L'Iran di Igor Man

L'Iran CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA L'Iran tattico impostare una nuova strategia tanto efficace da aprire la strada alla vittoria finale. Subito dopo la riconquista di Fa»', le truppe di élite dell'Iraq sono state spedite in tutta fretta al fronte Nord dove gli iraniani sono di nuovo in movimento. L'Iran non è la piccola Libia ma un Paese di 47 milioni di abitanti, dove la metà della popolazione ha meno di vent'anni e crede nel verbo sciita. Non pochi commentatori, anche illustri, si sono domandati perché l'Iran abbia osato sfidare nelle acque del Golfo il gigante americano. Una buona risposta può essere la seguente: ieri conveniva all'Iraq «internazionalizzare» la guerra; oggi conviene all'Iran. Khomeini, infatti, sa benissimo che gli Stati Uniti, per un cumulo di ragioni che qui sarebbe impossibile elencare, vuole la fine della guerra ma non la vittoria dell'Iraq. L'establishment in turbante non ignora come l'America, per quanto cinica, è pur sempre puritana. Sicché persino un'amministrazione agli sgoccioli, qual è quella di un Reagan irreparabilmente mortifi¬ cato dall'Irangate, non può non considerare se non altro «imbarazzante» un'alleanza di fatto con quell'Iraq che — sono parole della Washington Post — «ha sfondato il confine con l'Iran (...).. ha rotto gli schemi con la "guerra Mie città", bombardando civili e navi neutrali (...) e continua la barbarica pratica dell'arma chimica, rendendo arduo il proposito americano che è soltanto quello di contenere l'espandersi della rivoluzione khomeinista». Washington non ha voluto condannare direttamente l'Iraq per la strage di Halabja ma sa che gli iracheni hanno ucciso 5000 abitanti di quella città impiegando «una miscela tremenda di gas tossici: iprite, nervino, cianuro», per citare il massimo tossicologo mondiale, il prof. Aubin Hcyndrickx, inviato dall'Onu sui luoghi della tragedia. Indubbiamente la scelta dell'Iran è temeraria, purtuttavia ha una sua logica: la logica della provocazione, che gli Stati Uniti dovrebbero considerare con estrema attenzione. Se," infatti, premessero troppo l'acceleratore, da alleati indiretti passerebbero a comprimari se non a protagonisti della guerra del Golfo. E se è vero che l'Urss in que¬ sto momento e costretta a mantenere il cosiddetto «profilo basso» perché il successo della perestrojka è in buona parte affidato alla neo-distensione con gli Usa, è anche vero che Mosca, interessata a individuare futuri interlocutori nella galassia khomeinista, non può consentire che nel Medio Oriente e, segnatamente, nel Golfo, sia la bandiera a stelle e strisce a sventolare, unica e sola, sul pennone della cassaforte petrolifera del mondo. Questa e soltanto questa è la realtà, e ne abbiamo la controprova. Recentemente è uscito su Moskoskye Novosti un editoriale di quel lucido esperto di strategia ch'è Enrico Jacchia, dove si avanza l'ipotesi, non certo azzardata, che prima o poi verrà un minimo d'intesa americansovietica tale da neutralizzare la santabarbara del Medio Oriente, in generale, c del Golfo in particolare. Accanto all'articolo dell'italiano è apparso un editoriale di squisita matrice brezneviana, che riprende il vecchio postulato dell'ortodossia sovietica: l'Iran non può, non deve essere abbandonato alla penetrazione imperialista. A ben vedere l'incognita grave della guerra del Golfo è l'attuale indecisione e dell'Urss e degli Stati Uniti. E' un'incognita pesante e non può non turbarci così come, al tempo stesso, non può non dar fiato a Khomeini. E non è proprio detto che il prossimo incontro fra un Reagan alle ultime battute e un Gorbaciov soltanto al principio della sua lunga e difficile strada, possa portare a una schiarita Tranne drammatici cólpi di scena, lo stallo concimato da oltre un milione di morti, sembra destinato a perpetuarsi, penalizzando l'Iraq. Poiché se Saddam Hussein e stato e rimane uno sprinter spericolato, Khomeini oramai da tempo è un impenitente passista. Igor Man

Persone citate: Aubin Hcyndrickx, Enrico Jacchia, Gorbaciov, Khomeini, Reagan, Saddam Hussein