Dc quella sedia che scotta di Augusto Minzolini

Dc, quella sedia che scotta E' partita la corsa per la successione alla segreteria Dc, quella sedia che scotta Galloni: De Mita si sta rendendo conto che non si può gestire il partito dedicandogli due ore al giorno Scotti, Goria e Martinazzoli in prima fila nella «campagna elettorale» - Forlani pronto al sorpasso ROMA — L'immagine è quella del castello abbandonato. Certo il gabbiotto degli uscieri è stato ampliato e sono stati sostituiti i vetri corazzati dopo l'omicidio di Ruffilli, ma c'è un'atmosfera di rilassatezza che regna a piazza del Gesù da quando De Mita si è trasferito a Palazzo Chigi. Anche gli uscieri si sono abituati al diradarsi delle visite del segretario, ormai limitate alle riunioni di direzione o alle grandi occasioni. A guardia della sua stanza De Mita ha lasciato solo montagne di carte accatastate sulla scrivania e qualche libro letto durante i giorni della crisi di governo. A ben vedere, però, mancano gli oggetti più cari; quelli li ha portati con sé a Palazzo Chigi: a iniziare da un pupazzetto con la sua immagine, donatogli da un artigiano democristiano, che il presidente del Consiglio ha elevato al rango di suo portafortuna. Fuori da quello studio, nell'anticamera che ha ospitato tanti potenti, si sente solo il conversare fitto delle segretarie. Ormai tutti sanno che la nuova dimora di De Mita è la sede del governo. Unico legame con il partito sono le visite quotidiane del capo della segreteria di piazza del Gesù Giuseppe Gargani. «Afa si può gestire il partito ricevendo Gargani per due ore al giorno?' è la domanda che per mezza de pone Giovanni Galloni. E' lo stesso interrogativo che si è posto De Mita in questi giorni: può una sola persona sobbarcarsi agli impegni di capo del governo e di segretario della de? Il primo ad ammettere che «è faticoso', «guari impossibite., è proprio lui. E non manca di ripeterlo in tutte le occasioni, anche in quelle ufficiali. Racconta Giulio Andrcotti: «Lunedi al primo ministro giapponese, che si rallegrava per il fatto che entrambi avevano due incarichi. De Mita ha risposto: "Guardi, mi vado convincendo proprio in questi giorni come sia impossibile ricoprire tutte due le cariche"'. E' un dato che trova tutti d'accordo nel partito, dagli amici più fidati del segretario, come Nicola Mancino, agli avversari più irriducibili come Flaminio Piccoli e Carlo Donat-Cattin. Solo a piazza del Gesù quelli che sono rimasti a guardia del bidone minimizzano le difficoltà. «Non ci sentiamo vedovi- dice Guido Bodrato. Con Forlani che in rispetto della sua proverbiale pigrizia se ne sta in disparte, a piazza del Gesù un «triumvirato. (Bodrato, Gargani e Scotti) tenta di sostituirsi ad una monarchia assoluta. Ma è difficile, anche perché nessuno ufficialmen¬ te ha ricevuto l'investitura di «vicario» del segretario. Basta porre la domanda su «chi convoca le riunioni?» che gli interessati danno risposte imbarazzate. Senza contare che dalla prossima settimana 11 «trio» diventerà un «coro». Per garantire una gestione collegiale al partito, infatti, arriveranno tre nomi «nuovi» a completare l'ufficio politico: Evangelisti per Andreotti, Bernini per Gava, Sandro Fontana per Donat-Cattin. E i problemi non riguardano solo la «pluralità» delle voci. Spesso lo «staff» rimasto a guardia del forte deve anche interpretare le volontà del segretario. «Siamo tutti più carichi di responsabilità, spesso dobbiamo decidere sema sentirlo' ammette Clemente Mastella. E. non per ultimo, c'è il rischio che colpi anche il psi con Craxi nella parte del presidente-segretario: quello di un appannamento dell'immagine del partito Insomma, a piazza del Gesù lo status quo può reggere per un periodo limitato di tempo, -per quei cento giorni che servono a far decollare l'azione del governo' come dice Gargani, ma non di più. E' un dato di cui sono consapevoli tutti. Ecco perché tutti danno ormai per scontato che se il consiglio nazionale di metà maggio servirà a ratificare la so¬ luzione data alla crisi di governo, sicuramente quello che si farà dopo le amministrative convocherà la data del congresso. Sarà a novembre, come vogliono Cirino Pomicino o Arnaldo Forlani? O a dicembre, come desidera Enzo Scotti? O tra gennaio e febbraio, come prevede Mancino? H fatto certo è che nella de il tema della successione a De Mita è già all'ordine del giorno. Dice un uomo di lunga esperienza come Andreotti: «Con tutta calma e sema polemiche, il problema della differenziazione della carica di capo del governo da quella di segretario sarà risolto'. E i cavalli che corrono sono già sulla linea di partenza. Più o meno in evidenza tutti i candidati sono al via. I più esperti non si sbilanciano, fedeli a un detto in voga da sempre nella de e che Gargani sintetizza cosi: • Questo è un partito in cui si diventa segretari per la congiuntura degli astri. Chi si prepara rischia di non diventarlo'. E' un discorso che condivide Enzo Scotti. Nello stile del candidato-tipo, si è chiuso nel silenzio più rigoroso. Ma tutti sanno che il vicesegretario ci spera. Rimane valida la confidenza fatta ad un amico quella domenica, 10 aprile, in cui Gava, capo della sua corrente, decise di lasciarlo a piazza del Gesù: •Io non rimango per scaldare la sedia a qualcun altro». Più baldanzosa è la strategia da convention americana di Giovanni Goria. Ha già annunciato che in queste elezioni farà «77 comizi». Ma Bodrato facendo i calcoli ha dimostrato con carta e penna che più di 16 in queste elezioni non se ne possono fare. Proprio alla sua «sinistra» Goria non piace. Lo stesso Martinazzoli lo ha detto in più di una riunione dell'area Zac: «Vi avverto fin d'ora, se al congresso sarò costretto a scegliere tra Forlani e Goria, sceglierò il primo'. Più «paludate» le intenzioni degli altri candidati. A iniziare dallo stesso Martinazzoli, che sconta la difficoltà di proporre un candidato della sinistra per piazza del Gesù da accoppiare ad un presidente del Consiglio dello stesso segno. Gava, sornione, corteggia invece la sinistra e Andreotti (non si contano le visite nello studio del ministro degli Esteri e gli incontri con Bodrato); ma. se correrà, lo farà solo quando sari, sicuro di vincere. E per ultimo, ma non per chances, Forlani: tutti sono convinti che se non crescerà una candidatura forte in questi mesi, alla fine a De Mita succederà il presidente del partito. Alla sua maniera, senza muovere un dito. Augusto Minzolini

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