Una pace di Sergio Romano

Una pace CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA Una pace tesi, forse più realistica, secondo cui le due potenze si sono fatte la guerra alla periferia degli imperi perché la loro rivalità le costringeva a prendere partito in tutti i conflitti locali. Vi erano, per così dire, risucchiate dalla loro dimensione, dal loro ruolo mondiale, dalla loro reciproca sospettosità o dalla scaltrezza di certi capi locali che non esitavano a invocare l'inter* vento di un imperatore lontano pur di trionfare su un barone vicino. Si pensi, tanto per fare un paio di esempi, al modo in cui l'Urss venne coinvolta in certe faccende africane o latino-americane e gli Stati Uniti si trovarono impelagati nella guerra vietnamita. Se la tesi della «guerra per procura» è esatta, gli accordi di Washington dello scorso dicembre e quelli che potrebbero concludersi a Mosca durante la visita di Reagan in giugno aprono un periodo nuovo per la storia dell'umanità anche sul piano dei conflitti locali. La nuova distensione non gioverà soltanto ai rapporti fra le due grandi coalizioni politico-militari del secondo dopoguerra. Toglierà ossigeno alle guerre periferiche e ne faciliterà la soluzione. Non avremo soltanto una precària pace europea Avremo pnclie, in prospettiva, la fine di quei conflitti e tensioni locali (Libano, Iran-Irak, Guatemala, Kampuchea, Angola, Eritrea) che rappresentano, secondo questa tesi, il prezzo pagato dal mondo per la tregua fra le due maggiori potenze nell'area di più diretto contatto. Non sono convinto del fondamento di questa tesi. La distensione è un obiettivo desiderabile, anche per i vantaggi che ne deriveranno alla periferia. Ma non sono sicuro che tra tensione Est-Ovest e conflitti locali vi sia sempre un rapporto automatico. Quasi tutti questi conflitti traggono origine da rivendicazioni nazionali, da tensioni etniche o da contrasti profondi tra forze modernizzatrici (borghesi e socialiste) e forze conservatrici (religiose e populiste) nelle società in via di sviluppo. E' addirittura possibile che alla distensione corrispondano, in una certa fase, conflitti più aspri e intrattabili. La rivalità «totale» delle due maggiori potenze è servita qualche volta a «calmierare» le tensioni locali, a impedire che esse superassero una certa soglia Che cosa accadrà il giorno in cui Stati Uniti e Unione Sovietica non saranno più costretti dalla reciproca paura a occuparsi di tutto quello che accade nel mondo? Maggiori garanzie di pace si avrebbero, forse, se le due maggiori potenze, anziché limitarsi a disarmare per migliorare i loro rapporti nelle zone che più direttamente le concernono, s'intendessero per far fronte in comune alle crisi regionali o si riconoscessero vaste aree d'influenza in cui ciascuna delle due può contare sulla benevola indifferenza dell'altra. Ma l'intesa finirebbe per instaurare una sorta di condominio mondiale e sarebbe in contraddizione con i principi stessi della distensione, se «politica di pace» significa per l'appunto liberare le nazioni dall'obbligo di schierarsi l'ima contro l'altra nella logica degli scontri frontali fra sistemi contrapposti. Ed è ipotesi improbabile, comunque, perché nei momenti di distensione, quando meno si avverte il senso del pericolo, le nazioni minori hanno tendenza a riacquistare tutti i margini di libertà che avevano perduto nei momenti di pericolo. Ciò non significa, ripeto, che la nuova distensione non sia una buona cosa da realizzare al più presto. Significa semplicemente che sarebbe un errore attendersi da essa ciò che non può dare, vale a dire la scomparsa dei conflitti locali. Sergio Romano

Persone citate: Reagan

Luoghi citati: Angola, Eritrea, Guatemala, Libano, Mosca, Stati Uniti, Unione Sovietica, Urss, Washington