio, una mostra dedicata a una ventina di pittori e scultori del secondo '800, denominati i «Deutsch-Romer». Già presentata a Monaco di Baviera, ha come sottotitolo esplicativo: «Il mito dell'Italia negli artisti tedeschi, 18501900». Si tratta di un capitolo importante dell'arte europea del secolo scorso, dal nostro pubblico, in genere, più citato che direttamente conosciuto. Nel nostro Paese, infatti, la prima esposizione di alcuni componenti del gruppo ebbe luogo solo otto anni fa, a Fiesole. Malgrado che — come dice il loro nome e come documenta, egregiamente, il catalogo della Mondadori-De Luca — questi «Tedeschi-Romani» abbiano fatto dell'Italia la patria d'elezione. Tre di essi — e sono le figure principali — addirittura sono morti nella nostra penisola. Ossia: Bòcklin, Feuerbach e Marées. Mentre il quarto «protagonista» — lo scultore Hildebrand — aveva comprato l'antico convento di 8. Francesco presso Firenze, trasformandolo in un fervido cenacolo. Va però subito precisato che. a differenza dei «Nazareni», confraternita artistica tedesca insediatasi a Roma nella prima metà dell'800, i «Deutsch-Romer» erano, per cosi dire, «cani sciolti». Forse affratellati soltanto dalle delusioni del '48, dalla scontentezza per il crescente positivismo e industrializzazione e dalla nostalgia per la tradizione umanistica. In sintonia, peraltro, coi migliori spiriti del tempo: da Schopenhauer fino a Nietzsche, da Bachofen, studioso di miti matriarcali, fino a Burckhardt, storico del Rinascimento italiano. Insomma, i «Deutsch-Romer» avrebbero potuto sottoscrivere, toto corde, ciò che diceva appunto Burckhardt: 'Completamente in disaccordo con i miei tempi, li sfuggo e vado nel bel Sud». Ma a questo punto le loro strade divergevano. Unica cosa in comune (come vedremo, però non Feuerbach) la passione per la campagna romana. Ai loro occhi — magari tramite il filtro dei dipinti di Poussin — luogo da «età dell'oro». Ancora popolata da figure mitiche: nel rustico pastore vedevano Pan o un fauno; nelle contadine intente ai lavori quotidiani, ninfe dei boschi. La terra della mia nostalgia, la chiamava il proto «DeutschRomer» Schirmer, presentato con sette dipinti, maestro di «paesaggio» di Bòcklin e altri all'Accademia di Dusseldorf. Ma a parte questa comunanza, ognun per sé. In primis Arnold Bòcklin, del quale ci sono 26 olii e una quindicina di disegni. Molto amato, come si sa, da De Chirico, che scrisse un'.apologia- del pittore di Basilea. Penetrante ma, a mio parere, meno felice di quella del fratello, Alberto Savinio. in Narrate, uomini, la vostra storia. Nella quale si ricorda che Bòcklin era lettore insaziabile, si preparava da sé, scrupolosamente, tele e colori, non poteva soffrire Feuerbach e Wagner, amava l'Ariosto e min nessun al- tro artista, da che mondo è mondo, il trasferimento dell'uomo nel mondo poetico da lui creato è stato altrettanto completo-. Un ritratto perfetto. Specie dove viene sottolineata la potente visionarietà, la maestria pittorica, la grande statura del pittore, anche quando il suo dionisismo tracimava nella retorica. Colmo di malinconia, non solo nelle arcinote versioni di L'isola dei morti. Basti pensare alle sue molteplici interpretazioni della Villa sul mare. Oppure a quel dipinto del 1885, pure presente nella mostra, intitolato II si- lenzio nel bosco. Con l'indimenticabile ombra di donna che esce dal folto, a cavallo di un misterioso unicorno. Tutt'altra ricerca quella di Anselm Feuerbach, anche lui presentato con numerosi olii e disegni. Figlio di un archeologo, nipote del filosofo caro a Marx, accanito studioso, specie delle figure femminili, che idealizzava, trasformando le modelle romane in eroine mitiche. Sua ambizione, cercare l'essenza della bellezza e dell'arte, in gara con gli artisti del passato. Sia i veneziani del '500 e Raffaello, sia i greci. RiI creandone le forme, con pit¬ tura assai sapiente ma, a volte, con qualche manierismo e macchinosità. Esemplare a questo riguardo, il Convitto di Platone, del quale c'è in mostra un bozzetto. In quei pochi centimetri, infatti, tutte le virtù e le contraddizioni di questo pittore, teso nostalgicamente a far coincidere norma classica e modello naturale. Un personaggio in fondo tragico, che mori a 50 anni, in solitudine, scontento, col suo sogno inappagato di creare una «moderna antichità». Fu anche il sogno di Hans von Marées, del quale nell'Acquario di Napoli esiste l'opera più significativa. Affreschi eseguiti nel 1872 e in cui potè dar corpo alla sua ossessione. Come ha scritto Marisa Volpi, massima studiosa italiana dei «DeutschRomer», in un bellissimo racconto a lui dedicato, l'ossessione di «cosrnn're la bellezza dei corpi, l'equilibrio dei movimenti, la stasi e il mistero che emanano gli spazi calibrati-. Ricerca confortata dalla teoria puro-visibilista stilata dal suo protettore, Konrad Fiedler. Purtroppo nella mostra romana, ci sono soltanto cinque suoi dipinti. In compenso un'intera sala di disegni documenta il percorso per arrivare al risultato voluto, cioè dare alle forme umane una monumentalità. una sacralità, che ricordano gli esiti del quasi coetaneo Cézanne. Tuttavia, con minore libertà e felicità pittorica del maestro di Alx-enProvence. Anzi, nei dipinti, un colore soffocato, che esprime gravità e pena. Sentimenti invece assenti nelle sculture di Adolf von Hildebrand. suo amico. Il quale, pur fedele anche lui alle teorie fidleriane. guardò a modelli classici, greci e rinascimentali, con più serenità. Sempre con grande sapienza e finezza ma, spesso, con quel gusto un po' accademizzante. che caratterizzò tanta arte europea dell'800. Da cui non fu immune neanche il «secessionista» Max Klinger. che insieme ad Hans Thoma conclude la rassegna. Le sue tre opere esposte sono ormai lontane dallo spUito dei precursori, dei protagonisti e comprimari «Deutoch-Romer». Anch'esse però risentono di un certo accademismo, di una simbologia troppo pensata a priori, che costituì la palla al piede di questi artisti. Perciò trascurati poi, a lungo, specie per il confronto con gli Impressionisti. Posposti pure a pittori coevi, abbastanza vicini, come Moreau. Puvis de Chavanne. Rops. i Pre-Raffaelliti. Radicalizzando in tal modo una separatezza, frutto di quegli ismi che non tengono conto dei rapporti, delle influenze reciproche. Trascurando, insomma, l'estrema complessità (nell'arte dei «Deutsch-Romer» punti di contatto persino con il realismo di Courbet e il romanticismo di Delacroix) di quelle vicende. Appunto per questo, come avvertiva un loro contemporaneo, «non per il grosso pubblico distratto, bensì per coloro che si concedono il tempo di approfondirle-. Francesco Vincitorio A. Feuerbach: «Ifigenia» ( 1871, particolare)