La zebra dell'esploratore

La zebra dell'esploratore Storie di uomini e viaggi dietro la nomenclatura zoologica La zebra dell'esploratore IL 20 gennaio 1987 lo zoologo tedesco Bernhard Meier annunciava al mondo scientifico la scoperta di una nuova specie di primate: l'Hapalemur aurcus, una proscimmia che sopravvive ili piccoli gruppi nella foresta primaria del Madagascar. Il nuovo lemure differisce dai suoi affini per il colore ambrato della pelliccia e il suo nome aureus deriva proprio da questo carattere appariscente. La momenclatura zoologica è regolata da leggi precise, disciplinate da norme internazionali. Ogni creatura vivente deve essere descritta in modo definitivo da due nomi latini (o latinizzati): il primo indica il genere, il secondo la specie. L'ideatore di tale terminologia binomia fu il botanico svedese Carlo Linneo. Nonostante la rigida impostazione antievoluzionista, il lavoro di Linneo ebbe il merito di rifondare la zoologia come scienza, depurandola da tutto ciò che era leggenda e fantasia. Oggi biologi e naturalisti di tutto il mondo accettano la classificazione in latino come interamente descrittiva per ogni specie. Tuttavia nel XIX secolo, l'età delle grandi scoperte geografiche, le nuove specie di animali in cui esploratori e viaggiatori si imbattevano venivano frequentemente denominate con il nome dell'uomo che per primo le aveva catturate o descritte. Oppure prendevano il nome di qualche illustre scien- 'ziat'o dpolitico contempcra-, neo. Alcuni di questi nomi sono ancora comunemente usati, altri sono passati al genitivo latinizzato, altri ancora sono definitivamente dimenticati, a dimostrare il carattere effimero della gloria. In Africa vivono tre specie di zebre: quella di montagna (localizzata sui rilievi costieri dell'Africa del SudOvest); la zebra di Burchell e quella di Grevy. Pur essendo abbastanza diverse l'una dall'altra, le varie specie presentano uno spiccatissimo carattere comune: le notissime strisce nere sul mantello, più o meno spesse e marcate. La zebra di Burchell (Equus quagga) deve il suo nome a un botanico inglese, William John Burchell, uno dei primi europei a penetrare nell'interno della colonia del Capo, in Africa del Sud. Nel 1811 egli intraprese un viaggio di cinque anni, nel corso del quale raccolse 63 mila campioni, 500 schizzi e disegni e un'enorme massa di osservazioni scientifiche. La vera zebra di Burchell è oggi estinta, ma il nome è rimasto nell'uso generale per definire la zebra comune. La zebra di Grevy (Equus grevy), diffusa nel Nord del Kenya-em'Etlopia: differisce da quella di Burchell per le lunghe orecchie e le strisce più sottili e diffuse. Il suo nome è legato a una questione diplomatica: nel 1882 l'imperatore di Abissinia Menelik ne inviò un esemplare a Parigi, L'omaggio era diretto al presidente francese Jean-Paul Grévy. in onore del quale l'animale fu battezzato. Chiunque abbia viaggiato almeno una volta nelle savane dell'Africa Orientale avrà notato sen'altro una onnipresente specie di gazzella: piccola, graziosa, con il mantello color miele sbarrato da una striscia traversale nera, l'inconfondibile gazzella di Thomson. Joseph Thomson, scozzese, fu il primo europeo ad attraversare le steppe dei Maasai. Oltre a essere uno spirito vagabondo (come egli stesso ammetteva) il giovane esploratore coltivava interessi scientifici: era geologo e naturalista. Nel 1884, sulle ripide scarpate della Rift Valley che circondano il lago Baringo (Kenya), Thomson uccise un'antilope che non aveva mai visto prima. Il trofeo, testa e corna, fu inviato in Inghilterra. All'animale fu dato il nome di Gasella thomsoni, più fami¬ liarmente conosciuta come «Tommy». Anche la gazzella di Grant (Gabella granti) perpetua con il suo nome il ricordo di un esploratore. James Augustus Grant, compagno di viaggio di Speke, fu coinvolto nella torbida vicenda nata attorno alla scoperta delle sorgenti del Nilo. Nel giornale di viaggio di Speke (pubblicato nel 1863) si legge della cattura di «una coppia di antilopi, di specie sconosciuta», nella regione di Ugogo nella Tanzania centrale. Nella bella illustrazione che accompagna il racconto è facile riconoscere l'animale oggi noto come gazzella di Grant. L'ornitologo Le Vaillant, di discendenza francese ma nato in Guyana olandese, fu una singolare figura di viaggiatore. La sua attività fu veramente pionieristica: la sua opera «Oiseaux d'Afrique». pubblicata a Parigi nel 1797, contiene le prime descrizioni di un gran numero di uccelli africani. Sfortunatamente il suo criterio di classificazione era del tutto personale e assai poco scientifico. Una splendida varietà di aquila, il Terathopius ecaudatus, fu da lui chiamata semplicemente -bateleur», equivalente francese di giocoliere (il nome è comunque rimasto d'uso-comune). Le Vaillant aveva grande stima per gli Ottentotti: più che naturale quindi associare la bellezza del piumaggio della Apaloderma narina (un trogonide, come il sudamericano quetzal) al nome di una ragazza indigena che gli aveva ispirato una particolare affezione. E il cuculo di Klaas (Clirysococcyx klaas) doveva commemorare uno dei suoi domestici preferiti. Altri nomi che l'estroso Le Vaillant conferiva agli uccelli erano semplicemente onomatopeici, come il cucolo didric (Chrysococcyx caprius) il cui ritmico suono di richiamo fa «di.di.di, di. dric». Nonostante tutto, le stravaganze di Le Vaillant furono perdonate dai posteri; ancor oggi uno dei suoi amati cuculi ne porta il nome: Cuculus levaillantii. Agli inizi del nostro secolo il mondo della natura pareva non riservare più grosse sorprese agli scienziati: un enorme numero di specie erano state classificate e osservate. Eppure le impenetrabili foreste dell'Ituri (Zaire nord-orientale) celavano ancora un segreto: la scoperta dell'okapi, una delle vicende più appassionanti della storia della zoologia. Dal 1899 Sir Harry H. Johnston svolgeva le man¬ sioni di governatore in Uganda. La sua lunga carriera diplomatica al servizio della Corona inglese si era intrecciata, nel corso degli anni, con un genuino interesse naturalistico. Venendo in contatto-con l pigmei Bambuti, Johnston apprese dell'esistenza di un grosso mammifero sconosciuto, già descritto da Stanley. I pigmei lo chiamavano okapia e la descrizione faceva pensare a una zebra. Dopo due anni di tentativi e ricerche, Johnston riuscì a procurarsi una pelle e due crani di okapia, ma ciò non fu sufficiente a convincere lo scettico mondo accademico. Soltanto nel 1909 si riuscì a ottenere un esemplare vivo: gli scienziati non avevano mai visto nulla di simile. Dopo accanite discussioni, l'animale fu classificato come appartenente alla famiglia delle giraffe e battezzato Okapia johnstoni. Chi coltiva la segreta ambizione di eternare il suo nome in questo modo, dovrà rassegnarsi a un'amara delusione: quasi certamente è nato troppo tardi. Oggi l'uso di legare il nome dello scopritore a una nuova specie è caduto in disuso ed è piuttosto disapprovato. In ogni caso le ultime speranze sono riposte nei coleotteri: sono già 300 mila specie ma le novità sono frequenti. Ma dare il proprio nome a un insetto non è una grande emozione. Paolo Novaresio zebra di Grevy zebra di montagna zebra di Burchell Le tre principali specie di zebre possono essere riconosciute dalle strisce sui loro quarti posteriori. Nella zebra di Grevy le strisce sono fini e numerose. Nella zebra di montagna sono larghe, mentre strisce più piccole sono visibili sulla schiena e alla base della coda. La zebra di Burchel) (o zebra comune) è distinguibile per le strisce larghe che dai quarti posteriori si estendono a fasciare i fianchi. A lato è mostrato l'areale di diffusione delle differenti specie