Ho visto in Urss troppi miracoli (ma era propaganda) di Emanuele Novazio

Ho visto in Urss troppi miracoli (ma era propaganda) Incontro a Mosca con Fazi! Iskander, scrittore georgiano costretto per anni al silenzio. Escono in Italia due suoi libri Ho visto in Urss troppi miracoli (ma era propaganda) Due 1 libri di Iskander usciti contemporaneamente In Italia. Le edizioni e/o pubblicano quattro racconti, tradotti e presentati da Emanuela Guercetti, con il titolo «Il tè e l'amore per il mare», (pp. 136, L. 16.000). Protagonista unico è un bambino, Clk, «un Tom Sawyer del Caucaso», che osserva con ironia e umorismo il mondo degli adulti e burla la loro presuntuosa ipocrisia. Da Sellerio esce il suo primo romanzo «La costellazione del caprotoro» (pp. 206,1» 8000), a cura di Victor Zaslavsky, tradotto e annotato da Cristina DI Pietro. Scritto nel I960, è una satira degli anni di Krusciov: racconta la storia di un piccolo giornalista di provincia, tornato al paese natale per un reportage su un singolare esperimento zootecnico, l'Incrocio tra una capra e un toro caucasico, voluto da uno scienziato ciarlatano che richiama In modo farsesco la figura di Lysenko. MOSCA — Nel piccolo studio strapieno come soltanto le case russe riescono ad esserlo — pieno di libri, pieno di oggetti, pieno di /rammenti di memoria e di emozione — Fazil Iskander ha, anche, un «Abkhartsà-: uno strumento in legno a due corde fatto da un contadino di Abkhasìa, la piccola repubblica autonoma all'interno della Georgia dove è nato e vissuto fino a vent'anni fa. Accanto, c'è una fotografia della madre da giovane; che, spiega, «si chiamava karnachich nella lingua di Abkhasìa e Leli Khasanovna In russo.. £ un grande olio che raffigura un «convito notturno di Stalin in Abhkasia.; un quadro dagli echi sinistri, con un boia ridente, alle spalle di Stalin. Come omaggio alla tradizione, come serbatoio sentimentale, come luogo di storia e tragedia, l'Abkhasia è dovunque, nel piccolo studio di Fasil Abdulovich Iskander: un uomo di SS anni dai tratti marcati, dalla voce di gola, dai sorrisi inattesi e miti. Come nei racconti che le edizioni e/o pubblicano ora in Italia, «Il tè e l'amore per il mare»; come nel romanzo «La costellazione del caprotoro», appena uscito da Sellerio. Come nella intera sua opera, dove quella terra ha assunto il carattere magico, quasi, di un paradiso perduto. Perché? Che cosa rappresenta l'Abkhasta per Fazil Iskander? «Rappresenta, soprattutto, il relativismo della verità. Un modo per dire che la civiltà toglie la chiarezza patriarcale della percezione, della visione spirituale della vita. Tutto questo non mi place: io torno alla forma patriarcale della vita, alla percezione patriarcale dell'etica, e con questo cerco di rinvigorire le forze spirituali dell'uomo. Cerco di ridargli ottimismo, un aiuto per uscire dalla depressione». Un mondo che avrebbe potuto meglio garantire l'uomo, anche in Urss? «Molte delle cose che sono accadute da noi, lo stalinismo per esempio, sono forme dell'invasione della civilizzazione nella vita patriarcale. Una delle cose che più mi attirano, in quel modello di società e di vita, è il senso della responsabilità personale: l'uomo «patriarcale» non permetteva che nella vita del popolo entrassero i «nuovi miracoli della propaganda ufficiale». Un modo, magari, per idealizzare un mondo che scompare? «Porse è vero, sto idealizzando la vita che se ne va. Ma l'uomo non può non idealizzare le cose che ama. Idealizzando la vita che sta scomparendo, noi, forse senza capirlo, presentiamo il conto al futuro. Sembra che gli stiamo dicendo, al futuro: «Ecco che cosa stiamo perdendo. Che cosa puoi darci tu in cambio?» Vogliamo che il futuro ci pensi sopra, ammesso che sia capace di pensare». Anche a rischio di compiere un'operazione fallimentare, destinata a rimanere patrimonio privato di chi scrive? «Non mi illudo di poter arrestare col mio lavoro l'andamento della storia. Ma un'opera letteraria può e deve influenzare la parte spirituale dell'uomo. Nelle mie opere ho cercato di creare una specie di nostalgia per l'Abkhasia». E l'esito di questa fusione di memoria e nostalgia? «E' la costruzione dell'ideale negli uomini. Voglio che l'uomo renda più forte la sua abkhasia dentro di sé». Nei suoi racconti, nei suoi romanzi, Iskander spande anche umorismo, ironia. Perché? «Perche l'umorismo costituisce lo stato superiore della libertà interna. Non si può prevedere quando questo umorismo verrà, j>er- cui non scrivo racconti umoristici di proposito. L'umorismo nasce spontaneamente, è vicino all'improvvisa¬ zione. Ma per arrivare all'umorismo bisogna prima arrivare a un pessimismo estremo, guardare nell'abisso, vedere che anche là non c'è niente, e poi lentamente tornare Indietro. Le orme lasciate da questo movimento all'indletro sono il migliore umorismo». E' accaduto spesso? «Tutte le volte che penso alle dimensioni gigantesche della stupidità umana. E poi mi viene voglia di scolpirla, quella stupidità. La 'costellazione del caprotoro' è stata la mia prima prova». Suggerita da quali esperienze? «Le idee di Stalin in agricoltura avevano una dimensione mistica: da noi spesso organizzavano delle campagne per realizzare le novità che avrebbero dovuto dare risultati straordinari, enormi. Quei progetti fallivano, ma nessuno faceva delle critiche perché se ne studiavano subito degli altri. Per esempio il «grano a rami» di Lystnko. o le patate «a nidi». Quel sistema faceva nascere il desiderio, l'attesa del «miracolo»: ai tempi di Krusciov il «nuovo miracolo» fu il granturco. Un giorno lessi che il problema alimentare e la carenza di carne in Abkhasia sarebbero stati risolti grazie all'incrocio del «tur», il capro caucasico delle montagne, un animale molto grande e resistente, e della capra domestica. Cosi fecero, incrociarono i due animali e distribuirono l'ibrido ad alcune fattorie. Naturalmente fu un disastro, un fallimento: e quell'animale spari nel nulla. Ho visto nella fusione di questi due animali e dei loro nomi, che in russo suona come «kozlotur», una grande rassomiglianza con «dur», che vuol dire stupidità e ho chiamato 11 mio romanzo «la costellazione del caprotoro». Sei anni fa, Fazil Iskander preparò un almanacco letterario, «Metropol», insieme con Vasily Aksyonov, Viktor Yerofeyev, Andrei Bitov e Evgheny Popov. Prima di pubblicarlo, lo presentò all'Unione degli scrittori; ma, per i dirigenti di allora, quel volume fatto di poesie e di racconti «fu occasione di grande ira». Popov e Erofeev furono cacciati dall'Unione, gli altri per un paio d'anni furono costretti al silenzio. Oggi latinosfera è cambiata, all'Unione; ma «è stato soprattutto il tempo che ha risolto le cose. Prima ancora che cambiassero gli uomini ai vertici», sorride Iskander. Perché accadde? «Dissero che l'almanacco conteneva idee sbagliate, che era formalista, che era pornografico. In realtà quella loro ira aveva altre cause: l'almanacco, messo insieme direttamente dai suoi autori, metteva in dubbio l'autorità dell'Unione, la sua stessa esistenza». Uno dei racconti presentati sull'almanacco, «La rivendicazione», è raccolto nel volume di e/o; ma anche in Unione Sovietica quell'opera un tempo al bando è ora disponibile. Che cosa è rimasto, di quel periodo di silenzio forzato? Una certa rabbia per un provvedimento ingiusto, certo; ma anche una specie di strano sentimento in cui nostalgia e tristezza, impazienza e dolore si frammischiano: «Perché non avevo mai lavorato cosi fruttuosamente come allora. Nessuno mi cercava, nessuno mi dava fastidio: uno scrittore deve avere anche il tempo di lavorare. Quando le cose vanno bene, di tempo ne rimane poco. Ma non vorrei più avere l'umore di quei giorni: erano tempi cupi». Emanuele Novazio Particolare da una litografia di Oskar Kokoschka (da «La costellazione del caprotoro», ed. Sellerio)

Luoghi citati: Georgia, Italia, Mosca, Unione Sovietica, Urss